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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:16-17) (5)

 Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:16-17) (5)

Stiamo meditando sul Salmo 86, in questo salmo vediamo che la preghiera è la dichiarazione che dipendiamo da Dio.

Davide si trova in una brutta situazione, la sua vita è a rischio (vv.7,13-14,17), ma comunque ha fede, loda il Signore, e gli chiede aiuto per la consacrazione e la formazione del suo carattere (vv.8-12)

Davide era convinto che il Signore lo potesse salvare (vv.13,15,17) e pertanto prega fiduciosamente che lo farà, il Signore gli risponderà! (v.7).

In tempi duri, di avversità come quelli vissuti da Davide, il credente può imparare a vedere il Signore più chiaramente e di fidarsi di Lui pienamente.

È la natura di Dio che spinge Davide a pregarlo per la sua salvezza! (vv.5-8,13,15; cfr. Esodo 34:6).

La natura di Dio gli ricorda che la preghiera è la sua unica fonte di speranza!!

Anche nei momenti fortemente minacciosi, il popolo può contare su Dio per quello che Egli è!

Davide crede in un Dio che interviene, in un Dio che fornisce attivamente il Suo aiuto e consolazione al Suo popolo, un Dio attivo e vicino al Suo popolo, ecco perché prega anche quando le sue circostanze attuali mettono a dura prova la sua fiducia.

Jamie A. Grant a riguardo scrive: “Di fronte a un'orda di terribili nemici, il salmista eleva la sua anima a Dio e continua a lungo nella preghiera. La sua supplica si fonda sulla relazione che lo lega al Signore, legame dove lui, il servo, è in sé povero e bisognoso, ma il suo Signore fedele e compassionevole è l'unico Dio, capace di fare meraviglie”.

Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:11-12) (4)

 Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:11-12) (4)

Continuiamo la nostra meditazione su questo Salmo meraviglioso che ci fa capire come la preghiera è la dichiarazione che dipendiamo da Dio.

Davide si trova in grande difficoltà, la sua vita è a rischio (vv.7,13-14,17), ma comunque ha fede, loda il Signore (vv.8-10), e richiede aiuto al Signore per la consacrazione.

In questo salmo vediamo che la preghiera è una richiesta di aiuto per la consacrazione e la formazione del carattere.

Nei vv.11-12 leggiamo: “O Signore, insegnami la tua via; io camminerò nella tua verità; unisci il mio cuore al timor del tuo nome. Io ti loderò, Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo nome in eterno”.

Quanto più siamo consapevoli della natura di Dio, tanto più questo rifletterà e influenzerà anche i nostri desideri. 

I vv.11-12 si riferiscono al desiderio di formare delle giuste abitudini, al desiderio di avere uno sviluppo di una mentalità le cui decisioni saranno sempre più in linea con quelle di Dio.

Quando siamo sotto pressione siamo provati e tendiamo a comportarci a modo nostro e non secondo ciò che vuole il Signore per trovare una rapida soluzione.

Il salmista sotto pressione era forse influenzato dalle sue circostanze quotidiane difficili, è probabile che avesse la tentazione di riporre la sua fiducia in fonti di forza diverse da Dio, o di cercare rimedi non secondo la volontà di Dio per risolvere i suoi problemi.

Allora Davide prega per l'aiuto del Signore affinché possa continuare a vivere una vita di devozione a Lui! 

La preghiera è la voce della priorità e dell’impegno verso Dio! 

Non è solo una supplica per la vita, è una sottomissione della propria vita a Dio!! 

Il servo deve servire un solo padrone e questo è Dio (cfr. Matteo 6:19–34). 

Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:8-10) (3)

 Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:8-10) (3)

Stiamo meditando su questo salmo e abbiamo visto che la preghiera è la dichiarazione che dipendiamo da Dio. Abbiamo visto che la preghiera è la richiesta urgente di un uomo fedele e la voce della fiducia in Dio (v.2) (v.2), la richiesta urgente e perseverante di un uomo angosciato che richiede la grazia di Dio (vv.1,3,7), è l’elevazione dell’anima (v.4).  

E ancora in questo salmo troviamo che: la preghiera è concentrarsi su Dio (vv.8-10).

Anche nell’angustia, Davide è in pericolo di vita (vv.7,13-14,17), ha fede e loda il Signore.

È certamente un segno di buona salute spirituale riflettere sulla grandezza di Dio e adorarlo, anche quando siamo in grande sofferenza, quindi non essere immersi e risucchiati dai propri problemi!

Dividiamo la preghiera in adorazione, intercessione, confessione, supplicazione, ma noi vediamo che in questo salmo la supplicazione è mischiata con l’adorazione.

Davide va umilmente davanti a Dio, ma esprime la sua fede in Dio non solo con la supplicazione, ma anche con l’adorazione. 

Le nostre preghiere dovrebbero esprimere la fiducia in Dio e allo stesso modo dichiarare a Dio i nostri motivi di fiducia in Lui mentre adoriamo la Sua natura, il Suo carattere!

Per fare questo, però, dobbiamo prima conoscere bene Dio!

Osea 1:10-2:1: La riconciliazione di Dio con il Suo popolo

 Osea 1:10-2:1: La riconciliazione di Dio con il Suo popolo

In questi versetti Dio decide di ribaltare il giudizio dei vv.2–9 con la riconciliazione con il Suo popolo.

Si passa bruscamente dalla cupa realtà del giudizio presente dovuta all’infedeltà spirituale del popolo di Dio, alle promesse di speranza della riconciliazione futura.

Si passa da un passaggio di oracolo di giudizio alla promessa della salvezza futura.

Si passa da un “voi non siete mio popolo” a “siete figli del Dio vivente” che culmina al capovolgimento incoraggiante dei nomi dei figli da “Lo-Ammi” (non mio popolo) ad “Ammi” (mio popolo) e da “Lo-Ruama” (che non ottiene compassione) a “Ruama” (che ottiene compassione).

Questo passaggio è del tutto inaspettato e immeritato, e qualcuno lo ha definito la “teologia della grazia illogica”.

Profeticamente possiamo vedere questo testo con tre fasi.

Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:2,5-7) (2)

 Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:2,5-7) (2)

“C'è solo una cosa nel mondo che vale davvero la pena perseguire: la conoscenza di Dio” (Robert H. Benson).

È proprio così non solo perché nel conoscere Dio si ha la vita eterna, ma anche perché dalla conoscenza di Dio dipende la nostra salute spirituale.

Il salmo 86 è una preghiera che dichiara la dipendenza dal Signore.

Nella precedente meditazione di questo salmo abbiamo visto che la situazione di Davide era davvero brutta a causa di certi nemici che lo volevano morto (vv.7,13-14,17).

Continuiamo a meditare su questo salmo, considerando che la preghiera è la voce della fiducia in Dio e la motivazione.

La preghiera è la voce della fiducia in Dio (v.2)

Al v.2 leggiamo: “Salva il tuo servo che confida in te”.

Qualcuno ha detto: “L'orecchio di Dio è vicino alle labbra del credente”.

Dio è attento alle preghiere di coloro che si affidano a Lui.

“Confida” (bôṭēaḥ) è avere fede, riporre la propria fiducia in Dio! È credere in una persona fino al punto di affidarsi a lui, in questo caso a Dio.

“Confidare” esprime la sensazione di sicurezza e protezione che si prova quando si può fare affidamento su qualcuno, in questo caso Dio.

Davide era convinto che il Signore lo potesse salvare (vv.13,15,17) e pertanto prega fiduciosamente che lo farà! Il Signore gli risponderà! (v.7).

È la natura di Dio che spinge Davide a pregarlo per la sua salvezza!

Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:1-4) (1)

 Una preghiera di dipendenza (Salmo 86:1-4) (1)

Juanita Ryan scrive: “Ci piace pensare a noi stessi come indipendenti e autosufficienti, ma non lo siamo. Abbiamo bisogno di Dio. È vitale che riconosciamo il nostro bisogno perché è il punto di partenza della nostra relazione con lui”.

Che ci piaccia o no, abbiamo bisogno di Dio! Abbiamo bisogno di Lui per vivere fisicamente e spiritualmente.

Ora in questo salmo vediamo la preghiera di Davide che ci fa capire come dipendeva da Dio.

Il re Davide descrive un periodo della sua vita davvero difficile, molto serio; la sua vita era a rischio perché persone superbe e violente erano insorte contro di lui per ucciderlo, dunque era una situazione angosciante (vv.7,13-14,17).

Riguardo la preghiera secondo questi versetti possiamo dire:

La preghiera è la dichiarazione che dipendiamo da Dio (vv.1,13,16)

La preghiera è la voce della dipendenza da Dio!

La preghiera è l’affermazione che noi dipendiamo da Dio (Salmo 86)

 La preghiera è l’affermazione che noi dipendiamo da Dio (Salmo 86)

“La preghiera è la nostra dichiarazione di dipendenza da Dio” (David Hubbard).

Quali pensi siano i tuoi tratti caratteriali?

 


Che cosa pensi che i tuoi amici apprezzino di più di te?



Osservare

Ci sono circostanze che motivano le nostre preghiere. Perché Davide scrisse questa preghiera? (86:1-17)     


       

Come vedeva Davide se stesso? (86:1-17)      


      

In che modo Davide dimostrò di dipendere da Dio? (86:1-17)   

La natura dell’inferno. L'inferno è un luogo di sofferenza (6) (Apocalisse 14:9-12)

La natura dell’inferno. L'inferno è un luogo di sofferenza Apocalisse 14:9-12 (6)
Le tendenze culturali e filosofiche del mondo oggi stanno corrodendo la teologia cristiana.
Queste tendenze mettono l’umanità, i suoi desideri e suoi piaceri al centro, e non Dio.
Queste tendenze credono che non esiste la verità, ma tante verità e la rivelazione di Dio quindi è una tra le tante, non è la verità assoluta!
Quindi le affermazioni delle verità della Bibbia, è una questione di opinione e scelta personale.
Così il cristianesimo è ridotto a una spiritualità tra le altre, e quindi l’esistenza dell’inferno può essere più o meno creduta, non è un’esistenza oggettiva assoluta, ma soggettiva relativa. 

Noi non dobbiamo considerare l’esistenza dell’inferno da un punto di vista del sentimento secolare, soggettivo, di opinione, o scelta personale, ma secondo la rivelazione sovrannaturale oggettiva assoluta di Dio!

L’inferno ha un’interrelazione con le altre dottrine e non credere alla sua esistenza influenza negativamente, o mina altre dottrine, togliendone la forza corrodendole, come per esempio la dottrina dell’espiazione di Dio in Gesù Cristo, la santità, la giustizia e l’ira di Dio. 

Rifiutando la visione tradizionale della punizione eterna dell’inferno, la chiesa subisce un'erosione grave, o addirittura fatale nel suo fondamento dottrinale.

Abbiamo già visto precedentemente la natura come sofferenza con le predicazioni di Matteo 13:47-50 e Luca 16:23,24,28, in questa predicazione vediamo la sofferenza in Apocalisse 14:9-12.
 
Walter Hooper, era il segretario personale di C.S. Lewis, si trovava in un cimitero e rise quando lesse la seguente iscrizione su una tomba: “Qui giace un ateo, tutto vestito senza un posto dove andare”.
Lewis, rispose dicendo: "Sono sicuro che ora vorrebbe che fosse vero". 

Lewis era convinto dell’esistenza dell’inferno e che quella persona, che nella sua vita credeva che dopo la morte non esistesse nessun posto, non era veramente morta, ma era all’inferno!

La natura dell’inferno. L'inferno è un luogo di sofferenza (5)

La natura dell’inferno. L'inferno è un luogo di sofferenza (5)
W. C. Fields, in seguito al terremoto del 1933 che colpì la California meridionale, disse: “Siamo pazzi a vivere qui, ma di sicuro siamo in tanti”.

Lo stesso atteggiamento è spesso mostrato dai molti non cristiani, che sembrano pensare che l'inferno sarà più tollerabile perché ci sarà un sacco di gente, ma non è così! 
L’inferno è un luogo di sofferenza!

L’inferno è reale quanto il paradiso!
Infatti era caratteristico dell'insegnamento di Gesù mettere in guardia contro la prospettiva dell'inferno come lo era per Lui descrivere i privilegi del paradiso.

Quindi per Gesù era reale sia l’inferno che il paradiso.
Talmente sono reali che Gesù è venuto sulla terra per morire in croce per espiare i peccati dei credenti per dare loro la vita eterna,

Quindi la domanda a quelli che non credono all’inferno è: “Perché Gesù è venuto? Perché ha sofferto sulla croce?”
È da stolti pensare che sia stato semplicemente per darci solo un esempio di amore!

Perché allora dobbiamo credere nell’esistenza dell’inferno?

Giovanni 2:17-22: Gesù nel tempio (2)

 Giovanni 2:17-22: Gesù nel tempio (2) 

La reazione a Gesù

Le affermazioni di Gesù venivano presentate a un uomo d'affari di New York. La sua reazione è stata piuttosto scioccante. Disse: "Diventerei cristiano se non avessi così tanti falsi cristiani nel mio ufficio". Continuò dicendo: "Fino a quando non vedo un cristiano che è puntuale, gentile, onesto e ordinato, non sono pronto a cambiare il mio modo di vivere". 

Anche verso Gesù le persone ebbero direttamente delle reazioni.

Gesù va nel tempio e trova una situazione di mercato, caccia via tutti, sparpagliò il denaro dei cambiavalute e rovesciò le tavole (Giovanni 2:13-16).

A quest’azione di Gesù, vediamo due reazioni diverse: quella dei Suoi discepoli e quella dei Giudei.

Esaminiamo:

Giovanni 2:13-16: Gesù nel tempio (1)

 Giovanni 2:13-16: Gesù nel tempio (1)   

 La purificazione e la rivelazione

Prima di Pasqua spesso si sente parlare di "pulizie pasquali" o "pulizie primaverili". 

"Pulizie di Pasqua" prende origine dalla Pasqua ebraica, durante la quale, secondo l'usanza, gli Ebrei dovevano togliere dalla loro casa ogni traccia di lievito, e quindi di polvere; era un rito di purificazione della casa, quindi anche del corpo e dell’anima.

Così nella stagione primaverile, le pulizie pasquali si riferiscono in maniera più approfondita alla pulizia della propria casa, una pulizia generale e minuziosa, da cima a fondo.

Anche Gesù nel periodo di Pasqua purificò il tempio, la casa del Padre dalla contaminazione.

Il capitolo due di Giovanni 2 inizia la storia del ministero terreno di Gesù con un segno miracoloso che ci parla del Suo carattere e della Sua missione: la trasformazione dell’acqua in vino a un matrimonio (Giovanni 2:1-11).

Ma anche la purificazione del tempio di Gerusalemme ci parla in un certo senso di un altro segno, che non è un miracolo, ma un segno dell’autorità di Gesù come Figlio di Dio e Messia.

Luca 23:31: Il detto del legno verde e del legno secco

 Luca 23:31: Il detto del legno verde e del legno secco

L'esecuzione Romana mediante crocifissione comportava una procedura elaborata. 

Di solito il condannato veniva flagellata in modo brutale e disumana dai soldati, dopo gli davano la croce, o una parte di essa - la trave orizzontale - da portare per le strade fino al luogo dell'esecuzione, che era sempre un luogo pubblico. 

La persona veniva poi spogliata e il suo abbigliamento dato ai carnefici, e successivamente, la vittima era legata, o inchiodata mani e piedi alla croce. 

Infine, c'era l'affissione dell'iscrizione sopra la croce per indicare il crimine per cui il condannato era stato crocifisso così era per tutti i passanti un avvertimento.

La persona crocifissa soffriva naturalmente per le percosse, per l'esposizione agli elementi, per la perdita di sangue, per i maltrattamenti, per la disidratazione, per gli insetti e per la circolazione sanguigna compromessa, e alla fine moriva di shock o asfissia…Era una morte lenta e orribile!

Spesso alla persona veniva rifiutata la sepoltura come ulteriore disgrazia, e il corpo veniva lasciato sulla croce a marcire, o essere cibo per i rapaci.

Gesù durante il cammino verso la croce dice questo detto: “Perché se fanno questo al legno verde, che cosa sarà fatto al secco?”

Il detto del legno verde e del legno secco (Luca 23:31)

 Il detto del legno verde e del legno secco (Luca 23:31)

L'esecuzione Romana mediante crocifissione comportava una procedura elaborata. 

Di solito il condannato veniva flagellata in modo brutale e disumana dai soldati, dopo gli davano la croce, o una parte di essa - la trave orizzontale - da portare per le strade fino al luogo dell'esecuzione, che era sempre un luogo pubblico. 

La persona veniva poi spogliata e il suo abbigliamento dato ai carnefici, e successivamente, la vittima era legata, o inchiodata mani e piedi alla croce. 

Infine, c'era l'affissione dell'iscrizione sopra la croce per indicare il crimine per cui il condannato era stato crocifisso così era per tutti i passanti un avvertimento.

La persona crocifissa soffriva naturalmente per le percosse, per l'esposizione agli elementi, per la perdita di sangue, per i maltrattamenti, per la disidratazione, per gli insetti e per la circolazione sanguigna compromessa, e alla fine moriva di shock o asfissia…Era una morte lenta e orribile!

Spesso alla persona veniva rifiutata la sepoltura come ulteriore disgrazia, e il corpo veniva lasciato sulla croce a marcire, o essere cibo per i rapaci.

Gesù durante il cammino verso la croce dice questo detto: “Perché se fanno questo al legno verde, che cosa sarà fatto al secco?”

La natura dell’inferno. L’inferno è luogo di tenebre (Matteo 8:12) (4)

 La natura dell’inferno. L’inferno è luogo di tenebre (Matteo 8:12) (4)

La Bibbia descrive l'inferno come punizione, come eterna rovina, come esilio e anche come un luogo di totale oscurità!

L’inferno è una notte buia dove non sorgerà mai un nuovo giorno!

Tutti chi più chi meno, detestiamo l'idea dell'inferno e preferiamo credere che la morte sia la fine dell'esistenza, o che in qualche modo tutti gli esseri umani alla fine andranno in paradiso. 

Certi teologi credono che qualsiasi idea dell'inferno, come luogo di punizione di eterna sofferenza, è contraria al concetto di un Dio d'amore.

Molti chiedono: “Un Dio amorevole manderebbe davvero le brave persone all'inferno?”

Questa domanda è sbagliata per tre motivi.

La natura dell'inferno. L'inferno è l'esilio (3)

La natura dell’inferno. L'inferno è l'esilio 

Isabelle Allende, la nipote del presidente cileno Salvador Allende, fu costretta all’esilio dopo che lo zio venne deposto dalle forze golpiste di Pinochet nel 1973.

Dopo aver ricevuto minacce di morte dal regime, decise di trasferirsi in Venezuela. Ha sempre continuato la sua carriera da giornalista anche in esilio collaborando con il giornale “El Nacional”.

Le sue novelle e i suoi romanzi, tradotti in tutto il mondo, spesso raccontano della sua esperienza di esilio. 

Nel 1985 si trasferì negli Stati Uniti e nel 1990, quando fu ristabilita la democrazia in Cile, vi ritornò dopo 15 anni di assenza per ricevere il premio “Grabiela Mistral”.

Quello che fu possibile a Isabelle Allende, vale a dire da esiliata di ritornare in Cile, non sarà assolutamente possibile per tutti coloro che andranno all’inferno, una volta là non potranno ritornare indietro, o spostarsi in paradiso (cfr. Luca 16:19-31).

Sentimentalmente possiamo trovare l'inferno intollerabile, ma come credenti dobbiamo dire che non è importante cosa dice il nostro cuore, ma ciò che dice la parola di Dio, e la parola di Dio, più volte dice che esiste l’inferno!

L’inferno è la punizione di Dio, è un’eterna rovina, ma possiamo dire che è anche esilio.

L'esilio mette in evidenza ciò che manca a coloro che sono all'inferno, e quello che manca è Dio stesso e la comunione con Lui, quindi la benedizione della Sua presenza benevola.

L'esilio suggerisce il giudizio attivo di Dio, sottolinea la terribile esclusione dalla presenza e grazia di Dio, e sottolinea la desolazione, la sofferenza, la dannazione. 

Attraverso l’immagine dell’esilio, la Bibbia rivela che gli ingiusti all’inferno sono esclusi eternamente da Dio e dal Suo regno. 

I malvagi non sperimenteranno per sempre la comunione con Dio; saranno esclusi per sempre dalla Sua maestosa presenza e verrà a mancare loro completamente la ragione della loro esistenza che è quella di glorificare Dio (cfr. per esempio 1 Corinzi 10:31) e di godere per sempre della Sua presenza (cfr. per esempio Salmo 16:11).

Vediamo tre passi riguardo l’inferno come esilio.

La natura dell’inferno. L'inferno è la rovina per gli increduli (2)

 La natura dell’inferno. L'inferno è la rovina per gli increduli (2)

La sera del 1808, un giovane di nome Adoniram Judson alloggiava in una locanda, mentre nella stanza accanto un uomo stava lottando contro la morte. 

Judson era un brillante studente al Providence College, dove era rimasto affascinato dalle idee dell'illuminismo provenienti dall'Europa. 

Su sollecitazione di un certo Jacob Eames, aveva adottato il deismo e la sua idea di un Dio assente. 

Nel giorno del suo ventesimo compleanno, Judson disse ai suoi genitori sconvolti che aveva abbandonato la fede cristiana e si stava trasferendo a New York per perseguire uno stile di vita mondano.

Poco dopo, Judson ascoltò la terribile angoscia nella stanza accanto e si chiese cosa stesse pensando l'uomo morente. 

I gemiti passavano attraverso le pareti e poteva sentire l'irrequieta lotta straziante dell'uomo. 

Cosa direbbe il suo amico libero pensatore Eames su come liberare l’uomo dall'ansia e dall’inquietudini riguardo l'eternità? 

Quest'uomo, come Judson, aveva rifiutato il vangelo per un sofisticato credo mondano? 

La sua angoscia suggeriva una paura del giudizio oltre la morte? 

Judson s’interrogò sul proprio destino dopo la morte, cercando di ricordare le risposte intelligenti del deista Eames per placare le sue ansie e paure.

All'alba i gemiti della lotta del suo vicino di stanza si placarono, e poco dopo Judson raccolse le sue cose per lasciare la locanda. 

All'uscita, passò davanti all'oste e chiese dell'uomo della porta accanto. "Se n'è andato, povero ragazzo!" fu la risposta. "Il dottore ha detto che probabilmente non avrebbe superato la notte". "Sai chi era?" Judson chiese. "Oh sì. Un giovane del collegio di Providence", rispose l’oste. "Il nome era Eames, Jacob Eames". Judson rimase scioccato, e per ore un solo pensiero occupò la sua mente: "Morto! Perduto! Perso!" 

La natura dell’inferno. L’inferno è punizione di Dio (1)

 La natura dell’inferno. L’inferno è punizione di Dio (1)

L’inferno è un concetto terribile e offensivo per la sensibilità moderna.

Molte persone trovano difficile il fatto che ci sia un Dio amorevole che possa mandare qualcuno in un posto terrificante come l'inferno, e quindi non credono all’inferno.

Anche certi credenti imbarazzati, cercano con speculazioni delle alternative al tormento eterno.

James Packer scriveva il motivo per cui molti non credono all’inferno dicendo: “Il laicismo sentimentale della moderna cultura occidentale, con il suo esaltato ottimismo sulla natura umana, la sua idea rimpicciolita di Dio e il suo scetticismo sul fatto che la morale personale sia davvero importante—in altre parole, il suo decadimento della coscienza—rende difficile per i cristiani prendere sul serio la realtà dell'inferno”.

Certi teologi hanno visto l’inferno nei ghetti impoveriti dell'America (Reinhold Niebuhr), o nella situazione di impotenza politica, economica e di oppressione vissuta da milioni di persone in tutto il mondo come dice la teologia della liberazione.

Anche molte persone comuni pensano che l’inferno sia qui su questa terra per la sofferenza che c’è.

Certo nessuno di noi anche quelli che ci credono, vorrebbero l’esistenza dell’inferno, nessuno di noi prova piacere all’idea che delle persone vanno a soffrire per sempre in questo luogo! 

Molti cristiani sarebbero d'accordo con le parole di C. S. Lewis: “Non c'è dottrina che vorrei più volentieri rimuovere dal cristianesimo”.

Ma ci sono molti passi nella Bibbia che ci fanno capire che l’inferno è reale!!

Matteo 26:31: Il detto delle pecore disperse

Matteo 26:31: Il detto delle pecore disperse

Quando pensiamo agli apostoli li pensiamo come modello di fede e di eroismo, che hanno sopportato instancabilmente ogni difficoltà e persecuzione per il loro Signore, ma questo dopo la Pentecoste, dopo che lo Spirito Santo scese su di loro.

Infatti prima, nell'ultima notte della vita terrena libera di Gesù, contrariamente alle loro sicure affermazioni di lealtà e coraggio, dimostrarono tutt'altro che fede ed eroismo, scoprirono tutti di essere timorosi, codardi e impotenti, scoprirono la loro fragilità.

Il v.31 è un detto, una citazione dall’Antico Testamento.

Cominciamo a vedere:

Il detto delle pecore disperse (Matteo 26:31).

 Il detto delle pecore disperse (Matteo 26:31).

Quando pensiamo agli apostoli li pensiamo come modello di fede e di eroismo, che hanno sopportato instancabilmente ogni difficoltà e persecuzione per il loro Signore, ma questo dopo la Pentecoste, dopo che lo Spirito Santo scese su di loro.

Infatti prima, nell'ultima notte della vita terrena libera di Gesù, contrariamente alle loro sicure affermazioni di lealtà e coraggio, dimostrarono tutt'altro che fede ed eroismo, scoprirono tutti di essere timorosi, codardi e impotenti, scoprirono la loro fragilità.

Il v.31 è un detto, una citazione dall’Antico Testamento.

Cominciamo a vedere:

I IL CONTESTO DEL DETTO (v.30) 

Nel v.30 leggiamo: “Dopo che ebbero cantato l'inno, uscirono per andare al monte degli Ulivi”.

Dopo la cena Pasquale, quindi l’isituzione della “Cena del Signore”, e dopo aver cantato l’inno, com’era di usanza, dai Salmi 115-118, Gesù e i Suoi discepoli uscirono per andare al monte degli Ulivi.

Consideriamo:

Osea 1:8-9: Lo-Ammi non siete il mio popolo

 Osea 1:8-9: Lo-Ammi non siete il mio popolo

Ci sono molti simboli nella vita che rappresentano qualcosa, per esempio la ‘Croce Rossa’ sul fondo bianco è simbolo dell’organizzazione mondiale per il soccorso dei feriti e dei rifugiati di guerra.

Nella storia ci sono stati simboli davvero particolari come per esempio quella di una scritta su una tomba.

A Stroudsburg, in Pennsylvania, c'è la tomba di un soldato della Guerra Civile. La pietra porta la data della sua nascita e morte, e ci sono scritte queste parole: "Il sostituto di Abraham Lincoln". Nel dolore e nell'angoscia della guerra, rendendosi conto che migliaia e migliaia di soldati stavano morendo al suo posto sul campo di battaglia, il presidente Lincoln scelse di onorare un particolare soldato come suo sostituto e di renderlo un simbolo, per così dire, del fatto che i soldati che morivano in battaglia morivano perché altri potessero vivere.

Ora, come abbiamo visto già precedentemente nel capitolo 1 di Osea, i nomi dei figli di Osea, secondo come voleva il Signore, erano simbolici.

Dopo aver divezzato Lo-Ruama, Gomer concepì e partorì un figlio, è ancora una volta il Signore ordinò a Osea come doveva chiamarlo; il nome del terzo figlio simboleggia la repulsione del Signore, ci troviamo davvero davanti parole molto forti.

John Goldingay riguardo questo v.9 scrive: “Nessun altro profeta usa tali parole”.

In questa predicazione, noi vediamo: il significato, la ragione e il rifiuto del nome.

Matteo 14:31: La riprensione di Gesù

 Matteo 14:31: La riprensione di Gesù

“Subito Gesù, stesa la mano, lo afferrò e gli disse: ‘Uomo di poca fede, perché hai dubitato?’”

In questo versetto vediamo la riprensione di Gesù che ha fatto a Pietro mentre lo stava salvando dall’annegamento. Che cosa era accaduto? Dopo aver fatto il miracolo della moltiplicazione dei pani, Gesù esortò i Suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, mentre Egli avrebbe congedato le persone; dopo di questo Gesù si ritirò in disparte da solo a pregare. Intanto la barca con i discepoli, era molti metri distante dalla riva, e per il vento contrario, era sbattuta dalle onde. Verso le tre di notte, Gesù andò verso i discepoli camminando sull’acqua, ma vedendolo camminare sull’acqua, non riconoscendolo, all’inizio pensarono che fosse un fantasma, e gridarono dalla paura. Gesù li rassicurò dicendo: “Coraggio, sono io; non abbiate paura!” Pietro con fede disse che se era il Signore che gli comandasse di camminare sull’acqua. Al comando di Gesù: “Vieni!”, Pietro per fede scese dalla barca e camminò sull’acqua andando verso di Lui!! Ma vedendo il vento, Pietro ebbe paura e cominciando ad affondare gridò al Signore di salvarlo e così Gesù fece afferrandolo (Matteo 14:22-31). In questo momento Gesù lo rimproverò dicendogli: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” Noi vediamo che

Osea 1:6-7: Lo-Ruama niente più compassione di Dio

 Osea 1:6-7: Lo-Ruama niente più compassione di Dio

Ci sono persone che credono nella “teologia del Babbo Natale”; secondo questa teologia i peccati non creano nessun problema; Dio perdona sempre e non punisce nessuno, anche coloro che hanno uno stile di vita immorale e idolatra, non dobbiamo temerlo, chi lo fa è giudicato antiquato, bigotto, puritano. 

Ma questo non rispecchia ciò che dice la Bibbia, ciò che troviamo scritto in Osea 1:4-9.

Dopo la chiamata di Osea da parte di Dio di sposare una moglie prostituta, Gomer, e fare figli di prostituzione, ecco che Gomer concepì e partorì il primo figlio che il Signore disse a Osea di chiamarlo Izreel.

Nei vv.6-7 vediamo la nascita di una figlia, che è simbolo di negazione della compassione di Dio verso Israele, il Regno del Nord.

Se mentre il nome del primo figlio si concentrava sia sul giudizio sulla dinastia del re Ieu, della monarchia e su Israele, ora con questo nome simbolico del secondo figlio, il giudizio si concentra solo sul regno del Nord; il Signore ha deciso di ritirare la Sua compassione da Israele.

Cominciamo a vedere:

Il dono della grazia di Dio (1 Corinzi 1:4)

 Il dono della grazia di Dio 

“Io ringrazio sempre il mio Dio per voi, per la grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù” (1 Corinzi 1:4).

Noi in questo versetto vediamo che Paolo aveva la costanza, l’abitudine di ringraziare Dio per la chiesa di Corinto. Anche se si sentiva responsabile per loro come un padre per i suoi figli (1 Corinzi 4:14-15), Paolo era consapevole che la chiesa di Corinto apparteneva a Dio (1 Corinzi 1:1) e manifestava in essa la Sua grazia, e per questo lo ringraziava, in questo vediamo l’amore di Paolo per la chiesa. Un primo aspetto allora che ci colpisce di Paolo è che la sua gratitudine a Dio non era per se stesso, ma per quello che Dio aveva dato alla chiesa di Corinto. Un secondo aspetto della gratitudine di Paolo a Dio per la chiesa di Corinto è che era grato nonostante non fosse una chiesa coerente con la fede cristiana, infatti per esempio all’interno della chiesa vi erano divisioni (1 Corinzi 1:10-13; 11:17); gelosie e contese (1 Corinzi 3:1-8); orgoglio (1 Corinzi 4:6-8); immoralità tollerata (1 Corinzi 5:1-2); processi (1 Corinzi 6:1-9); quindi questi esempi ci fanno capire che la chiesa di Corinto non era molto spirituale, eppure Paolo ringrazia Dio per loro. Paolo, allora, non era grato solo a Dio per le chiese che gli recavano gioia come i Filippesi (cfr. Filippesi 1:4; 4:1), ma ringraziava Dio anche per la fastidiosa chiesa di Corinto con tutti i suoi problemi, atteggiamenti e comportamenti incoerenti con la verità di Dio, e questo Paolo lo faceva perché la chiesa di Corinto era la destinataria della grazia e dell’opera di Dio. Quindi Paolo andava oltre il suo dissenso e delusione perché la chiesa di Corinto. Ora, dunque,

1 Corinzi 15:57: La vittoria delle vittorie!

 1 Corinzi 15:57: La vittoria delle vittorie!

“Ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo”.

L’estate 2021 sarà ricordata come un’estate magnifica, infatti per l’Italia è stata un’estate sportiva incredibile: abbiamo vinto l’europeo con la nazionale di calcio, abbiamo battuto il record delle medaglie vinte alle olimpiadi di Tokio 2020 con degli ori davvero pazzeschi. Ma in questo testo di Paolo ai Corinzi vediamo la vittoria delle vittorie! Paolo inizia il versetto con un “ma” (de - congiunzione avversativa) che indica un contrasto significativo tra questo versetto e il versetto precedente dove si parla di morte, di peccato e della legge di Dio. Il Nuovo Testamento ci ricorda che nessuno sarà salvato dal peccato perché osserviamo la legge di Dio, anzi la legge di Dio ci fa capire quanto sia grave il peccato e quanto sia impossibile osservarla come Dio vuole, e quindi ci fa vedere che siamo colpevoli davanti a Dio senza attenuanti (per esempio Romani 3:19-20; Galati 2:16), lo scopo della legge è di portarci a Gesù Cristo per essere salvati per fede (Galati 3:21-26). Tutti siamo peccatori (Romani 3:23; 1 Giovanni 1:8-10), e il salario del peccato è la morte (Romani 6:23), ma non tutti saranno salvati dal peccato e dalle sue conseguenze (cfr. Romani 5:1-2,9-11) e quindi

Osea 1:3-5: Izreel la punizione di Dio

 Osea 1:3-5: Izreel la punizione di Dio

La chiamata di un profeta a volte era bizzarra perché Dio poteva chiedergli di fare cose fuori dalla normalità per illustrare situazioni del popolo e lanciare così un messaggio; il profeta stesso così era un segno per il popolo.

Questo era il caso anche di Osea, Dio gli ha chiesto di sposare una prostituta e fare figli di prostituzione, e Osea lo ha fatto.

Se la moglie Gomer rappresenta la nazione con i suoi peccati, i figli di prostituzione rappresentano i singoli Israeliti.

Dio dice anche a Osea come deve chiamare i figli, questi nomi particolari che troviamo nei vv.4-9, simboleggiano l’azione del Signore sul popolo d’Israele, servivano come messaggi di Dio (cfr. Isaia 7:3; 8:3-4; Ezechiele 23:4) per essere elaborati e spiegati dal profeta.

Dunque questi nomi erano di cruciale importanza nel ministero di Osea ed esprimevano lo sdegno, la disapprovazione del Signore per tutto il popolo per il suo adulterio spirituale, per la mancanza di devozione, lealtà e fiducia verso il Signore tradendolo con Baal!

Il messaggio del Signore attraverso Osea è un monito anche per noi oggi, anche se non seguiamo Baal, c’è il rischio di idolatria e quindi di adulterio spirituale che consiste nel tradire Dio con gli idoli come il mondo, o persone, o con qualsiasi altra cosa che mettiamo al posto, o prima di Dio.

Tutto ciò che amiamo, o desideriamo, che reputiamo più importante di Dio è un idolo!

Tutti i sostituti di Dio, tutte le alternative al vero Dio sono idoli, e noi dobbiamo vigilare con attenzione per non mettere Dio in secondo piano, nel non dargli la giusta priorità perché Dio non è indifferente, questo c’insegna Osea, ma anche tutta la Bibbia. 

In questo testo vediamo la punizione di Dio per la monarchia e per Israele.

Osea 1:2-3: La chiamata di Osea

 Osea 1:2-3: La chiamata di Osea

Dio fa cose strane agli occhi dell’umanità!

Ha detto a Osea di sposare una donna che si prostituiva per far riflettere gli Israeliti riguardo la loro infedeltà!

In questi versetti vediamo che Osea con la sua vita è chiamato a essere un segno per il suo popolo. 

Osea doveva prendere in moglie una prostituta e fare figli di prostituzione perché il paese si prostituiva abbandonando il Signore.

Non è l’unica volta che un profeta è stato chiamato a essere un segno per la popolazione.

Isaia camminò seminudo e scalzo per tre anni come segno e presagio dell'imminente esilio dell'Egitto e dell’Etiopia da parte degli Assiri (Isaia 20:3-5). 

A Geremia è comandato di indossare un giogo di legno, come previsione della sottomissione di Giuda e di altre nazioni a Babilonia (Geremia 27).

A Ezechiele il Signore gli ordina di sdraiarsi sul fianco sinistro per più di un anno nei pressi di un piccolo modello di Gerusalemme sotto assedio (Ezechiele 4-5); gli è stato anche vietato di piangere quando sua moglie morì (Ezechiele 24:15-18).

In questi versetti vediamo la sorgente della chiamata di Osea, la specificazione della chiamata e la sottomissione alla chiamata.

Cominciamo con:

2 Timoteo 3:5: Esiste una pietà che non è vera!

 2 Timoteo 3:5: Esiste una pietà che non è vera!

“Aventi l'apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza”.

Paolo sta parlando delle caratteristiche degli ultimi giorni, cioè al periodo che precede il ritorno di Gesù Cristo. Paolo descrive l’umanità dicendo che saranno: egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, insensibili, sleali, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene, traditori, sconsiderati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio (vv.2-4), e infine dice: “Aventi l'apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza”. Considerando la società di oggi, sembra proprio che siamo negli ultimi giorni! Cosa significa “pietà”? La pietà (eusebeias) indica una pratica devota e un credo secondo la volontà di Dio, un comportamento che riflette il corretto credo e atteggiamenti morali, spirituali secondo Dio, e quindi che Dio gradisce, è una vita totalmente consacrata a Dio che si vede nella vita quotidiana (cfr. 1 Timoteo 2:2; 3:16).

Salmo 77:11-20: Lo sguardo al passato nella sofferenza

 Salmo 77:11-20: Lo sguardo al passato nella sofferenza

Nella vita, anche in quella cristiana, possiamo ritrovarci in circostanze difficili e devastanti, ognuno di noi, anche il cristiano più spirituale, può ritrovarsi “in una valle oscura”.

Ma come dobbiamo comportarci in queste circostanze?

In questi versetti il salmista c’insegna cosa fare.

Il salmo può essere diviso in due parti; nella prima parte è messa al centro l’io, troviamo il lamento, la sofferenza, i dubbi, il senso dell’abbandono di Dio e lo scoraggiamento (vv. 1-10), nella seconda parte vediamo al centro Dio, l’adorazione, la speranza, il conforto (vv.11-20). 

La memoria che prima era debilitante (vv.5-9), ora è rinvigorente (vv.11-20). 

Come diceva James Montgomery Boice: “A questo punto la sua revisione del passato non è motivo di dolore, ma un fondamento per la crescita spirituale e il conforto”.

Quella mano destra dell’Altissimo che Asaf pensava che fosse cambiata (v.10) è lontana dal fallire, il salmista collega il passato al presente pieno di speranza.

Nonostante la sofferenza e il senso dell’assenza di Dio, il salmista continua a credere in Dio.

Matthew Henry diceva: "Specialmente quando Dio sembra essersi ritirato da noi; dobbiamo cercarlo e cercare finché non lo troviamo”.

Asaf prega e cerca Dio, sa che lo ascolta e rifiuta di essere consolato nell’angoscia: voleva una risoluzione, un cambiamento, non una consolazione! 

Il salmista prega (vv.1-2) perché Dio si riveli potentemente nel cambiare la sua situazione sofferente, questo è il suo dramma e la sua perplessità, ma anche di quei credenti che non vogliono soffrire!

Mentre grida a Dio per essere aiutato, il suo cuore è per tutto il tempo preso interamente dalla sua stessa sofferenza e angoscia (vv.1-7).

Preso dai dubbi riguardo al Signore; si chiede se il Signore lo respinge per sempre; se la sua misericordia è venuta a mancare per sempre; se la Sua parola ha cessato per ogni generazione; se ha dimenticato di aver pietà; se ha soffocato nell’ira il suo amore (vv.7-9)

Poi afferma che l’afflizione consiste nel fatto che la destra dell’Altissimo è mutata (v.10), cioè la Sua potenza e la Sua prontezza nel liberare, nel proteggere e nel conservare (cfr. Esodo 15:6,12). 

Ma che cosa fa il salmista per vincere i suoi dubbi riguardo al Signore? 

Matteo 26:39: La preghiera nella sofferenza.

 Matteo 26:39: La preghiera nella sofferenza. 

Herbert Carson disse: “Essere umani significa affrontare il problema della sofferenza”.

La sofferenza fa parte della vita degli esseri umani e anche la Bibbia ne parla come qualcosa di reale, concreta e personale.

Paul David Tripp a riguardo afferma: “La sofferenza non è mai astratta, teorica o impersonale. Al contrario, la sofferenza è reale, tangibile, personale e specifica. La Bibbia non la presenta mai come un’idea o un concetto, ma ce la pone davanti agli occhi nella reale e cruenta storia delle vicende umane. Quando tratta della sofferenza, la Scrittura non è mai evasiva o superficiale nel suo approccio, né minimizza mai le difficili esperienze di vita che accadono in questo mondo orribilmente sconvolto dal male”.

Dio comprende la nostra sofferenza perché l'ha vissuta in Cristo Gesù.

Gesù prese con sé i tre discepoli più intimi (Pietro, Giacomo e Giovanni) per pregare insieme in un momento difficile della Sua vita, e andò con loro in un posto chiamato “Getsemani” che si trova da qualche parte sulle pendici del Monte degli Ulivi.

Gesù era triste e angosciato, oppresso da tristezza mortale per la sofferenza che doveva passare sulla croce, una sofferenza morale, fisica e spirituale.

Ma la Sua oppressione di tristezza mortale contrasta con la mancanza di consapevolezza e preoccupazione per il loro Signore dei i tre discepoli, infatti non si resero conto di quello che Gesù stava provando, al posto di pregare con Lui e per Lui, si addormentarono; Gesù è stato solo nella Sua sofferenza!

Subito dopo, mentre Gesù parlava con i tre arrivò Giuda con una gran folla per arrestarlo.

Gesù aveva bisogno di condividere la Sua angoscia con i tre discepoli, aveva bisogno che lo sostenessero, ma non lo hanno fatto!

Gesù dovette combattere la Sua battaglia contro la sofferenza da solo senza il supporto dei Suoi discepoli più intimi!!

Quante volte ci siamo sentiti soli, o ci sentiamo soli e forse saremo soli nella nostra sofferenza.

Abbiamo cercato, o cerchiamo sostegno e la chiesa è indifferente alla nostra sofferenza nonostante sappia ciò che stiamo vivendo!

Ebbene Gesù ci capisce perché anche Lui è stato solo, ha cercato sostegno e non lo ha avuto dagli uomini!

Il racconto dell’agonia di Gesù nel giardino del Getsemani ci fa capire la sua umanità, quale fosse il costo della Sua missione e anche il rapporto intimo che aveva con il Padre, ma ci fa anche capire come dobbiamo pregare nella sofferenza.

In questo versetto prima di tutto vediamo:

I LA POSTURA

“Si gettò con la faccia a terra”.

“Si gettò” (epesen – aoristo attivo indicativo) significa prostrarsi davanti a qualcuno con l’implicazione di preghiera (cfr. Luca 5:12; 17:16), sottolinea la profondità dell'emozione di Gesù.

“Si gettò con la faccia a terra” indica che Gesù ha adottato la postura più umile per la Sua preghiera! (cfr. Genesi 17:3,17; Numeri 14:5; 16:4; Giosuè 7:6; Neemia 8:6), indica anche l’urgenza, infatti era triste e angosciato per la morte che doveva patire in croce (vv.36-38) e per questo prega in questo modo per portare la Sua angoscia e la Sua preoccupazione al Padre.  

Luca 22:44 dice: “Ed essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra”. 

Ci sono diverse interpretazioni riguardo il suo sudore, se divenne veramente sangue, o se era mescolato con il sangue, o se era solo un paragone, cioè se una grande quantità di sudore colava a terra come sangue.

Comunque sia, letterale o meno, le emozioni di Gesù erano così intense che sudava copiosamente tanto che le grosse gocce scorrevano e gocciolavano a terra!

La meraviglia dell'incarnazione del Figlio di Dio è che era veramente divino e veramente umano.

Se qualcuno pensa che questo atteggiamento non rende giustizia alla Sua divinità, deve pensare che Gesù oltre a essere di natura divina era anche contemporaneamente di natura umana e tale doveva essere per simpatizzare con noi (per esempio Luca 2:52; Giovanni 4:6; 19:28; Ebrei 2:14-18; 4:14-16; 5:7-9). 

Gesù c’insegna che in mezzo alla sofferenza quello che dobbiamo fare è pregare Dio Padre umiliandoci alla Sua presenza!

Pietro ci esorta dicendo: “Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi a suo tempo; gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (1 Pietro 5:6-7).

La sofferenza mette a nudo l’illusione dell’autonomia e dell’autosufficienza umana, allora dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno di Dio!

Ora dobbiamo stare molto attenti: il diavolo ci attacca per distruggere la nostra fede nel Signore, per allontanarci da Dio nostro Padre, e nella sofferenza o tramite la sofferenza ci mette dei dubbi riguardo Dio, per esempio del Suo amore, fedeltà, della Sua presenza e così via, ci porta allo scoraggiamento, alla depressione, alla paura, o a invidiare coloro che non soffrono, o a lamentarci contro Dio, e certamente non vuole che noi preghiamo!

Ma noi dobbiamo sempre pregare! 

La preghiera è importante in ogni momento, quindi anche quando soffriamo!

Gesù lo ha fatto! E questo ci fa capire che non c’è una cura migliore di questa!

Gesù ci fa capire com’è importante la preghiera in ogni momento, anche in un momento difficile.

John Ryle disse: "La preghiera è il miglior rimedio pratico che possiamo usare in tempo di difficoltà".

Paolo in Efesini 6:18 dice: “Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza”.

In 1 Tessalonicesi 5:17 esorta: “Non cessate mai di pregare”.

Questo è quello che devi fare quando i problemi ti aggrediscono!! O quando stai soffrendo!!

Gesù portò la Sua angoscia al Padre e anche se non fu esaudito, fu però ascoltato, infatti è stato rafforzato!

Luca dice: “Allora gli apparve un angelo dal cielo per rafforzarlo” (Luca 22:43). 

Dio Padre non lo ha esaudito, ma lo ha rafforzato tramite un angelo!

Quindi anche se Dio non cambia la nostra difficile situazione, la nostra sofferenza, comunque ci rafforza!

Anche Paolo ha pregato che Dio lo liberasse dalla sofferenza e Dio gli rispose: “’La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza’. Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me” (2 Corinzi 12:9; cfr. Isaia 40:30-31; Filippesi 4:13).  

In secondo luogo in questo versetto troviamo:

II LA PATERNITÀ 

“Padre mio”.

Gesù c’insegna a pregare Dio Padre: la vera preghiera è la preghiera a Dio Padre, così ha insegnato a pregare anche ai Suoi discepoli con “il Padre nostro” (Matteo 6:9).

Noi nella Bibbia non troviamo la preghiera verso gli uomini, o i santi, o gli angeli, ma solo verso Dio!

“Padre mio” si trova spesso in Matteo (Matteo 7:21; 11:25-27; 12:50; 16:17; 25:34); indica il tipo di rapporto che Gesù aveva con Dio. 

“Padre” (Pater) si riferisce a una parola ebraica (Abbà) che indica un affetto speciale, il calore, la fiducia, la sottomissione, il rapporto intimo nella sicurezza della cura di un padre amorevole, indica la consapevolezza di Gesù di avere un rapporto unico con Dio. 

Anche in questo tempo difficile, Gesù sapeva che Suo Padre gli era vicino.

“Padre mio” sia qui che al v.42 sottolinea ulteriormente che è il rapporto tra Dio Padre e Gesù è messo alla prova e riaffermato. 

Nella sofferenza la nostra fede e la nostra relazione con Dio viene provata e tira fuori ciò che siamo veramente e ciò abbiamo veramente nel nostro cuore!

In un modo diverso da Gesù, tutti i credenti sono figli di Dio e Gesù ci ha insegnato a pregare cominciando a dire proprio “Padre nostro” (Matteo 6:9).

Il fatto che siamo figli di Dio, è uno dei temi centrali della Bibbia!

C. S. Lewis scrisse: "Quando la Bibbia parla di Figli di Dio questo ci pone di fronte al centro stesso della teologia". 

Che meraviglia il Creatore dei cieli e della terra, l’Onnipotente è tuo Padre se sei nato di nuovo spiritualmente in Gesù Cristo (Giovanni 1:12; Romani 8:14-17; 2 Corinzi 6:18; Galati 4:4-6; 1 Giovanni 3:1-2).

Anche noi credenti, possiamo gridare a Dio: “Abbà Padre!”, questo indica il grande e profondo privilegio che abbiamo in Cristo (cfr. Romani 8:15; Galati 4:6).

Su “Abba! Padre!” Lutero diceva: “È una piccola parola, tuttavia comprende tutte le cose. La bocca non parla, ma l'affetto del cuore parla in questo modo. Sebbene io sia oppresso dall'angoscia e dal terrore da ogni parte, e sembri essere abbandonato e completamente allontanato dalla tua presenza, tuttavia sono tuo figlio e tu sei mio Padre per amore di Cristo: sono amato a causa dell'Amato. Perciò questa piccola parola, Padre, concepita efficacemente nel cuore, sorpassa tutta l'eloquenza di Demostene, di Cicerone e dei più eloquenti retori che siano mai stati nel mondo. Questa questione non si esprime con parole, ma con gemiti, gemiti che non possono essere pronunciati con nessuna parola o eloquenza, perché nessuna lingua può esprimerli”.

Certo, c'è un senso in cui Dio può essere giustamente definito il Padre di tutte le persone, ma come Creatore (Malachia 2:10; Salmo 36:6), ma qui il riferimento è nel senso spirituale di salvati dal peccato, di rigenerati, di nuove creature!

Se sei in Cristo, puoi entrare alla presenza di Dio, puoi avvicinarti a Lui e pregarlo consapevole che ti accoglie e ti ascolta come un amorevole Padre!

In terzo luogo in questo versetto vediamo: 

III IL PATIMENTO

“Se è possibile, passi oltre da me questo calice!”

Gesù c’insegna a essere onesti davanti a Dio Padre nel comunicare i nostri desideri, preoccupazioni, sofferenze, ad aprire i nostri cuori in Sua presenza (Salmo 62:8).

Dovremmo imparare a pregare come fece Gesù in mezzo alle prove, e cioè che non è sbagliato desiderare, o pregare che Dio Padre ci liberi dalla sofferenza!

Il soggetto di preghiera di Gesù era se era possibile che Dio allontanasse da lui questo calice. 

“Se è possibile” è in enfasi, quindi indica il desiderio forte e urgente di Gesù.

Gesù supplica il Padre, con un modo di dire: “Se è possibile, passi oltre da me questo calice!”, che indica il far si che non subisca questa esperienza di sofferenza.

Gesù ha predetto molte volte la sua morte imminente (Matteo 16:21-28; 17:22-23; 20:17-23; 26:26-28; Luca 24:6-7), ma al culmine del Suo tempo di sofferenza, Gesù ha una reazione umana riguardo ciò che doveva soffrire!

“Passi (parelthatō – aoristo attivo imperativo) oltre da me” indica ancora la richiesta urgente e forte di Gesù, il desiderio di non soffrire.

“Calice” (potērion) non si riferisce solo alla sofferenza e alla morte (Matteo 20:22-23; Giovanni 18:11), ma come spesso è scritto nell’Antico Testamento si riferisce anche all’ira di Dio (Salmo 11:6; 75:7-8; Isaia 51:19, 22; Geremia 25:15-16,27-29; 49:12; 51:57; Lamentazioni 4:21; Ezechiele 23:31-34; Abacuc 2:16; Zaccaria 12:2), ira perché Gesù si caricava dei peccati dell’umanità (cfr. Isaia 53:3-10; Matteo 27:46; Galati 3:13; 1 Pietro 3:18). 

Gesù conosceva ogni dettaglio straziante di ciò che lo aspettava ed è per questo che è venuto sulla terra!

In Giovanni 12:27  è scritto: “Ora, l'animo mio è turbato; e che dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma è per questo che sono venuto incontro a quest'ora”.

“Se è possibile”, sottolinea il fatto che Dio potrebbe farlo, ma la fine della preghiera mostra che non è la Sua volontà.

In un certo senso tutte le cose sono possibili con Dio (Matteo 19:26), perché allora Gesù prega così?  Perché era così angosciato?

Questo passo ci fa capire l’umanità di Gesù (cfr. Matteo 26:41; Filippesi 2:7). 

Leon Morris scrive: “Non dobbiamo pensare a Gesù che affronta la morte con il desiderio appassionato di martirio che ha caratterizzato i fanatici nel corso della storia. La morte che ha affrontato è stata una morte orribile, e ha sperimentato il naturale timore umano di subire una tale prova. Quindi pregò che, se fosse stato possibile, potesse essere evitato”.

Dunque, il v.39 riassume la piena umanità di Gesù e dimostra fino a che punto poteva essere tentato.

Gesù come uomo sa di dover affrontare sulla croce una sofferenza vicaria atroce sia in termini fisici, sia in termini morali e soprattutto spirituali: stava per diventare oggetto dell'ira di Suo Padre a causa i nostri peccati, infatti pur non avendo conosciuto il peccato si è fatto peccato per noi! (2 Corinzi 5:21). 

L’angoscia di Gesù era il tipo di morte che doveva affrontare! Una morte terribile a causa del peccato del mondo!

Era il pensiero di farsi peccato, di morire per il peccato, di essere maledetto da Dio per il nostro peccato, di essere separato dalla comunione con Dio, che lo terrorizzava!! 

E noi questo non lo possiamo capire pienamente perché siamo peccatori e non abbiamo nessuna idea di cosa significhi non esserlo!

Lensky R.C.H. scrive: “Anche se nella sua agonia Gesù ha menzionato la possibilità, egli intende davvero cedere tutto alla volontà del Padre suo e mettere da parte la sua volontà. È la volontà umana di Gesù che parla qui. L'agonia subita nel Getsemani porterà sempre per noi un elemento di mistero a causa del mistero implicito nell'unione delle due nature di Cristo. Per prima cosa, non abbiamo alcuna concezione di ciò che il peccato, la maledizione, l'ira, la morte significava per la santa natura umana di Gesù. Poiché era senza peccato, non doveva morire; eppure, poiché era senza peccato e santo, ha voluto morire per il nostro peccato…Gesù morì sotto il peccato e la sua maledizione, il pungiglione della morte lo torturò con tutta la sua dannata potenza. Il peccato del mondo, infatti, era stato assunto da Gesù durante tutta la sua vita, ma qui nel Getsemani era arrivato il momento finale di quell'assunzione: con la venuta di Giuda e della sua banda Gesù ora entrò effettivamente nella morte che avrebbe espiato il peccato del mondo”.

Per Gesù non è la morte stessa che lo spinge a fare questa supplica, ma il tipo di morte, la sofferenza più intensa e atroce che si possa immaginare, la Sua sofferenza era la punizione per i peccati dell'umanità e la separazione dalla comunione con il Padre (Matteo 27:46), quindi un orrore e un dolore più grande! 

Ma fare la volontà del Padre è l'unica cosa che conta! Gesù sapeva che milioni e milioni di persone, grazie al Suo sacrificio sulla croce sarebbero stati salvati dai peccati e dall’ira di Dio (per esempio Matteo 1:21; Romani 5:1-11).

Così Gesù nella Sua umanità chiede se c’è un altro modo per adempiere la Sua missione, che non sia il calice della sofferenza in croce. 

Dunque, la questione non era se Gesù volesse, o non volesse fare la volontà del Padre (Gesù non si è ribellato!), ma se ciò includesse necessariamente la via della croce, o se ci fosse un altro modo, ma non c'era altro modo per adempiere il piano eterno salvifico di Dio (Giovanni 4:34; 6:38; 1 Pietro 1:18-20). 

Grazie all’obbedienza che lo portò sulla croce (Filippesi 2:8), Gesù porta la salvezza a tutti coloro che gli obbediscono (Ebrei 5:7-10).

Infine vediamo:

IV LA PRIORITÀ 

“Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi”.

Grant Osborne scrive: “Il profondo desiderio personale di Gesù è che Dio tolga la necessità di questo sacrificio vicario. Tuttavia, il suo desiderio più grande è vedere compiuta la volontà di Dio, ed è qui che avviene la vittoria di Gesù su se stesso. Gesù è consapevole del significato della sua morte per il disegno di salvezza di Dio e per la salvezza dell'umanità, così si abbandona alla volontà più grande del Padre”.

“Come io” (letteralmente ‘come io voglio’) è in enfasi, così come anche “come tu” (letteralmente ‘come tu vuoi’).

La frase: “Non come voglio io” attira l’attenzione su quello che dirà dopo che è la cosa più importante: “Ma come tu vuoi”, quindi il fare la volontà di Dio.

Anche nel Suo più grande momento di angoscia e difficoltà ad andare in croce, in questa più grande prova, o tentazione della Sua umanità, Gesù si è sottomesso allo scopo divino per il quale era venuto nel mondo; e invece di arrendersi alla Sua umanità, ha offerto tutto se stesso alla volontà del Padre Suo fino alla morte in croce (cfr. Filippesi 2:8).

Allora non è sbagliato desiderare e chiedere a Dio Padre che ci liberi dalla sofferenza, ma Gesù c’insegna ad arrenderci e accettare la Sua volontà!!

Nessuno di noi soffrirà come soffrì Gesù, ma possiamo affidarci alla volontà sovrana di Dio nello stesso modo in cui lo fece Gesù!!

La preghiera di Gesù in questo versetto (cfr. Matteo 26:42,44) esprime il Suo desiderio di evitare la sofferenza della croce, ma è consapevole e preferisce che il Padre e il Suo piano abbiano la priorità sulla Sua richiesta di non morire in croce: la volontà del Padre deve essere fatta (cfr. Matteo 6:10; 26:53-54).

Per Gesù la cosa più importante era: la volontà di Dio!

Già lo aveva detto altre volte.

“Gesù disse loro: ‘Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l'opera sua’” (Giovanni 4:34).

In Giovanni 5:30 Gesù afferma: “Io non posso far nulla da me stesso; come odo, giudico; e il mio giudizio è giusto, perché cerco non la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. 

Mentre in Giovanni 6:37-38 dice: “Tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori; perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”.

Nella preghiera del “Padre nostro” Gesù aveva insegnato: “Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo” (Matteo 6:10).

Dunque, la richiesta finale della preghiera di Gesù riposa nella volontà di Dio. Gesù non cerca di imporre la Sua volontà al Padre: “Non come voglio io”, ma di accettare la volontà del Padre: “Ma come vuoi tu”, e questo significa la Sua sottomissione al Padre anche se c’è da soffrire!

“Ma come vuoi tu” è un desiderio e una determinazione che la volontà dichiarata di Dio, il Suo comando al Figlio di morire per i peccatori, possa essere effettivamente attuato.

Gesù è venuto su questa terra per fare la volontà del Padre e per tutta la Sua vita l’ha fatto con determinazione! 

Così anche ora, mentre affronta il culmine, il momento decisivo del piano di Dio, anche se umanamente è provato, insiste sul fatto che è la volontà del Padre la Sua principale preoccupazione, la Sua priorità!

Ora, non è sbagliato pensare che in questa circostanza che Gesù ha vissuto, anche se non è scritto, potrebbe essere stata un’altra tentazione da parte del diavolo com’era avvenuta altre volte! (Matteo 4:1-11; 16:21-23).

Il diavolo lo voleva distogliere dalla croce!

Michael J. Wilkins  scrive: “Gesù stava affrontando una vera e propria tentazione, la più grave della sua vita. Ha iniziato il suo ministero terreno di essere tentato dal diavolo nel deserto (4:1–11), ed è stato tentato da vari stratagemmi satanici in altri punti del suo ministero (ad esempio, 16:22–23). La caratteristica significativa delle precedenti tentazioni era il tentativo satanico di dissuadere Gesù dalla croce (cfr. 4:8–9; 16:21–23). Ora, nel momento in cui è pronto a compiere la missione della sua vita, la tentazione si intensifica al massimo. Questo è l'ultimo disperato tentativo del diavolo di convincere Gesù che la croce non è necessaria. Ma Gesù ha dimostrato una completa fiducia nel potere sovrano e nella perfetta volontà del Padre suo per tutta la sua vita, quindi in questo momento di più grande tentazione, si rivolge al Padre suo per avere una guida. Gesù aveva profetizzato che doveva sopportare questo calice della crocifissione per compiere la redenzione dell'umanità (cfr. 20:22–23,28; 26:27), ma Satana lo tenta ancora a credere che non sia assolutamente necessario. Gesù espone la tentazione al Padre suo, ma non chiede di sottrarsi al suo destino. Vuole solo obbedire alla volontà di suo Padre. Questo è l'esempio emblematico di onestà e fiducia nella preghiera”. 

In questa crisi, peggiore della tentazione nel deserto (Matteo 4:1-11), Gesù chiede se ci fosse un'alternativa alla sofferenza atroce della croce per la realizzazione degli scopi salvifici del Padre. 

La salvezza del mondo era a rischio nel Getsemani, Gesù come uomo poteva ritornare indietro, e il proposito di Dio sarebbe stato frustrato! Ma questo era impossibile! (cfr. Isaia 14:27; 46:10; Daniele 4:35).

Ma è chiaro che Gesù intende rispettare pienamente la volontà del Padre!

In questo momento tutto ciò che Gesù sapeva era che doveva andare avanti, e davanti c'era una croce che lo aspettava!

Così vediamo contemporaneamente sia il fatto che Gesù potesse essere provato, o tentato nella Sua umanità e sia la Sua completa obbedienza.

Ora come scrive Craig Keener: “L'obbedienza di Gesù è un esempio per i discepoli (12:50; cfr. 7:21). Amare Dio non significa sempre che vogliono affrontare ciò che Dio li chiama ad affrontare; significa che scelgono di affrontarlo comunque”.

Seguire l’esempio di Gesù significa sottomettersi alla volontà di Dio anche se abbiamo progetti, desideri, interessi diversi dai Suoi!

Noi non dobbiamo solo pregare che sia fatta la volontà di Dio nel mondo e nella nostra vita (Salmo 143:10; Matteo 6:10; 26:39,42), non dobbiamo nemmeno rifiutarla (Salmo 107:11; Isaia 30:1; Ezechiele 3:7; Matteo 23:37; Luca 7:30) anche se stiamo soffrendo e abbiamo la tentazione di seguire la nostra volontà; ma dobbiamo anche obbedire alla volontà di Dio (Esdra 10:11; Matteo 7:21; 12:50; Efesini 6:6; Ebrei 13:21; Giacomo 4:15), e questo significa mettere Dio, i Suoi piani e la Sua gloria prima dei nostri interessi, desideri e progetti!

In un incontro della Fellowship of Christian Athletes, Bobby Richardson, ex seconda base dei New York Yankees fece questa preghiera: "Caro Dio, la tua volontà, niente di più, niente di meno, nient'altro. Amen”.

Le tentazioni, o le prove sono necessarie nella nostra vita cristiana (cfr. Atti 14:22; 1 Pietro 1:6) come diceva Tertulliano alla fine del II secolo: “Nessuno che non sia stato tentato può entrare nel regno dei cieli.” 

Martyn Lloyd Jones scriveva: “La prova costituisce non soltanto un ‘test’ per la fede, ma anche una dimostrazione della sua esistenza”.

Tutti abbiamo il nostro Getsemani privato, e ognuno di noi deve imparare a dire: “Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi”.

CONCLUSIONE 

Noi vediamo la lotta interiore che Gesù aveva come uomo.

La sofferenza scatena un conflitto spirituale dentro di noi, nessuno di noi vuole soffrire, ognuno di noi vuole seguire la propria volontà senza dolore, e questo potrebbe portarci a essere vulnerabili e ad altre tentazioni, o ai limiti estremi della sopportazione e a forti pressioni sulla nostra fede.

Nella sofferenza ci sono tante trappole di Satana per allontanarci da Dio come i dubbi non nel senso positivo, ma negativo nel senso che ci può portare a lamentarci davanti a Dio, o a criticarlo, o a disprezzarlo, o che non sia buono, insensibile e inaffidabile e quindi non merita la nostra fiducia perché stiamo soffrendo!

Gesù c’insegna a vincere la nostra volontà per sottometterci a Dio con fede nel fare la Sua volontà con piena fiducia e dipendenza!

In questo versetto Gesù è un modello su come affrontare la sofferenza e come dobbiamo pregare quando stiamo soffrendo. 

Sappiamo che nonostante la sofferenza porti a una crescita spirituale (per esempio 2 Corinzi 4:16-18; Ebrei 12:4-11; Giacomo 1:2-4; 1 Pietro 1:6-7), dobbiamo pregare che sia rimossa da noi? 

Dobbiamo pregare per un cambiamento delle circostanze, o solo che Dio ci dia la forza di sopportare la sofferenza? 

In Gesù uomo troviamo l’equilibrio che dobbiamo avere: il desiderio onesto con la preghiera che Dio ci liberi dalla sofferenza e la sottomissione alla volontà di Dio.

 Dunque pregheremo che Dio ci liberi dalla sofferenza, ma dobbiamo anche avere l’atteggiamento di essere sottomessi a Dio accettando la volontà di Dio della nostra sofferenza.

Paul David Tripp dice: “La sofferenza ci mette davanti al fatto che ad avere priorità è Dio, non il nostro io; la sua gloria, non la nostra; le sue esigenze, non le nostre; il suo piano per la nostra vita, non il nostro; la sua sovranità, non la nostra; il suo regno, non i nostri piccoli domini; la proclamazione della sua incommensurabile Maestà, non dei nostri miserevoli successi”.




Osea 1:1: La Parola di Dio rivelata

 Osea 1:1: La Parola di Dio rivelata

“Conoscere Dio senza Dio è impossibile; poiché egli è la fonte di ogni conoscenza, deve essere la fonte della conoscenza di se stesso” (John Blanchard).

Nessuno meno di Dio può portarci informazioni vere e affidabili su se stesso ed è proprio quello che fa attraverso la Sua rivelazione attraverso i profeti, in questo caso di Osea.

Osea iniziò il suo ministero durante un periodo di prosperità sotto il regno di Geroboamo II verso la fine del suo regno.

Osea era del regno del Nord, d’Israele, servì il Signore nel periodo che precedette la caduta d’Israele da parte dell'Assiria che è avvenuta nel 722 a.C.

John MacArthur scrive: “Osea era probabilmente nativo del regno del nord, come risulta evidente dalla sua familiarità con la storia, gli eventi e la topografia della zona settentrionale del paese (cfr.4:15; 5:1,13; 6:8-9; 10:5; 12:11-12; 14:6). Questo fa di lui e di Giona gli unici profeti-scrittori del regno del nord. Sebbene si rivolga tanto a Israele (il regno del nord) quanto a Giuda (il regno del sud), egli riconosce nel re d’Israele ‘il nostro re’ (7:5)”.

Osea profetizzò nel regno del Nord, e i suoi oracoli sono diretti principalmente contro Israele (per esempio Osea 1:4–6; 3:1; 4:1; 5:1; 6:10; 9:1; 10:1; 11:1; 14:1), contro Samaria, la capitale settentrionale (Osea 7:1; 8:5-6; 10:5,7; 13:16), e contro i santuari settentrionali, in particolare Betel (per esempio 10:15; cfr. Osea 4:15; 10:5); ma sono diretti anche per il regno del Sud come vediamo dalle osservazioni per Giuda sparse in tutto il libro (per esempio Osea 5:10-14; 6:4, 11; 8:14), e anche dalla menzione dei quattro re di Giuda in questo v.1.

Il pluralismo da un punto di vista biblico

Il pluralismo da un punto di vista biblico (Giovanni 14:6; Atti 4:12; 1 Corinzi 8:6).

Il problema che viene posto a noi cristiani in relazione alla salvezza è l'affermazione: c’è solo una via di salvezza, Gesù Cristo!

Quindi siamo accusati di essere presuntuosi, arroganti,intolleranti, bigotti, estremisti e così via. Oggi viviamo in una cultura pluralistica e della religione fai da te: si prende un po’ di questa religione, un po’ dell’altra religione, un po’ di Islam, un po’ di buddismo, un po’ di cristianesimo e si crea una religione come si vuole.

Una volta fu chiesto all’attrice Marilin Monroe se credesse in Dio, con un sorriso malizioso rispose:’Io credo un po’ di tutto’.

C’è chi addirittura ha combinato di mettere insieme le varie religioni per ricavarne una fede universale, ma ha dovuto ammettere che il cristianesimo non si lascia assimilare da una religione globale, che la religione cristiana non conosce compromessi e richiede ai suoi aderenti di credere pienamente e di essere totalmente consacrati a Gesù Cristo.

Il cristianesimo è una religione esclusivista perché sostiene che Gesù è l’unica via!

Questo atteggiamento è molto impopolare in una cultura dove è basata sulla libertà di scelta e dove si pensa che ognuno ha la sua verità. 

Si può conoscere Dio?

 Si può conoscere Dio?

Alcune persone sentono il bisogno di coprire una mancanza di fiducia in se stessi, cercando di fare una grande impressione. Un colonnello dell'esercito neopromosso si trasferì nel suo nuovo ufficio. Entrò, si sedette la scrivania nuova e grande, una persona bussò alla sua porta. “Solo un minuto”, disse il colonnello,”sono al telefono.” Egli prese il telefono e disse ad alta voce per farsi sentire: “Sì, signore, generale, chiamerò il Presidente di questo pomeriggio. No, signore, non dimenticherò.” Poi riattaccò il telefono e disse all’uomo di entrare. “Come posso aiutarla?” Chiese il colonnello. “Bene, signore,” rispose l’uomo, “Sono venuto per collegare il telefono”. 

Geremia 9:23-24: "Così parla il SIGNORE: 'Il saggio non si glori della sua saggezza, il forte non si glori della sua forza, il ricco non si glori della sua ricchezza: ma chi si gloria si glori di questo: che ha intelligenza e conosce me, che sono il SIGNORE. Io pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra, perché di queste cose mi compiaccio', dice il SIGNORE".

Questi versetti ci parlano su che cosa dobbiamo davvero vantarci! In questo caso l’esortazione non è a vantarsi per la propria sapienza, forza o ricchezza. Artur Wiser: " L’uomo, chiuso nella sfera puramente terrena e umana, è esposto al pericolo di idolatrare se stesso, in quanto per la sua superbia cieca non coglie le dimensioni più profonde della vita e dimentica il fattore più importante sul quale deve orientare la sua esistenza.”

L’uomo è profondamente narcisista, cioè ha'eccessivo senso di ammirazione o compiacimento per sé stessi o per i propri meriti, reali o presunti. L’uomo tende sempre a vantarsi, ma il Signore ci dice che il vanto non deve essere in noi stessi ma nella conoscenza di Dio! 

DIO È FEDELE (1)

 DIO È FEDELE (1).

“Una donna chiede alla sua amica: ’ Tuo marito ha tenuto fede alle cose che ti aveva detto prima di sposarti?’ ‘No solo a una’. ‘E quale?’ ‘Diceva di non essere l’uomo giusto per me’”.
Viviamo in un’epoca, dove l’infedeltà è uno dei peccati più appariscenti della nostra società: lo vediamo nel mondo degli affari, nell’amicizia, nei rapporti coniugali, e così via. 
Quindi, sapere che Dio è fedele è di grande conforto per noi! 
Tutti ci possono tradire, ma non Dio!
Giorgio Girardet riguardo la parola fedele dice: “Fedele è nella Bibbia, secondo un termine usato anche per le costruzioni, ciò che è stabile, sicuro, certo, ciò che rimane eguale a se stesso, e perciò anche ciò che è vero”.
Nella Bibbia c’è una parola ebraica per fedeltà (ʾemûnāh- Salmo 36:3; 89:1,2,3,6; 119:90; Lamentazioni 3:23) che indica stabilità, fermezza, quindi essere costante e coerente.
"Fedeltà" è in contrasto con la falsità, la menzogna (sheqel- Salmo 119:29-30; Proverbi  14:5; Geremia 5:1-2; 9:3; Isaia 59:4). 
Un’altra parola ebraica per fedeltà (ʾěměṯ- Genesi 24:27; Esodo 34:6) indica fermezza, verità, affidabile.
Nel greco, fedeltà (pistos) è ciò che evoca fiducia e fede, affidabilità, credibilità, Dio lo è perché dice sempre la verità, è verace (cfr. Numeri 23:19; Isaia 65:16; Giovanni 17:17).
La fedeltà di Dio è l’attributo dell’affidabilità, il contrario di tutto ciò che è incostante e fluttuante, quindi inaffidabile.
Come una roccia, il Signore è fermo, stabile, immutabile e inamovibile (Deuteronomio 32:4). 
Egli è immancabilmente fedele a noi, non ci ha mai deluso!!
Il Signore nella Sua fedeltà ci ha sempre aiutato, guidato, sostenuto! Sempre presente! 
In questa predicazione vediamo la natura e la manifestazione della fedeltà.

La parabola dei talenti (Matteo 25:19-30 - 2 Parte)

La parabola dei talenti (Matteo 25:19-30 - 2 Parte)

Tommaso da Kempis diceva: “Lavora un po' ora, e presto troverai grande riposo, in verità, gioia eterna; poiché se continuerai ad agire fedele e diligente, Dio sarà senza dubbio fedele e generoso nel ricompensare”.

Nella prima parte della predicazione sulla Parabola dei Talenti abbiamo visto la responsabilità che il padrone affidò a tre dei suoi servi e la loro reazione, oggi vediamo la resa dei conti.

Il v.19 dice: “Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro”.

Passò molto tempo prima che l’uomo, ora chiamato “il padrone di quei servi” ritornò a fare i conti con loro per vedere se avessero adempiuto il proprio dovere, e questo dimostra che era stato dato loro il denaro per farlo fruttare.

“Padrone” (kyrios), cioè “Signore”, si riferisce a Gesù (per esempio Matteo 7:21-22; Luca 6:46; Giovanni 20:28; Romani 1:4; 1 Corinzi 8:6) e “dopo molto tempo” è inteso al Suo ritorno (per esempio Atti 1:11; Filippesi 3:20-21; 1 Tessalonicesi 4:13-18).

Quando Gesù ritornerà ci chiederà conto, a ognuno di noi, come abbiamo impiegato, amministrato le risorse che Lui ci ha dato.

Dunque l'enfasi qui non è sulla natura inaspettata del ritorno, ma sul ritardo del Suo ritorno (molto tempo) e sulla responsabilità che comporta per i cristiani, cioè i servi di Gesù Cristo.

Matteo 25:19-30: La parabola dei talenti (2 Parte)

 Matteo 25:19-30: La parabola dei talenti (2 Parte)

Tommaso da Kempis diceva: “Lavora un po' ora, e presto troverai grande riposo, in verità, gioia eterna; poiché se continuerai ad agire fedele e diligente, Dio sarà senza dubbio fedele e generoso nel ricompensare”.

Nella prima parte della predicazione sulla Parabola dei Talenti abbiamo visto la responsabilità che il padrone affidò a tre dei suoi servi e la loro reazione, oggi vediamo la resa dei conti.

Il v.19 dice: “Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro”.

Passò molto tempo prima che l’uomo, ora chiamato “il padrone di quei servi” ritornò a fare i conti con loro per vedere se avessero adempiuto il proprio dovere, e questo dimostra che era stato dato loro il denaro per farlo fruttare.

“Padrone” (kyrios), cioè “Signore”, si riferisce a Gesù (per esempio Matteo 7:21-22; Luca 6:46; Giovanni 20:28; Romani 1:4; 1 Corinzi 8:6) e “dopo molto tempo” è inteso al Suo ritorno (per esempio Atti 1:11; Filippesi 3:20-21; 1 Tessalonicesi 4:13-18).

Quando Gesù ritornerà ci chiederà conto, a ognuno di noi, come abbiamo impiegato, amministrato le risorse che Lui ci ha dato.

Dunque l'enfasi qui non è sulla natura inaspettata del ritorno, ma sul ritardo del Suo ritorno (molto tempo) e sulla responsabilità che comporta per i cristiani, cioè i servi di Gesù Cristo.

La parabola dei talenti (Matteo 25:14-18 -1 Parte)

                                          La parabola dei talenti  (Matteo 25:14-18 -1 Parte)

La parabola inizia con “Poiché avverrà come” ed è collegata alla conclusione della parabola precedente in riferimento a essere preparati, vigili al ritorno di Gesù Cristo perché non sappiamo il giorno e l’ora del Suo ritorno (Matteo 25:13). 

Gesù sta parlando sempre del regno dei cieli di come si manifesterà; questa parabola è così strettamente associata con l'ultima da condividerne la sua introduzione (cfr. Matteo 25:1).

Così il senso di “Poiché avverrà come” è: il regno è dunque simile alla situazione descritta in seguita.

Se la parabola precedente aveva l’enfasi sulla prontezza per il ritorno di Gesù, questa parabola è incentrata sul ritardo del ritorno di Gesù e sul servizio diligente, responsabile, fedele attivo del cristiano in attesa del Suo ritorno. 

Coloro che servono il Signore saranno ricompensati, mentre coloro che non lo servono saranno puniti.

Oggi vedremo solo una parte della parabola, mediteremo sui vv.14-18.

Questa parabola ci parla di:

Matteo 25:14-18: La parabola dei talenti (1 Parte)

 Matteo 25:14-18: La parabola dei talenti (1 Parte)

La parabola inizia con “Poiché avverrà come” ed è collegata alla conclusione della parabola precedente in riferimento a essere preparati, vigili al ritorno di Gesù Cristo perché non sappiamo il giorno e l’ora del Suo ritorno (Matteo 25:13). 

Gesù sta parlando sempre del regno dei cieli di come si manifesterà; questa parabola è così strettamente associata con l'ultima da condividerne la sua introduzione (cfr. Matteo 25:1).

Così il senso di “Poiché avverrà come” è: il regno è dunque simile alla situazione descritta in seguita.

Se la parabola precedente aveva l’enfasi sulla prontezza per il ritorno di Gesù, questa parabola è incentrata sul ritardo del ritorno di Gesù e sul servizio diligente, responsabile, fedele attivo del cristiano in attesa del Suo ritorno. 

Coloro che servono il Signore saranno ricompensati, mentre coloro che non lo servono saranno puniti.

Oggi vedremo solo una parte della parabola, mediteremo sui vv.14-18.

Questa parabola ci parla di:

Ebrei 10:10: L’opera di Gesù Cristo sulla croce per i credenti: La santificazione

 Ebrei 10:10: L’opera di Gesù Cristo sulla croce per i credenti: La santificazione

“In virtù di questa «volontà» noi siamo stati santificati, mediante l'offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre.”

“Santo subito” è uno slogan che è stato gridato nel 2005 per reclamare la rapida santificazione di papa Giovanni Paolo II. Questa espressione nacque durante il raduno di fedeli cattolici a Roma in l’occasione della morte (2 aprile), e dei funerali (8 aprile) di Giovanni Paolo II. In quell'occasione tantissimi fedeli, soprattutto giovani, sfilò gridando questo slogan e sollevando striscioni che lo esponevano. In realtà nella Bibbia la santificazione è attribuita allo Spirito Santo (cfr. Romani 15:16; 1 Corinzi 6:11; 1 Tessalonicesi 5:23) e a Dio subito per tutti i veri credenti. Infatti l’autore della lettera agli Ebrei afferma con certezza che tutti i cristiani sono santificati: “Noi siamo stati santificati.” “Siamo stati santificati” (hēgiasmenoi- perfetto passivo participio) in questo contesto, indica essere resi puliti, purificati dalla sporcizia e dal dominio del peccato, e liberati dalla sua colpa per la salvezza, e quindi resi idonei alla comunione con Dio (cfr. per esempio 1 Corinzi 6:11; Efesini 5:26; Ebrei 2:11). La santificazione che il popolo di Dio riceve allora è la purificazione dal peccato e l’essere resi idonei alla presenza di Dio in modo che possano offrirgli un'adorazione accettabile. Ma un altro aspetto molto incoraggiante è che il tempo del greco (perfetto) indica la natura definitiva e l'efficacia costante della santificazione che Cristo ha provveduto!

La parabola delle dieci vergini (Matteo 25:1-13)

 La parabola delle dieci vergini (Matteo 25:1-13)

Questa parabola è stata raccontata da Gesù ai Suoi discepoli negli ultimi giorni prima della Sua crocifissione; con il Suo insegnamento Gesù avvertì i discepoli riguardo la fine dei tempi. 

La mancanza di un'adeguata preparazione al Suo ritorno è eternamente disastrosa!!

Questa parabola sottolinea la necessità di preparazione di fronte a un ritardo inaspettatamente lungo del ritorno di Gesù Cristo.

In questa parabola troviamo tre figure: lo sposo che è Gesù Cristo (Matteo 9:15; cfr. Giovanni 3:29; Efesini 5:27; Apocalisse 19:7), che nell’Antico Testamento è Dio (Isaia 54:4–6; 62:5; Geremia 31:32; Osea 2:16,19).

Le cinque vergini sagge sono i cristiani fedeli, o vigilanti e le cinque vergini stolte sono i credenti infedeli, o incuranti; e il rifiuto da parte dello sposo di lasciare le stolte fuori dal banchetto nuziale chiudendo loro la porta, è il giudizio finale, alla venuta del Figlio dell'uomo di cui si parla nel passaggio immediatamente precedente (Matteo 24:42-51).

Non si parla di una sposa, la sua menzione non è essenziale per il messaggio che vuole comunicare Gesù, l'enfasi è sulla preparazione delle vergini mentre aspettano l'arrivo dello sposo.

Se guardiamo questa parabola con occhi occidentali, può sembrare una storia innaturale e inventata; ma, in realtà, racconta una storia di una processione nuziale che poteva accadere in qualsiasi momento in un villaggio Israeliano ai tempi di Gesù.

Matteo 25:1-13: La parabola delle dieci vergini

 Matteo 25:1-13: La parabola delle dieci vergini 

Questa parabola è stata raccontata da Gesù ai Suoi discepoli negli ultimi giorni prima della Sua crocifissione; con il Suo insegnamento Gesù avvertì i discepoli riguardo la fine dei tempi. 

La mancanza di un'adeguata preparazione al Suo ritorno è eternamente disastrosa!!

Questa parabola sottolinea la necessità di preparazione di fronte a un ritardo inaspettatamente lungo del ritorno di Gesù Cristo.

In questa parabola troviamo tre figure: lo sposo che è Gesù Cristo (Matteo 9:15; cfr. Giovanni 3:29; Efesini 5:27; Apocalisse 19:7), che nell’Antico Testamento è Dio (Isaia 54:4–6; 62:5; Geremia 31:32; Osea 2:16,19).

Le cinque vergini sagge sono i cristiani fedeli, o vigilanti e le cinque vergini stolte sono i credenti infedeli, o incuranti; e il rifiuto da parte dello sposo di lasciare le stolte fuori dal banchetto nuziale chiudendo loro la porta, è il giudizio finale, alla venuta del Figlio dell'uomo di cui si parla nel passaggio immediatamente precedente (Matteo 24:42-51).

Non si parla di una sposa, la sua menzione non è essenziale per il messaggio che vuole comunicare Gesù, l'enfasi è sulla preparazione delle vergini mentre aspettano l'arrivo dello sposo.

Se guardiamo questa parabola con occhi occidentali, può sembrare una storia innaturale e inventata; ma, in realtà, racconta una storia di una processione nuziale che poteva accadere in qualsiasi momento in un villaggio Israeliano ai tempi di Gesù.

Dunque, Gesù paragona il regno dei cieli che si manifesterà in futuro, a dieci vergini, di cui cinque sono ammesse al banchetto nuziale e le altre cinque no, perché non sono state pronte; quando arriverà improvvisamente il Figlio dell'uomo, alcuni saranno pronti e altri no.

La parabola del fico (Matteo 24:32-33)

 La parabola del fico (Matteo 24:32-33)

Ci sono occasioni, come per esempio quella dell’undici settembre con l’attentato delle Torri Gemelle a New York, o come adesso con la pandemia del coronavirus, che certe persone che non hanno mai mostrato interesse per la Bibbia s’interessano all’escatologia, cioè a ciò che la Bibbia dice sulla fine del mondo e sull'eternità. 

Sia per curiosità sul proprio destino, o per il desiderio di dare un senso ai tempi difficili, complessi e imprevedibili, queste persone ricercano sul web, oppure ascoltano volentieri coloro che parlano delle profezie bibliche. 

Gesù aveva detto ai discepoli riguardo il tempio, che sarebbe stato distrutto, i discepoli gli chiesero quando questo sarebbe avvenuto e quale sarebbe stato il segno della venuta di Gesù e la fine dell’età presente (Matteo 24:1-3).

Gesù dai vv.4 al v.28 dice sempre ai Suoi discepoli, quali sono i segni, poi dai vv.29-31 parla della Suo ritorno, e dai vv.32-33 dice la parabola del fico in relazione ai segni e al Suo ritorno.

Prima di tutto vediamo la:

Matteo 24:32-33: La parabola del fico

 Matteo 24:32-33: La parabola del fico 

Ci sono occasioni, come per esempio quella dell’undici settembre con l’attentato delle Torri Gemelle a New York, o come adesso con la pandemia del coronavirus, che certe persone che non hanno mai mostrato interesse per la Bibbia s’interessano all’escatologia, cioè a ciò che la Bibbia dice sulla fine del mondo e sull'eternità. 

Sia per curiosità sul proprio destino, o per il desiderio di dare un senso ai tempi difficili, complessi e imprevedibili, queste persone ricercano sul web, oppure ascoltano volentieri coloro che parlano delle profezie bibliche. 

Gesù aveva detto ai discepoli riguardo il tempio, che sarebbe stato distrutto, i discepoli gli chiesero quando questo sarebbe avvenuto e quale sarebbe stato il segno della venuta di Gesù e la fine dell’età presente (Matteo 24:1-3).

Gesù dai vv.4 al v.28 dice sempre ai Suoi discepoli, quali sono i segni, poi dai vv.29-31 parla della Suo ritorno, e dai vv.32-33 dice la parabola del fico in relazione ai segni e al Suo ritorno.

1 Cronache 29:3: Un segno di una vera devozione a Dio

 1 Cronache 29:3: Un segno di una vera devozione a Dio

“Inoltre, per la devozione che porto alla casa del mio Dio, siccome io posseggo in proprio un tesoro d'oro e d'argento, io lo do alla casa del mio Dio, oltre a tutto quello che ho preparato per la casa del santuario”.

La qualità di un discepolo, o di un cristiano spirituale può essere misurata in diversi modi: dalla qualità della sua vita di preghiera, dal suo rapporto con la Bibbia, dalla sua passione per le anime perdute, ma c’è un’altra prova importante e cioè il suo rapporto con i soldi, o con i propri averi.  La Bibbia parla molto di come gestire i nostri soldi, o i nostri averi, e il modo come li amministriamo mostra la nostra spiritualità. Questo capitolo di 1 Cronache è uno dei tanti passi che parlano del donare a Dio, in questo caso per la costruzione del Suo tempio. Davide dedicò i suoi ultimi anni di vita alla preparazione della costruzione del tempio sapendo che non sarebbe vissuto a lungo per vederlo. Davide per la devozione che portava verso il tempio di Dio, donò anche i suoi tesori d’oro e di argento dal valore di milioni e milioni di euro (vv.4-5) per la costruzione del tempio. Dopo aver dato il buon esempio con la sua donazione generosa, Davide sfida tutta l’assemblea a donare (vv.1,5) e così i capi delle case patriarcali, i capi delle tribù d’Israele e così via seguirono il suo esempio con le loro offerte volontarie per un valore di milioni e milioni di euro (vv.6-9). Dai vv.10-13 Davide benedisse il Signore in presenza di tutta l’assemblea riconoscendo che ciò che hanno dato in realtà è ciò che hanno ricevuto dalla mano del Signore (vv.10-14,16).

1 Re 8:22: Quando non sai cosa dire in preghiera

 1 Re 8:22: Quando non sai cosa dire in preghiera.

“Poi Salomone si pose davanti all'altare del SIGNORE, in presenza di tutta l'assemblea d'Israele, stese le mani verso il cielo, e disse…”.

John Bunyan disse: “ La preghiera è uno scudo per l'anima, un sacrificio a Dio e un flagello per Satana”. La preghiera è una grande benedizione che Dio ci ha dato. La preghiera è molto importante e il tempo che trascorriamo in essa non è mai tempo sprecato! Come ci ricorda J.C. Ryle: “Nessun tempo è così ben speso ogni giorno come quello che spendiamo in ginocchio”.

Deuteronomio 2:7: Dio è fedele al Patto (2)

 Deuteronomio 2:7: Dio è fedele al Patto (2) Stiamo meditando su Deuteronomio 2:7. In questo passo troviamo scritto per due volte “tuo Dio”,...

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