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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Marco 16:15-16: La missione di Gesù per i cristiani

 Marco 16:15-16: La missione di Gesù per i cristiani
Questi due versetti sono parole di Gesù.
Dopo la Sua resurrezione, apparve la mattina di domenica prima a Maria Maddalena (Marco 16:9), poi apparve a due apostoli mentre erano in cammino verso i campi (Marco 16:12), poi apparve agli undici apostoli mentre erano a tavola, Giuda era morto.
Gesù affida loro una missione che dura fino a oggi e fino a quando non ritornerà di nuovo. 
Questa missione consiste nel parlare loro della salvezza dai peccati e dall’ira di Dio.

Vediamo prima di tutto:
I IL COMANDO (v.15)
“Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura”, infatti, è un comando, non un suggerimento, e oggi non è solo un elemento solo per alcuni cristiani, ma per tutti!

Non siamo tutti evangelisti, o missionari in senso formale, ma tutti siamo chiamati a testimoniare e abbiamo ricevuto doni che possiamo usare per aiutare a compiere questa missione chiamata “il Grande Mandato”.

Consideriamo:
A) La missione di andare per tutto il mondo  
Nel v.15 leggiamo che Gesù comanda: “Andate per tutto il mondo”.

L'aggettivo enfatico “tutto” (hapanta) indica che nessuna parte deve essere omessa, indica ogni parte della terra abitata e non solo Israele!

Il “mondo” (kosmon) qui si riferisce al luogo dove vivono gli esseri umani, la superficie della terra dove abita l’umanità (cfr. per Matteo 4:8).

Nessun villaggio sperduto della terra deve essere tralasciato!

Nati da Dio! (Giovanni 1:11-13)

 Nati da Dio! (Giovanni 1:11-13)
Nella Roma del I secolo, a volte un padre adottava un giovane esterno alla famiglia perché fosse l’erede principale del suo nome e del suo patrimonio. Se il padre considerasse indegni i suoi figli naturali, trovava qualcun altro con le qualità che desiderava in un figlio. 
Il figlio adottivo aveva così la precedenza su qualsiasi figlio suo di nascita naturale nel processo di eredità, il nuovo figlio riceveva molti diritti e privilegi che altrimenti non avrebbe avuto senza adozione.
Il cristiano fa parte della famiglia di Dio, è diventato un figlio di Dio per Sua adozione, perché Dio gli concesso sovranamente, secondo la Sua grazia, la rinascita spirituale (Giovanni 1:12–13). 
L’evangelista Giovanni sta parlando della luce, cioè di Gesù, ha appena detto che era nel mondo, che il mondo è stato fatto per mezzo di Lui e il mondo non l’ha conosciuto.
Ora continua a parlare del fatto che è venuto in casa Sua e non tutti lo hanno ricevuto, ma chi lo ha fatto gli è stato dato il diritto di diventare figli di Dio, questi sono nati da iniziativa divina e non per scelta umana.
Noi vediamo in questi versetti l’affermazione, la specificazione e la puntualizzazione dell’evangelista Giovanni.
Cominciamo con:
I L’AFFERMAZIONE (v.11) 
Nell’affermazione vediamo:
A) L’azione di Gesù (v.11)
Nel v.11 leggiamo:“È venuto in casa sua”.
È venuto in casa sua indica il luogo dove la luce, cioè Gesù è venuto.
“È venuto” (ēlthen – aoristo attivo indicativo) già l’abbiamo vista nei vv.7,9, e indica un’apparizione pubblica, il Suo ingresso nella scena pubblica, l’inizio del Suo ministero pubblico al momento del Suo battesimo.
Per alcuni studiosi si riferisce all'evento unico e decisivo dell'incarnazione di Gesù Cristo (cfr. Giovanni 1:14).

Giovanni 1:11-13: Nati da Dio!

 Giovanni 1:11-13: Nati da Dio!
Nella Roma del I secolo, a volte un padre adottava un giovane esterno alla famiglia perché fosse l’erede principale del suo nome e del suo patrimonio. Se il padre considerasse indegni i suoi figli naturali, trovava qualcun altro con le qualità che desiderava in un figlio. 
Il figlio adottivo aveva così la precedenza su qualsiasi figlio suo di nascita naturale nel processo di eredità, il nuovo figlio riceveva molti diritti e privilegi che altrimenti non avrebbe avuto senza adozione.
Il cristiano fa parte della famiglia di Dio, è diventato un figlio di Dio per Sua adozione, perché Dio gli concesso sovranamente, secondo la Sua grazia, la rinascita spirituale (Giovanni 1:12–13). 
L’evangelista Giovanni sta parlando della luce, cioè di Gesù, ha appena detto che era nel mondo, che il mondo è stato fatto per mezzo di Lui e il mondo non l’ha conosciuto.
Ora continua a parlare del fatto che è venuto in casa Sua e non tutti lo hanno ricevuto, ma chi lo ha fatto gli è stato dato il diritto di diventare figli di Dio, questi sono nati da iniziativa divina e non per scelta umana.
Noi vediamo in questi versetti l’affermazione, la specificazione e la puntualizzazione dell’evangelista Giovanni.
Cominciamo con:
I L’AFFERMAZIONE (v.11) 
Nell’affermazione vediamo:
A) L’azione di Gesù (v.11)
Nel v.11 leggiamo:“È venuto in casa sua”.
È venuto in casa sua indica il luogo dove la luce, cioè Gesù è venuto.
“È venuto” (ēlthen – aoristo attivo indicativo) già l’abbiamo vista nei vv.7,9, e indica un’apparizione pubblica, il Suo ingresso nella scena pubblica, l’inizio del Suo ministero pubblico al momento del Suo battesimo.
Per alcuni studiosi si riferisce all'evento unico e decisivo dell'incarnazione di Gesù Cristo (cfr. Giovanni 1:14).
“Casa sua” (ta idia) si riferisce alla proprietà esclusiva di qualcuno, in questo caso di Gesù, e si riferisce specificamente alla Sua casa, o abitazione (cfr. per esempio la settanta Ester 5:10; 6:12; Giovanni 16:32; 19:27; Atti 21:6, 1 Timoteo 5:8); quindi dove Gesù è nato, concittadini, parenti, amici, o la Sua nazione, Israele che il Signore aveva scelto come Suo popolo speciale (Esodo 19:5; Deuteronomio 7:6; 14:2; 26:18; Isaia 43:21; Ezechiele 13:18–23; Malachia 3:17; Matteo 15:24).
Nell'Antico Testamento Dio si riferiva al popolo Ebraico come al "Mio popolo" nonostante la loro frequente ribellione contro di Lui (cfr. per esempio Esodo 3:7,10; 6:7; Levitico 26:12; 1 Samuele 2:29; 2 Samuele 3:18; 1 Re 6:13; 2 Re 20:5; 1 Cronache 11:2; 2 Cronache 1:11; Sal. 50:7; Isaia 1:3; Geremia 2:11; Ezechiele 11:20; Os 4:6; Gioele 3:2; Amos 7:15; Abdia 1:13; Michea 6:3; Sofonia 2:8; Zaccaria 8:7–8).
Alcuni studiosi pensano che si riferisca al mondo che ha creato, pertanto è Suo (cfr. per esempio Salmo 24:1-2).
In questi versetti troviamo:

La vera luce non conosciuta (Giovanni 1:8-10)

 La vera luce non conosciuta (Giovanni 1:8-10)
La prima foto inviata tramite un telefono cellulare è stata spedita vent’anni fa: l’11 giugno del 1997; la foto ritrae una neonata appena nata.
Oggi la tecnologia possiamo fare delle belle foto con gli smartphone.
Non tutti sono a conoscenza che la fotografia iniziò con Louis Jacques Mande Daguerre, che produsse il primo dagherrotipo nel 1839. Dopo aver prodotto la prima immagine fotografica, l'inventore gridò: "Ho afferrato la luce". 
I cristiani hanno un grido diverso: "Mi ha afferrato la Luce!"
Senza Cristo, anche i cristiani camminavano nelle tenebre spirituali, ma una volta presi da Gesù Cristo non è stato più così!
Dopo aver parlato che Giovanni Battista è venuto come testimone per rendere testimonianza alla luce, ora l’evangelista Giovanni fa una precisazione e una negazione.
Cominciamo con: 
I LA PRECISAZIONE (vv.8-9) 
In questa precisazione consideriamo:
A) L’affermazione
Nel v.8 leggiamo: “Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce”.
Vediamo prima di tutto:
(1) Ciò che non era Giovanni Battista (v.8)
“Egli stesso non era la luce” (v.8).
L’evangelista Giovanni aveva messo in evidenza la grandezza di Giovanni Battista, quella di essere stato mandato da Dio per essere testimone della Luce (vv.6-7), ora mette in evidenza i suoi limiti.
“Egli stesso” (ekeinos – pronome dimostrativo) ha un forte senso enfatico, Giovanni afferma fortemente che il Battista non era la luce, è molto probabile che lo faccia perché alcune persone erano così affascinate dal Battista che gli diedero un posto più alto di quello che avrebbe dovuto avere, anche più in alto a Gesù, forse lo ritenevano il Messia. 

Giovanni 1:8-10: La vera luce non conosciuta

 Giovanni 1:8-10: La vera luce non conosciuta
La prima foto inviata tramite un telefono cellulare è stata spedita vent’anni fa: l’11 giugno del 1997; la foto ritrae una neonata appena nata.
Oggi la tecnologia possiamo fare delle belle foto con gli smartphone.
Non tutti sono a conoscenza che la fotografia iniziò con Louis Jacques Mande Daguerre, che produsse il primo dagherrotipo nel 1839. Dopo aver prodotto la prima immagine fotografica, l'inventore gridò: "Ho afferrato la luce". 
I cristiani hanno un grido diverso: "Mi ha afferrato la Luce!"
Senza Cristo, anche i cristiani camminavano nelle tenebre spirituali, ma una volta presi da Gesù Cristo non è stato più così!
Dopo aver parlato che Giovanni Battista è venuto come testimone per rendere testimonianza alla luce, ora l’evangelista Giovanni fa una precisazione e una negazione.
Cominciamo con: 
I LA PRECISAZIONE (vv.8-9) 
In questa precisazione consideriamo:
A) L’affermazione
Nel v.8 leggiamo: “Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce”.
Vediamo prima di tutto:
(1) Ciò che non era Giovanni Battista (v.8)
“Egli stesso non era la luce” (v.8).

La vocazione di Giovanni Battista (Giovanni 1:6-7)

 La vocazione di Giovanni Battista  (Giovanni 1:6-7)
Se dovessimo fare un sondaggio chiedendo alle persone di dire qual è il più grande bisogno del mondo, le risposte sarebbero molte. 
C’è chi direbbe di porre fine alla fame; altri risponderebbero la pace, altri direbbero l’istruzione per tutti; altri direbbero di rispettare l’ambiente, altri più investimenti per la sanità, altri lavoro per tutti.
Certamente sono bisogni importanti, ma secondo la Bibbia il più grande bisogno dell’umanità è Gesù Cristo! (cfr. per esempio Giovanni 20:31; Romani 3:9-30).
L’apostolo Giovanni aveva parlato prima della Parola che era con Dio ed era Dio, mediante la quale è stata creata ogni cosa ed era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
Ora parla della chiamata di un uomo da parte di Dio che è stato mandato per rendere testimonianza alla luce
Prima di tutto vediamo:
I IL MANDANTE (v.6)
Nel v.6 leggiamo: “Vi fu un uomo mandato da Dio”.
“Uomo” è in contrasto con Gesù Cristo, la “Parola” (Giovanni 1:14-18) che era più di un uomo, “Dio” che era fin dal principio (Giovanni 1:1-3), che risale ai giorni eterni (cfr. per esempio Michea 5:1; Giovanni 8:58), mentre Giovanni era solo un uomo!
Giovanni venne in un momento definito nel tempo in netto contrasto con la Parola che c’è sempre stata! 
L’esistenza di Giovanni come anche la sua missione, sono da annoverare tra tutte le cose che sono avvenute nella storia, la sua esistenza non era immaginaria, illusoria, ma reale!
Infatti, il verbo “vi fu” (ginomai - aoristo medio indicativo) indica essere presente in un dato momento storico.
“Vi fu” allora si riferisce all'apparizione storica, all’entrata in scena di una persona (cfr. per esempio Marco 1:4; Luca 9:37).

Giovanni 1:6-7: La vocazione di Giovanni Battista

 Giovanni 1:6-7: La vocazione di Giovanni Battista 
Se dovessimo fare un sondaggio chiedendo alle persone di dire qual è il più grande bisogno del mondo, le risposte sarebbero molte. 
C’è chi direbbe di porre fine alla fame; altri risponderebbero la pace, altri direbbero l’istruzione per tutti; altri direbbero di rispettare l’ambiente, altri più investimenti per la sanità, altri lavoro per tutti.
Certamente sono bisogni importanti, ma secondo la Bibbia il più grande bisogno dell’umanità è Gesù Cristo! (cfr. per esempio Giovanni 20:31; Romani 3:9-30).
L’apostolo Giovanni aveva parlato prima della Parola che era con Dio ed era Dio, mediante la quale è stata creata ogni cosa ed era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
Ora parla della chiamata di un uomo da parte di Dio che è stato mandato per rendere testimonianza alla luce
Prima di tutto vediamo:
I IL MANDANTE (v.6)
Nel v.6 leggiamo: “Vi fu un uomo mandato da Dio”.
“Uomo” è in contrasto con Gesù Cristo, la “Parola” (Giovanni 1:14-18) che era più di un uomo, “Dio” che era fin dal principio (Giovanni 1:1-3), che risale ai giorni eterni (cfr. per esempio Michea 5:1; Giovanni 8:58), mentre Giovanni era solo un uomo!
Giovanni venne in un momento definito nel tempo in netto contrasto con la Parola che c’è sempre stata! 

2 Corinzi 12:9b-10: La soddisfazione di Paolo nella sofferenza

2 Corinzi 12:9b-10: La soddisfazione di Paolo nella sofferenza
John Piper dice: “Dio è più glorificato in voi quando siete più soddisfatti in lui”.
A mio avviso, questo non deve avvenire solo quando tutto va bene, ma anche quando soffriamo!
In 1 Corinzi 12, ci troviamo di fronte a quella che è stato definito “il discorso del folle”.
In 1 Corinzi 12 Paolo vuole riportare la chiesa di Corinto, influenzata negativamente dai falsi apostoli, a vedere nella loro giusta prospettiva spirituale la natura della potenza di Cristo in lui.
A riguardo, David Garland scrive: “I falsi apostoli impediscono ai Corinzi di vedere come la potenza di Cristo è all'opera in lui e li allontanano dalla croce di Cristo. L'obiettivo di Paolo non è semplicemente quello di difendersi, ma di aiutarli a 'vedere le cose correttamente' attraverso la giusta lente spirituale”.
Dalla seconda parte del v.9 vediamo la logica conclusione di Paolo su ciò che aveva detto prima, il senso parafrasato è: “Visto che la grazia del Signore è sufficiente per affrontare e sopportare la sofferenza cronica e visto che la potenza del Signore si dimostra perfetta nella debolezza, allora io mi vanto e mi compiaccio delle sofferenze di vario genere”.
Le parole del Signore rivolte a Paolo, sono universalmente applicabili a tutti i cristiani e non invitano però alla rassegnazione, ma a continuare a servirlo con la Sua potenza sapendo che si dimostra perfetta nella nostra debolezza!

La nascita di Giovanni Battista (Luca 1:57-66)

 La nascita di Giovanni Battista (Luca 1:57-66)
C'era un vecchio maestro di scuola che s’inchinava sempre solennemente davanti i suoi alunni in classe prima d’insegnare loro. Quando gli è stato chiesto perché lo facesse, lui rispose: “Perché non si sa mai cosa diventeranno questi ragazzi”.
La nascita di ogni bambino è un parto di possibilità, la possibilità che possa diventare qualcosa, o qualcuno d’importante umanamente parlando, ma anche per il servizio a Dio.
Giovanni Battista quando nacque, molti si chiedevano che cosa sarebbe stato perché la mano del Signore era su di lui fin dal suo concepimento e nascita.
Continuiamo la nostra serie di predicazioni biografiche su Giovanni Battista. Luca riprende la storia riguardo della nascita di Giovanni Battista dopo la pausa dell’annunzio della nascita di Gesù a Maria da parte dell’angelo e la visita di Maria a casa di Elisabetta, dove rimase per tre mesi. Ora Luca racconta la nascita di Giovanni Battista.

In questi versetti vediamo prima di ogni cosa:
I IL PARTO (VV.57-59).

Giudici 10:16: La rimozione degli idoli da parte d’Israele

 Giudici 10:16: La rimozione degli idoli da parte d’Israele
A causa dei peccati d’idolatria, la sua tendenza costante a fare ciò che è male agli occhi del Signore, come dice Barry Webb: “Sta andando di male in peggio!” (Giudici 10:6), Israele fu punito da Dio consegnandolo nelle mani dei Filistei e degli Ammoniti che li angariarono e oppressero per ben diciotto anni! (Giudici 10:6-8).

Il peccato ha le sue conseguenze (cfr. per esempio Genesi 3:1-6;16-17; Romani 6:23), c’è un prezzo da pagare quando pecchiamo contro il Signore, e in questo caso il costo per Israele è stato alto.

Secondo la loro consapevolezza della compassione del Signore, Israele è convinto che Egli esaudirà la loro richiesta di liberazione; allora gridarono al Signore per essere liberati, lo ha sempre fatto nonostante i peccati del popolo.

Ma Dio in un primo momento disse loro di andare a gridare agli dèi che avevano scelto!

I figli d’Israele non si scoraggiarono e riconobbero che avevano peccato (Giudici 10:13-15), e tolsero di mezzo a loro gli dèi stranieri che avevano adorato e ritornarono a servire il Signore che si era addolorato per l’afflizione d’Israele. 

Ora in questo versetto vediamo il cambiamento del popolo, la consacrazione del popolo, e il cuore di Dio.

Prima di tutto vediamo:

2 Corinzi 12:8-9: La supplicazione di Paolo riguardo la sua sofferenza

 2 Corinzi 12:8-9: La supplicazione di Paolo riguardo la sua sofferenza
Spurgeon diceva: “La maggior parte delle grandi verità di Dio devono essere apprese con i problemi; devono essere bruciate in noi con il ferro rovente dell'afflizione, altrimenti non le riceveremo veramente”.

Ci sono verità o aspetti caratteriali, o comportamentali, che impariamo solo con la sofferenza, per esempio lo scopo della sofferenza cronica di Paolo era che rimanesse umile (2 Corinzi 12:7) e imparare, per poi applicare, verità spirituali profonde come quella che vedremo in questa predicazione.

Come abbiamo già visto nel v.7, Paolo aveva una sofferenza cronica che lui chiamava una spina nella carne, con questa predicazione vediamo come ha reagito.

Quindi iniziamo con il vedere:
I LA RAGIONE DELLA SUPPLICAZIONE
Nel v.8 è scritto: “Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me”.

La ragione della supplica è la liberazione della sofferenza cronica che Paolo aveva.

2 Corinzi 12:7: La sofferenza preventiva

 2 Corinzi 12:7: La sofferenza preventiva
Il v. 7 è una logica conclusione dei vv.5-6; Paolo conclude il discorso sul vantarsi: non si vanta di se stesso anche se ne avesse i motivi, ma delle sue debolezze, nelle sue debolezze si dimostra perfetta la potenza del Signore (vv.1-10). 

Altrove Paolo non parla delle sue capacità e dei suoi successi senza dare gloria a Dio (1 Corinzi 15:10; 2 Corinzi 3:5).

Ogni vanto è una follia, ma poiché i Corinzi hanno udito molte vanterie da altri, Paolo decide che ne udranno alcune da lui (2 Corinzi 12:16). 

Paolo difende il suo ministero contro i falsi apostoli impegnandosi in ironiche vanterie umane sulle sue responsabilità e sofferenze (2 Corinzi 11:16–33). 

D. A. Carson scrive: “Paolo sta rispondendo ai visionari super-spirituali, che si affidavano alle storie della loro abilità spirituali e alle loro esperienze estatiche per rafforzare la loro autorità mentre deprecavano Paolo”.

Paolo si vanta così perché vuole dimostrare l'assurdità dell'autopromozione che avevano i falsi apostoli (cfr. Per esempio 2 Corinzi 11:12,18).

Paolo si mette nello stesso piano di questi falsi apostoli e in un certo senso, risponde alla loro stoltezza, secondo la loro insensatezza, segue in un certo senso quello che è scritto in Proverbi 26:5: “Rispondi allo stolto secondo la sua follia, perché non abbia ad apparire saggio ai propri occhi”.

Nei vv.7-10, Paolo dice ciò che lo ha aiutato a rimanere umile e a dipendere dal Signore: la sofferenza!

La sofferenza non è sempre per una punizione, o per la disciplina del Signore, a volte è preventiva per rimanere umili e per imparare a dipendere da Dio com’è stato per l’apostolo Paolo.

Osea 2:21-23: La presenza del Signore

 Osea 2:21-23: La presenza del Signore 
Il Signore non è assente dalla vita del Suo popolo! (cfr. per esempio Salmo 121; Isaia 41:10; Matteo 28:20; Ebrei 13:5).
Questa è una delle più confortanti verità del cristianesimo che riguardano la nostra relazione con il Signore il Dio che ci ha creati!
A.W. Tozer disse: “Quando cantiamo: ‘Attirami più vicino, più vicino, Signore benedetto’, non pensiamo alla vicinanza del luogo, ma alla vicinanza della relazione. È per gradi crescenti di consapevolezza che preghiamo, per una coscienza più perfetta della Presenza divina. Non abbiamo mai bisogno di gridare attraverso gli spazi a un Dio assente. Egli è più vicino della nostra anima, più vicino dei nostri pensieri più segreti”.
Dunque, uno degli aspetti della relazione tra il Signore e il Suo popolo, è la Sua presenza dinamica.
Nelle precedenti predicazioni abbiamo visto l’azione del Signore nell’abolire il Baalismo e il dare prosperità a Israele, che fidanzerà a Sé Israele, in questa predicazione vediamo la presenza del Signore al Suo popolo donando loro benedizioni.
Cominciamo con il considerare:

Isaia 6:4-13: La conseguenza della visione della gloria del Signore a Isaia

 Isaia 6:4-13: La conseguenza della visione della gloria del Signore a Isaia
Parlando che questo capitolo descrive Dio travolgente, Bob Fyall scrive: “Questo non è un semplice dio, confinato in una località o sfera di attività. Questo Dio regna mentre i poteri umani vanno e vengono. È il sovrano del cielo e della terra, la cui realtà sfolgorante penetra ovunque, qualunque cosa suggeriscano le apparenze esteriori. È essenzialmente santo e richiede santità dai suoi adoratori. Ciò ha implicazioni per la natura del nostro culto. Viviamo in un’epoca non deferente in cui ci relazioniamo in modo informale gli uni con gli altri. Ma spesso dimentichiamo che Dio è “alto ed elevato” e diventiamo molto disinvolti nel nostro approccio a lui. Tremare davanti a Lui non è un atteggiamento che ci riesce facile. A dire il vero, non vogliamo formalità pompose e tradizionalismo morto, e sappiamo che culture diverse esprimono il culto in modi diversi. Eppure, quando Isaia vede il Signore, non è divertente; al contrario, è terrorizzato e lo lascia quasi morto. Allo stesso modo, anche i nostri cuori dovrebbero esprimere vera riverenza quando ci presentiamo davanti a Dio, qualunque cosa assomigli nella nostra cultura”.

Queste parole di Bob Fyall ci fanno riflettere, descrivono quello che Isaia sperimentò davanti la visione della gloria di Dio.

Nel capitolo 6 d’Isaia vediamo la dinamica della consacrazione, come già detto precedentemente nella predicazione dei vv.1-3.

Dai vv.1-3 abbiamo visto la visione della gloria del Signore a Isaia, in questi versetti, vediamo ancora che siamo in questa visione e la conseguenza alla gloria di Dio, come reagì Isaia.

Prima di tutto nella conseguenza della visione della gloria del Signore vediamo:

Osea 2:19-20: Il Signore fidanzerà a Sé Israele

 Osea 2:19-20: Il Signore fidanzerà a Sé Israele
Non so se esistono ancora gli auguri di fidanzamento tipo queste:
"Oggi siete fidanzati è un giorno molto bello e speciale. Vi auguro che quello che provate oggi vi accompagni per tutta la vita".

"Per la vostra proposta di fidanzamento vi auguro un futuro meraviglioso pieno di amore. Tanti auguri per questo viaggio intrapreso insieme".

 "Tanti auguri a voi, siete una bellissima coppia che ha deciso finalmente di fidanzarsi ufficialmente".

Ora due delle immagini che troviamo nella Bibbia della relazione tra Dio e il Suo popolo, è il fidanzamento e il matrimonio.

Nella precedente predicazione abbiamo visto l’azione del Signore nell’abolire il Baalismo e il dare prosperità a Israele, la garanzia della sua sicurezza e tranquillità in due modi: farà un patto con gli animali e non permetterà le guerre.
Oggi vedremo che il Signore fidanzerà a Sé Israele.

Il Signore, ora si rivolge a Israele personalmente e direttamente dicendo che la fidanzerà a Sé.

Prima di tutto vediamo:

Osea 2:17-18: L’azione del Signore per Israele

 Osea 2:17-18: L’azione del Signore per Israele
Stephen Charnock disse: “Essere Dio e sovrano sono inseparabili”.
La Bibbia presenta il Signore come un Dio sovrano; se il Signore non fosse sovrano cesserebbe di essere Dio! 
Layton Talbert dice: “La sovranità di Dio si riferisce al suo dominio assoluto e ineguagliabile su tutte le sue creature e sulle loro circostanze. Affermare che Dio è sovrano significa affermare che Dio regna universalmente e invincibilmente. La sovranità di Dio implica la sua proprietà assoluta (Genesi 14:22; Deuteronomio 10:14; Giobbe 41:11; Salmo 24:1), autorità (Salmo 47:2,7) e controllo (Giobbe 38–39; Geremia 5:22; Efesini 1:11) su ogni cosa”.
In questi versetti vediamo l’azione del Signore per Israele che dimostrano la Sua sovranità.
Dopo aver parlato del ristabilimento d’Israele da parte del Signore, quindi del Suo corteggiamento e della reazione del popolo, nei vv.17-23 si ritorna di nuovo all’azione del Signore.
In questa predicazione vediamo due aspetti della Sua azione.
Cominciamo con la prima:
I L’ABOLIZIONE DEL SIGNORE (v.17) 
Nel v.17 leggiamo: “Io toglierò dalla sua bocca i nomi dei Baal, e il loro nome non sarà più pronunciato”.
Nell’abolizione del Signore vediamo che toglierà dalla bocca d’Israele i nomi dei Baal, delle divinità pagane e il loro nome non sarà più pronunciato. 
Dio rimuoverà la devozione d’Israele profondamente radicata negli idoli pagani.
Consideriamo:
A) La rimozione 
“Io toglierò dalla sua bocca i nomi dei Baal”.
Israele non nominerà più i nomi di Baal!
Questo cambiamento non è attribuito alla volontà degl’Israeliti, ma il Signore è Colui che rimuoverà il nome di Baal dalle loro labbra.
Il Suo amore, la Sua grazia, la Sua fedeltà e la Sua potenza efficace di trasformazione porteranno questo cambiamento nel Suo popolo. 
Dio toglierà dalla bocca d’Israele i nomi dei Baal, si riferisce all’invocazione come anche all’adorazione ai Baal.
Troviamo qui la predizione della rimozione del culto di Baal tra il popolo di Dio in modo che non ci sia occasione di nominare i Baal.
“Nomi” indica i vari nomi per descrivere i vari Baal locali, come per esempio Baal-Gad (Giosuè 11:17), Baal-Asor (2 Samuele 13:23) o Baal-Peor (Deuteronomio 4:3; Osea 9:10).
Quindi, Dio rimuoverà l’idolatria dalla bocca d’Israele! 
La sua bocca sarà purificata dal Signore e non ci sarà più traccia della devozione fuorviante e in definitiva vuota del loro passato.
Anche altrove, nell’Antico Testamento, è menzionato il fatto che Dio distruggerà i nomi degl’idoli e non si faranno più menzione di loro, il Signore purificherà Israele dagl’idoli (Isaia 2:18; Ezechiele 6:6; 36:25-26; 37:23; Zaccaria 13:2).
I nomi degl’idoli d’Israele saranno solo ricordati nella storia del loro peccato come registrato evidentemente nella Bibbia.
Quando Dio opera in una persona lo purifica in Cristo mediante il Suo Spirito!

Romani 15:4: Come conservare la speranza

 Romani 15:4: Come conservare la speranza
Fëdor Dostoevskij disse: “Totalmente senza speranza non si può vivere. Vivere senza speranza significa cessare di vivere”.

La speranza è una forte energia che ci motiva nella vita, e questo vale soprattutto con la vita cristiana.

In questo versetto vediamo come conservare la speranza.

Il contesto di questo passo è sull’unità dei credenti.
I più forti devono sopportare le debolezze dei deboli e non agire per compiacere se stessi, ma per compiacere al prossimo nel bene per l’edificazione.

Cristo è l'esempio perfetto di qualcuno che ha sempre agito considerando gli altri, anche a costo della morte (Romani 15:1–3). 

Cristo ha ricevuto tutto e ha servito tutti, forti e deboli, Giudei e Gentili, e i cristiani devono fare lo stesso gli uni con gli altri (Romani 15:7–9). 

Secondo Paolo, i cristiani Giudei dovrebbero essere grati per la fedeltà di Dio nel mantenere le promesse fatte a Israele. 

I cristiani Gentili dovrebbero essere grati a Dio per la Sua misericordia nell'offrire loro la salvezza (Romani 15:10–12). 

Entrambi dovrebbero rallegrarsi insieme nella speranza, nella gioia e nella pace che Dio dona attraverso lo Spirito Santo (Romani 15:13).

Così, alcuni studiosi vedono il v.4 in relazione all’unità dei credenti, e in questo senso attraverso le Scritture come menzionato dal passo profetico del Salmo 69:9 menzionato nel v.3, così come attraverso l'esempio di Cristo, Dio incoraggia i cristiani a vivere in unità tra di loro (Romani 15:4–6).

Isaia 6:1-3: La visione della gloria del Signore a Isaia

 Isaia 6:1-3: La visione della gloria del Signore a Isaia
Noi nella Bibbia troviamo i profeti, i messaggeri di Dio che a volte sono chiamati davanti il trono di Dio. 
Per questo motivo non siamo sorpresi poi, che molti di loro hanno parlato spesso della gloria di Dio. 
Gli studiosi non sono concordi se questo capitolo si riferisca alla chiamata iniziale di Isaia, quindi a un’esperienza iniziale, oppure se si riferisca a una commissione, quindi a un’esperienza successiva.
Al di là di questo, quello che noi vediamo nei vv.1-13, è la dinamica della consacrazione in seguito alla visione e alla purificazione che Isaia ebbe della gloria di Dio. 
E in questo senso noi vediamo in questa visione di Isaia la dinamica della consacrazione, e quindi la deduzione del perché molti che si dicono credenti non sono consacrati al Signore.
Questi molti, o non sono veri credenti, oppure non sono veramente consapevoli della gloria di Dio! 
La qualità della vita cristiana dipende dalla consapevolezza che abbiamo della gloria di Dio. 
Molti credenti non hanno una vita consacrata perché non hanno la giusta conoscenza di Dio, o non hanno mai sperimentato la manifestazione della gloria di Dio nella loro vita in una certa misura! 
Non sto parlando di vedere letteralmente il Signore, ma di un’esperienza personale con Lui e quindi della consapevolezza di quello che è! 
Se Isaia si consacrò al Signore è perché divenne consapevole della gloria di Dio, perché conobbe Dio, entrò nel cuore di Dio. 
La scena avviene nel tempio come indica il v. 1. 
Ora, l'affermazione che Isaia vide il Signore (v.1), non contraddice le dichiarazioni che è impossibile vedere Dio (Genesi 32:30; Esodo 19:21; 33:20; Giudici 13:22), o che nessun uomo ha visto e né può vedere (Giovanni 1:18; 1 Timoteo 6:15-16). 
La Bibbia riferisce che diverse persone "hanno visto" manifestazioni di Dio come Agar (Genesi 16:9-13); Giacobbe (Genesi 28:13-15); Mosè, Aaronne, Nadab e Abihu, e i settanta anziani sul monte Sinai (Esodo 24:9-11); il profeta Micaia (1 Re 22:19). 

La natura di Dio – Attributi comunicabili (3)

 La natura di Dio – Attributi comunicabili (3)
Stephen Olford diceva: “Mentre contempliamo l’auto-rivelazione del Suo carattere e dei Suoi attributi, tutto il nostro essere dovrebbe riversargli gratitudine, onore e gloria. Questo è il culto cristiano”.
Non possiamo dare a Dio il culto che merita se non studiamo la Sua natura, quindi i Suoi attributi.
Siamo arrivati all’ultima parte della natura di Dio che riguarda i Suoi attributi comunicabili, cioè quegli attributi che trasmette in una certa misura all’umanità. 

Leggi e rispondi alle domande

1. Pace
La “pace” non è stata tradizionalmente classificata come un attributo di Dio, ma potrebbe certamente essere considerata come un attributo di Dio. 
In 1 Corinzi 14:33 Paolo dice: "Perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace”.
Dio non è caratterizzato dal disordine, ma è caratterizzato dalla pace, pertanto vuole che le cose siano fatte in modo ordinato e pacifico.
Questa pace non implica certo inattività, perché Dio è all’opera continuamente come Sovrano e Salvatore in questo mondo con un'attività ordinata e controllata (cfr. per esempio Giovanni 5:17; Efesini 1:11).
Duqnue, il Dio della pace non sonnecchia e nemmeno dorme (Salmo 121:4).
Wayne Grudem da questa definizione di pace: “La pace di Dio significa che nell'essere di Dio e nelle sue azioni egli è separato da ogni confusione e disordine, eppure è continuamente attivo in innumerevoli azioni ben ordinate, completamente controllate e simultanee”.

1 Samuele 12:23: La risposta di Samuele al popolo d’Israele

 1 Samuele 12:23: La risposta di Samuele al popolo d’Israele
In questo versetto vediamo la risposta di Samuele al popolo d’Israele.
Gli Israeliti timorosi davanti alla manifestazione potente di Dio attraverso la natura con tuoni e pioggia, chiesero a Samuele di pregare per loro - non è stata l’unica volta (1 Samuele 7:8) - affinché non morissero a causa dei loro peccati, soprattutto quello di chiedere un re (vv.18-19) come le altre nazioni (1 Samuele 12:19), che implicava il rifiuto con disprezzo del Signore come Re, ma anche di Samuele stesso.
Samuele riaffermò i loro peccati, ma li incoraggiò a essere fedeli al Signore, e il Signore non li avrebbe abbandonati perché è piaciuto a Lui di fare d’Israele il Suo popolo.
Ecco che ora ritorna alla loro richiesta d’intercessione e così risponde che non cesserà d’intercedere per loro, anzi gli mostrerà la buona e diritta via.
Samuele non era solo un giudice, cioè un governante d’Israele (cfr. per esempio 1 Samuele 7:15-17), era anche un sacerdote figlio di Elcana (1 Samuele 1:1-27), della stirpe di Cheat (1 Cronache 6:16–28,33) e un profeta (1 Cronache 9:22; 2 Cronache 35:18; Atti 3:24;13:20; Ebrei 11:32).
Samuele si dedica alle proprie responsabilità come sacerdote e profeta del Signore sia per la preghiera d’intercessione e sia per insegnare le vie del Signore.
Intercessione (pregare) e istruzione (insegnare) sono i due ruoli importanti di Samuele come sacerdote e profeta del Signore.
I L’ESCLAMAZIONE 
“Quanto a me, lungi da me il peccare contro il Signore”. 
“Quanto a me” (gam ʾānōkî) enfaticamente indica il pronome personale “Io”, e mostra la determinazione di Samuele a essere fedele, anche se gli altri non lo saranno.
Lo stesso atteggiamento lo vediamo in Giosuè quando dice al popolo d’Israele: “E se vi sembra sbagliato servire il SIGNORE, scegliete oggi chi volete servire: o gli dèi che i vostri padri servirono di là dal fiume o gli dèi degli Amorei, nel paese dei quali abitate; quanto a me e alla casa mia, serviremo il SIGNORE” (Giosuè 24:15).

Al di sopra dei problemi! Sbarazzati della tua preoccupazione!

 Al di sopra dei problemi! Sbarazzati della tua preoccupazione!
Ci sono delle sane preoccupazioni, nel senso di essere attenti e vigili riguardo l’educazione dei figli, per l’opera del Signore, di curare i rapporti interpersonali, la pianificazione del lavoro, e così via.
Ma in questa predicazione vedremo la preoccupazione nel senso negativo. 
Viviamo in un’epoca piena di ansie e preoccupazioni a livello internazionale, sia per la salute, sia per l’economia e per la politica, non ci sono certezze, o punti di riferimento stabili, viviamo in una società instabile, incerta, una società liquida diceva il sociologo Zygmunt Bauman dove: “La convinzione che il cambiamento è l'unica cosa permanente e che l'incertezza è l'unica certezza”.
Ora, la preoccupazione è un pensiero che occupa la mente determinando uno stato di inquietudine, di apprensione, incertezza, timore. 
Gianni Cesana da questa definizione a riguardo: “Preoccupazione è ciò che occupa la mente in modo non piacevole, che impensierisce, che rende inquieti”. 
Quindi possiamo dire che la preoccupazione è un pensiero non piacevole che occupa la mente tanto da tormentarla, che rende inquieti, timorosi.
Gesù in Matteo 6:25 dice: “Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?”  
Il verbo “non siate in ansia” (merimnate – presente attivo imperativo) indica un divieto e un comando a smettere di preoccuparsi se lo stanno facendo. 
La parola greca per preoccupazione è usata in senso positivo nel darsi pensiero (merimnaō) alle cose del Signore (1 Corinzi 7:32), oppure la stessa parola è tradotta per la cura dei membri della chiesa (1 Corinzi 12:25). 

Salmo 77:7-10: Il lamento di Asaf. I dubbi di Asaf

 Salmo 77:7-10: Il lamento di Asaf. I dubbi di Asaf
David Hubbard scrive: “Niente come il silenzio di Dio di fronte all'angoscia porta il sentimento di disperazione che affonda”.

Questo è quello che è avvenuto ad Asaf, e avviene oggi anche ai cristiani più spirituali.

Dai vv.1-6 abbiamo visto la depressione spirituale di Asaf perché si è sentito abbandonato da Dio, perché non ha risposto alla sua richiesta di essere liberato dall’afflizione.

La dissonanza nella mente di Asaf tra ciò che ha vissuto nel passato e ciò che sta affrontando nel presente, suscita in lui una serie di domande che evidenziano i suoi dubbi (vv.7-9), con una deduzione sbagliata (v.10).

Cominciamo a vedere:
I LE DOMANDE DI ASAF (vv.6-9) 
Leggiamo nel v.6: “Durante la notte mi ricordo dei miei canti; medito, e il mio spirito si pone delle domande”.

Asaf, durante le notti insonni, ricordava le canzoni che aveva scritto, o cantato e che in precedenza confortavano il suo cuore. 

Ma guardare indietro ai tempi più felici, non fece che peggiorare la sua depressione!

Durante la notte, mentre ricorda i canti sacri, medita, dubbioso si pone delle domande su Dio; sconcertato e perplesso, discute con se stesso cercando di dissipare i suoi dubbi.

“Il salmista è sconcertato e perplesso, e le domande esprimono i suoi reali dubbi sull’atteggiamento di Dio verso il suo popolo” (Bratcher, R. G., & Reyburn, W. D.).

Il ricordare il passato felice lo rende depresso nel presente, perché Dio non sta operando come lui si aspetta.

Salmo 77:2-6: Il lamento di Asaf . La depressione di Asaf (2)

 Salmo 77:2-6: Il lamento di Asaf . La depressione di Asaf (2)
Il primo ministro inglese Winston Churchill era un oratore molto eloquente, con i suoi discorsi ha sollevato il morale dell'Inghilterra, ma ha combattuto la depressione per tutta la vita, l’ha chiamata il "cane nero". 

Anche i credenti soffrono di depressione, anche spirituale, e questa a volte è una tattica del diavolo come ci ricorda Martyn Lloyd-Jones: “L'unico scopo del diavolo è deprimere così tanto il popolo di Dio da poter andare dall'uomo del mondo e dire: C'è il popolo di Dio. Vuoi essere così?”

Nella predicazione precedente abbiamo visto come Asaf ha affrontato la sua depressione spirituale, con fede gridando al Signore in preghiera.

Oggi continuiamo a vedere meglio la sua circostanza di depressione spirituale.

In questo testo vediamo:
I IL PROBLEMA (v.2) 

Nel problema c’è:
A) La ricerca 
Il v.2 dice: “Nel giorno della mia afflizione ho cercato il Signore; la mia mano è stata tesa durante la notte senza stancarsi”. 

Asaf parla che era afflitto, e nel giorno della sua afflizione ha cercato il Signore.

Non conosciamo la causa specifica dell’afflizione che lo ha portato alla depressione spirituale, Asaf, dice solo semplicemente che nel giorno della sua afflizione ha cercato il Signore.

La parola Ebraica per “afflizione” (ṣārāh) indica “problema”, “angoscia”, “sventura”, “uno stato opprimente di avversità”.

Evoca l'immagine di un luogo stretto, angusto, in cui ci si sente intrappolati e incapace di respirare.

Si riferisce a una situazione, o a un periodo di estremo disagio per svariati motivi, a uno stato di circostanze sfavorevoli con particolare attenzione al dolore emotivo e all'angoscia della situazione (cfr. per esempio Deuteronomio 31:17,21; 1 Samuele 10:19; Salmo 50:15; Abdia 12).

Salmo 77:1: Il lamento di Asaf - La depressione di Asaf (1)

 Salmo 77:1: Il lamento di Asaf - La depressione di Asaf (1)
Donald Williams scrive: “Da dove viene la depressione? Per molti la depressione deriva dalla perdita. È rabbia introversa vissuta come dolore. Morte, malattia, divorzio, disoccupazione, trasferimento in un'altra città, abusi di vario genere, ritiro dell'amore: tutto questo e molto altro può scatenare la depressione. Quando arriva, molti si ritirano e si chiudono in se stessi. Si rifiutano di stare con le persone. Smettono di mangiare. Vogliono dormire eccessivamente. Si ammalano fisicamente. In casi estremi vogliono morire. Spesso, a noi sconosciute, la depressione ha radici spirituali. Le persone si sentono lontane da Dio. ‘Deve odiarmi’, pensano. Il fallimento morale crea senso di colpa, con conseguente aridità spirituale e abbandono. Come spesso accade a livello umano, le persone sentono la perdita dell'amore di Dio. Suppongono: ‘Non potrebbe mai perdonarmi’. L'intimità con il Padre celeste è sostituita dall'odio per se stessi e Satana è lì per approfittare della nostra situazione”.

Il Salmo 77 è stato scritto da Asaf e descrive la sua depressione spirituale e dubbi, e come li ha affrontati.

Asaf era un levita, un cantore e musicista del periodo di Davide e poi di Salomone (1 Cronache 15:17-19; 16:5-7; 2 Cronache 29:13), scriveva e cantava inni sacri, un profeta nelle sue composizioni musicali (1 Cronache 25:1; 2 Cronache 29:30). 

Questo salmo si rivela fin dall'inizio come un lamento; è la preghiera di chi è sotto pressione, schiacciato in una situazione difficile, dove si è impotenti, dove la forza umana non serve. 

Asaf rappresenta coloro che non hanno nessun altro a cui rivolgersi se non Dio, contro il quale nutre dei dubbi e prova una delusione rabbiosa. 

Asaf esprime a Dio il suo stato d’animo, quello che pensa veramente, la sua depressione, i suoi dubbi.

L’esistenza umana è piena di dolore e difficoltà, di disorientamento, perplessità, scoraggiamento in un mondo pieno di peccato e della sua miseria. 
Piuttosto che negare questo lato tenebroso della vita, i Salmi lo mettono in evidenza attraverso i lamenti.

La vita cristiana non consiste nel fingere che tutto va alla grande!

Osea 2:15-16: Il ristabilimento d’Israele da parte del Signore (2) La reazione del popolo

 Osea 2:15-16: Il ristabilimento d’Israele da parte del Signore (2)
La reazione del popolo
Non so se questa frase che ha detto qualcuno sia vera: “Ricorda, la tua vita dipende al 10% da quello che ti succede, e al 90% da come reagisci”.
Di certo, possiamo affermare che la nostra vita è fatta di azioni e reazioni nei vari aspetti e circostanze, nei successi come anche nei fallimenti.
Non sempre le nostre reazioni sono giuste, e questo per varie ragioni che riguardano i nostri limiti intellettuali, emotivi, o volitivi.  
A volte non vediamo le circostanze nella loro vera luce come ricordava Maxwell Maltz: “Dobbiamo imparare a valutare le cosiddette situazioni ‘critiche’ nella loro vera luce, non dobbiamo fare di un granello una montagna, né reagire a ogni piccola sfida come a una questione di vita o di morte”.
Certo Bruce Lee affermava: “Nella nostra vita non è importante tanto cosa succede, ma il modo in cui noi reagiamo agli eventi”
Anche quest’affermazione ha il suo significato.
Anche nella vita cristiana ci sono azioni e reazioni ai vari aspetti della vita, nelle varie circostanze, ma soprattutto nella nostra relazione con Dio.
La domanda che dobbiamo porci è: “Come agiamo e reagiamo a Dio?”
Precedentemente, abbiamo visto il corteggiamento del Signore al Suo popolo d’Israele, cioè la Sua attrazione, la conduzione nel deserto, la comunicazione al cuore, e la donazione (Osea 2:14-15).
Oggi vediamo la reazione del popolo.
Consideriamo prima di tutto:

Al di sopra dei problemi! Perché Dio permette che abbiamo dei problemi? (2)

 Al di sopra dei problemi! Perché Dio permette che abbiamo dei problemi? (2)
Noi cristiani siamo più che vincitori sui problemi, sulle circostanze avverse in virtù dell’amore di Cristo che ha per noi (cfr. per esempio Romani 8:35-38).

Abbiamo la certezza che tutte le circostanze della vita cooperano al bene per coloro che amano Dio i quali sono chiamati secondo il Suo disegno (Romani 8:28). 

Dio non ha promesso e assicurato una vita piacevole, non esaudisce sempre i nostri desideri, non fa sempre tutto quello che secondo noi dovrebbe realizzare, ma fa cooperare tutte le cose per il bene dei Suoi figli, perché li ama! 

Questa promessa non è per tutti, ma solo per coloro che amano Dio! 

Dio ha sotto controllo i tuoi problemi, Dio cura i dettagli della tua vita secondo il Suo piano sovrano. 

Dobbiamo essere fiduciosi perché Dio è sovrano e guida tutte le circostanze della nostra vita, anche il male, benché da Lui non provenga il male (cfr. per esempio Giacomo 1:13). 

Il male è diffuso nel nostro mondo decaduto, basta farsi un giro su internet, sentire e vedere le notizie dei telegiornali, e leggere i giornali, ma Dio è in grado di trasformare ogni circostanza, anche il male in bene come vediamo dalla storia di Giuseppe che è stato venduto dai fratelli.

In Genesi 50:19-20, Giuseppe conforta i suoi fratelli che lo avevano venduto molti anni prima e avevano paura che si vendicasse del male che gli avevano fatto, leggiamo: “Giuseppe disse loro: ‘Non temete. Sono io forse al posto di Dio?  Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso”. 

Non perdiamo la speranza in Dio perché dal male può trarre il bene, anche dai peccati che subiamo dagli altri.

Quindi considerando tutto questo, alla domanda: “Quale bene può venire fuori dai problemi nelle mani di Dio?”, la risposta è una risposta certamente positiva.
 
Precedentemente, secondo questa serie di predicazioni, abbiamo visto che Dio usa i problemi per dirigerci, per ispezionarci, oggi vediamo per correggerci e per perfezionarci.

Cominciamo con: 

Al di sopra dei problemi! Perché Dio permette che abbiamo dei problemi? (1)

 Al di sopra dei problemi! Perché Dio permette che abbiamo dei problemi? (1)
Platone disse: “Ogni problema ha tre soluzioni: la mia soluzione, la tua soluzione e la soluzione giusta”.
La vita è fatta di problemi e quando c’imbattiamo in essi cerchiamo una rapida soluzione.
“Come sarebbe bello vivere senza problemi” direbbe qualcuno, ma questo non è possibile, perché, senza esagerare, quasi ogni giorno, abbiamo problemi, più o meno gravi direttamente, o indirettamente, da affrontare. 
Indubbiamente, giovani e anziani, ricchi e poveri, credenti e non credenti, persone di tutto il mondo, di tutte le nazioni, di tutte le razze, di tutte le etnie, tutti abbiamo dei problemi grandi, o piccoli. 
I problemi fanno parte della vita!
Ci sono problemi finanziari, problemi di salute, problemi interpersonali, come anche problemi di senso di colpa, di depressione, di tentazione, di fallimento, e così via, ognuno ha i suoi problemi. 
E sappiamo benissimo che a volte un problema ne nasconde un altro, nel senso che alla radice di un problema la causa ne è un altro. 
Dio non ha mai promesso che la nostra vita, compresa anche quella cristiana, sarebbe stata facile (cfr. per esempio Giovanni 16:33; Atti 14:22; Romani 8:35-36; 1 Tessalonicesi 3:3-4); non ha mai promesso di portarci in paradiso senza problemi!
I problemi fanno parte del piano di Dio per la nostra vita! 
Noi come cristiani non siamo esenti da problemi dolorosi e spesso abbiamo più problemi rispetto ai non cristiani, perché il tentatore, il diavolo, cerca di ostacolarci, o deviare dalla via del Signore (cfr. per esempio 1 Tessalonicesi 3:3-5). 
Ma dietro i nostri problemi vi è la mano invisibile di Dio che li guida secondo uno scopo ben preciso! 
Dio è più vicino di quanto si possa immaginare e opera in modi che a volte noi non vediamo e possiamo comprendere, ma è sempre all’opera (cfr. per esempio Salmo 77:19; Giovanni 5:17; Efesini 1:11).
Questo tema: “Perché Dio permette che abbiamo dei problemi?”, lo dividerò in due parti, oggi vediamo che Dio usa i problemi per dirigerci e per ispezionarci, la prossima volta a Dio piacendo vedremo per correggerci e per perfezionarci.
Cominciamo a vedere che:

La natura di Dio : Gli attributi comunicabili (2)

 La natura di Dio: Gli attributi comunicabili (2)
Stiamo ancora considerando gli attributi comunicabili di Dio, vale a dire quegli attributi di Dio che trasmette in una certa misura agli uomini. 
Gerard Van Groningen scrive: “Gli attributi comunicabili trovano qualche riflesso o analogia negli esseri umani creati a immagine di Dio”.
Leggi e rispondi alle domande
1. Amore -Amorevolezza
Dio è amore (1 Giovanni 4;8,16).
L'amore di Dio è un attributo comunicabile in quanto è comunicato all’umanità e deve essere imitato dall'umanità. 
In quanto destinatari dell'amore divino, i credenti ameranno sia a Dio che agli altri (Matteo 22:39-40), anche ai nemici (Matteo 5:44).
Con le Sue stesse azioni, Dio insegna all’umanità ad amare attivamente, concretamente e in modo sacrificale (cfr. per esempio Efesini 5:1-2; 1 Giovanni 3:16).
Tim Shenton scrive: “Dio non è semplicemente amorevole, Egli è l'amore stesso, la personificazione dell'amore perfetto, il che implica una responsabile e fedele dedizione verso il benessere delle Sue creature. L'amore è l'auto-rivelazione e comunicazione di Dio. Dio trova piacere nel condividere ciò che gli appartiene con le sue creature, che sono oggetto del suo amore, egli desidera il bene di tutti, e dona gratuitamente senza lamenti o rimpianti”.
L’amore di Dio ricerca il bene più alto di coloro che Egli ama.
E.H. Bancroft scrive: “L’amore di Dio è il Suo desiderio del bene di coloro che Egli ama e il piacere che Egli trova in esso. È il Suo interesse pieno d’amore verso gli uomini”, cioè per l’umanità.
Dio ama indipendentemente dalla reazione dell’essere umano, indipendentemente se una persona lo ricambia; l’amore di Dio è causato da Lui stesso.
“L'amore di Dio è un amore libero, che non ha motivo, o fondamento se non dentro di sé” (Thomas Brooks).
L’amore di Dio è l’espressione del sacrificio e della donazione di se stessi per il bene dell’altro (cfr. per esempio Efesini 5:25; Galati 2:20). 
La massima espressione dell’amore di Dio si trova nella croce di Gesù Cristo come sacrificio propiziatorio per i peccatori (Giovanni 3:16; 1 Giovanni 4:9-10), nel perdonare i peccati degli uomini (Efesini 4:32) che credono in Cristo e si pentono dei loro peccati (cfr. per esempio Atti 3:19-20; 10:43; 13:38-39).  
L’amore di Dio va al di là della nostra amabilità (cfr. per esempio Romani 5:8), e John Blanchard ce lo ricorda: “Dio ci ha amati quando non c'era nulla di buono da vedere in noi e nulla di buono da dire per noi”.
L’amore di Dio non si può misurare! Come ha detto qualcuno: la vera misura dell'amore di Dio è che Egli ama senza misura! (Efesini 3:18-19).
Dio ama i non credenti (Matteo 5:44-45; cfr. Salmo 145:9) e i credenti (cfr. per esempio Romani 1:7; 8:31-39; Ebrei 12:5-11), che prima della creazione del mondo li ha scelti e predestinati a essere adottati come Suoi figli nel Suo amore (Efesini 1:4).
Descrivi la natura dell’amore di Dio 

1 Samuele 12:21-22: Le motivazioni che dobbiamo avere a cuore

 1 Samuele 12:21-22: Le motivazioni che dobbiamo avere a cuore
L'11 marzo 1830, una ragazzina inglese stava facendo le sue lezioni con il suo tutore, e la lezione quel giorno era sulla famiglia reale. Mentre studiava la carta genealogica stampata in un libro, si rese conto del fatto sbalorditivo di essere la prossima in linea di successione al trono! 
All'inizio pianse, poi guardò il suo tutore e disse: "Sarò brava". 
Il fatto che un giorno la piccola Vittoria sarebbe diventata regina del Regno Unito, fu motivata a vivere a un livello superiore.
Oggi sentiamo spesso parlare di motivazioni, ci sono molti guru motivazionali, mental coach per motivare le idee, per raggiungere gli obbiettivi e avere successo.
Anche Elon Musk dice la sua sulle motivazioni: “Ci devono essere dei motivi per cui ti alzi la mattina e vuoi vivere. Perché vuoi vivere? Qual è il punto? Cosa ti ispira? Cosa ami del futuro?”
Ogni giorno compiamo azioni che in qualche modo sono motivate, senza motivazioni non possiamo fare nulla: non usciamo di casa per andare a lavorare, per fare la spesa, per andare in palestra e così via.
In 1 Samuele 12:21-22, ci sono delle motivazioni che dobbiamo avere a cuore, a cui tenerci in modo particolare, considerarli molto importanti per la nostra vita cristiana: una riguarda noi verso il Signore, e l’altra riguarda il Signore verso di noi credenti che facciamo parte del Suo popolo.
Cominciamo con:

1 Samuele 12:22: I motivi per cui il Signore non abbandonerà il Suo popolo

1 Samuele 12:22: I motivi per cui il Signore non abbandonerà il Suo popolo
“Infatti il SIGNORE, per amore del suo grande nome, non abbandonerà il suo popolo, poiché è piaciuto al SIGNORE di fare di voi il suo popolo”.
Questa affermazione sorprendente, esprime l'assoluta sovranità della grazia del Signore.
Queste parole fanno parte di un discorso di Samuele per confortare il popolo che aveva peccato.
Dove il peccato abbonda, la grazia di Dio sovrabbonda! (Romani 5:20).
La grazia di Dio supera incommensurabilmente l'entità del peccato umano!
Jerry Bridges scrive: “I vostri giorni peggiori non sono mai stati così brutti da essere fuori dalla portata della grazia di Dio. E i vostri giorni migliori non sono mai così buoni da non aver bisogno della grazia di Dio”.
Samuele non sminuisce i peccati del popolo, li conferma, ma li rassicura dicendogli di non temere il giudizio di Dio, e li esorta a non allontanarsi dal Signore perché seguirebbero cose vane (v.21) e a servirlo con tutto il cuore.
La seconda ragione per non temere dopo questa è: il Signore non abbandonerà il Suo popolo. 
“Infatti” (kî) indica o il perché, la ragione, (congiunzione cfr. per esempio Genesi 3:14), oppure è usato per enfatizzare e rafforzare un’affermazione nel senso di “davvero”, “sicuramente” (particella dimostrativa - cfr. per esempio Genesi 27:26; 29:32; Esodo 3:12).
con “infatti” Samuele vuole ulteriormente confortare il popolo che nonostante abbia peccato, il Signore non li abbandonerà.
Samuele ribadisce la meravigliosa promessa che il Signore non abbandonerà il Suo popolo (cfr. per esempio Deuteronomio 31:6,8; Giosuè 1:5; Salmo 94:14), quindi non moriranno, ed era quello che temeva il popolo a causa dei suoi peccati (1 Samuele 12:19). Samuele ha dissipato i timori d’Israele di una morte imminente. 
Noi troviamo tre motivi per cui il Signore non abbandonerà il Suo popolo. 
Il primo motivo è: per amore del Suo grande nome

Osea 2:14-15: Il ristabilimento d’Israele da parte del Signore (1) Il corteggiamento del Signore

 Osea 2:14-15: Il ristabilimento d’Israele da parte del Signore (1)
Il corteggiamento del Signore
Per quarantadue anni ogni settimana, David Thomas ha fatto scivolare una lettera d'amore sotto la porta della sua vicina, Rachel Jones. 
Ogni lettera tentava di riparare una lite a causa di un tradimento amoroso che li aveva separati quando entrambi avevano trentadue anni. 
Rachel Jones aveva bruciato ogni lettera e si era rifiutata persino di parlare con il suo corteggiatore.
Quando David trovò finalmente il coraggio di bussare alla sua porta e gli propose di sposarlo, lei accettò. 
Entrambi avevano settantaquattro anni quando arrivò il matrimonio dopo un lungo corteggiamento, un lungo corteggiamento, che forse oggi chiameremmo stalking.
Può sembrare strano, ma anche il Signore è un corteggiatore, e lo vediamo in Osea 2:14-15.
Nei vv.9-13 abbiamo visto il giudizio del Signore al Suo popolo idolatra, nei vv.14-23 vediamo il ristabilimento del Suo popolo.
In Osea 2:14-15, il ristabilimento viene presentato come la devozione del Signore (marito) per la Sua grazia, con il corteggiamento al Suo amato popolo, Israele (moglie) a cui darà prosperità.
Dio riporterà a Se Israele come un marito riporterà a se la moglie infedele in una rinnovata relazione e lo farà con il Suo corteggiamento.
In questi versetti vediamo la grazia di Dio, grazia perché certamente il Suo popolo idolatra non meritava niente da Lui.
La grazia è il favore di Dio che ci dà ciò che non meritiamo (cfr. per esempio Romani 3:23-24).
“Perciò” (lākēn - avverbio) sembra fuori luogo, perché di solito indica una causa, o un risultato logico (Osea 2:6), secondo il contesto, ci aspetteremmo solo una punizione per l’idolatria d’Israele (Osea 2:12-13), ma con la grazia di Dio non è così, troviamo “un delizioso capovolgimento dell'atteso” dice David Clines.
“Perciò” indica la speranza piuttosto che il continuo giudizio, e quindi la sorpresa, come confermato da “ecco”.
“Ecco” (hinnēh - avverbio) è usato per cambiare una scena e anche per enfatizzare, in questo versetto per richiamare l'attenzione sull’azione della grazia di Dio, ed esprime sentimenti forti, una forte sorpresa.

Neemia 8:10: La motivazione a non essere tristi!

 Neemia 8:10: La motivazione a non essere tristi!
Un Proverbio Cinese dice: “Una gioia disperde un centinaio di dolori”.
Non so se è veramente così, ma di certo avere un cuore gioioso porta grandi benefici a una persona e a coloro che stanno accanto a lei.
La gioia certamente è una caratteristica del cristianesimo e deve essere presente in una persona che si dice di esserlo!
Agostino disse: “Il cristiano dovrebbe essere un alleluia dalla testa ai piedi”.
Mentre Northcote Deck afferma con franchezza: “Un cristiano senza gioia è una calunnia contro il suo Maestro”.
In questo versetto vediamo l’esortazione a essere gioiosi e la motivazione per esserlo.
Cominciamo con:
I L’ESORTAZIONE PER NON ESSERE TRISTI
“Non siate tristi”.
Non “siate tristi” (tēʿāṣēbû – nifal imperfetto giussivo passivo) esprime un’esortazione alla volontà a non essere tristi, a non lasciarsi intristire, in questo contesto di Neemia, dai propri peccati.
C’è un tempo per fare cordoglio per i peccati e un tempo per gioire.
Il libro di Neemia ci parla del ritorno degli esuli Giudei in patria da Babilonia per la costruzione delle mura di Gerusalemme.
Il muro fu terminato il venticinquesimo giorno del sesto mese (Neemia 6:15). 
Le riunioni e le feste di metà anno d’Israele si tenevano durante il settimo mese (cfr. per esempio Levitico 23:24-25,27,34), quindi questa era un'occasione adatta per riunire il popolo per celebrare il completamento del muro ricostruito (Neemia 7:73; 8:1) proprio nel tempo della Festa delle Capanne/Tabernacoli.

Marco 4:18-19: Gli ostacoli alla parola di Dio

 Marco 4:18-19: Gli ostacoli alla parola di Dio
Un professore in visita al Fuller Theological Seminary ha raccontato una storia sulla predicazione di un sermone in un paese in via di sviluppo in cui centinaia di persone si sono fatte avanti come espressione del loro desiderio di camminare con Gesù. 
Pochi mesi dopo, ha predicato lo stesso sermone in una chiesa negli Stati Uniti; non solo nessuno si è fatto avanti al suo invito, ma anche la chiesa sembrava visibilmente annoiata dal messaggio biblico. 
Questa storia è un grande promemoria della verità che dobbiamo “seminare” il vangelo, ma il frutto dipende dalla ricettività degli ascoltatori e dell'opera del Signore nei loro cuori.
Il vangelo è la più bella notizia che l’umanità possa ascoltare e ricevere; così anche tutta la bibbia.
La bibbia, la parola di Dio, può fare miracoli in noi, può operare efficacemente (cfr. per esempio 1 Tessalonicesi 2:13), ma ci possono essere degli ostacoli che gli impediscono di operare nella nostra vita come dovrebbe. 
Gesù sta spiegando ai Suoi discepoli, la Sua parabola del seminatore, o quattro terreni, cioè il modo come viene ricevuto il Suo messaggio, la Sua parola (v.14) e gli ostacoli.
Gesù parla prima di tutto del seme caduto lungo la strada, cioè quelli a cui Satana ruba la parola (v. 15), poi il seme caduto nei luoghi rocciosi, quelli cioè senza radici che dopo le tribolazioni e le persecuzioni sono subito sviati (v. 17); Gesù ora spiega il seme che è caduto tra le spine, prima della spiegazione del seme caduto nella buona terra che porta frutto. 
Gli ostacoli risiedono nelle distrazioni che impediscono alla persona di beneficiare della parola di Dio.
Il nostro testo specifica tre grandi ostacoli del seme caduto tra le spine che impediscono alla parola di Dio di portare frutto nella vita di una persona.
Queste tre spine, questi tre ostacoli, penetrati dentro una persona, soffocano la parola loro predicata che hanno ascoltata, in modo che non produce nulla, che non porti frutto. 
Non ci vuole una laurea in agraria, o essere un contadino esperto, per capire che le spine soffocano il seme, impediscono di farlo crescere, rubandogli nutrimento, acqua, luce e spazio. 
Lensky a riguardo scrive: “Il seme viene accolto nei cuori in cui sono nascosti i germogli di escrescenze spinose. Questi crescono sempre fitti e forti, molto più veloci e più alti del grano, o dell'orzo simili all'erba, e quindi soffocano il buon grano”.

1 Samuele 11:7: Il terrore del Signore

 1 Samuele 11:7:Il terrore del Signore
“…Il terrore del SIGNORE s'impadronì del popolo e partirono come se fossero stati un uomo solo”.
Saul fu fatto re d’Israele (1 Samuele 10:1-27).
La prima prova per il suo regno fu la minaccia dell'attacco degli Ammoniti contro Iabes di Galaad, il quale voleva cavare l’occhio destro a tutti. Come ai giorni in cui regnavano i giudici, alla notizia riportata dai messaggeri, lo Spirito di Dio scese su Saul ed egli si adirò. Saul non era più timoroso (1 Samuele 10:22); ispirato dallo Spirito, esercitando la sua autorità di re, radunò gl’Israeliti che sconfissero gli Ammoniti (1 Samuele 11:11).
Questo è il contesto di questo versetto, nello specifico, quando i messaggeri riportarono la minaccia degli Ammoniti a Saul mentre ritornava dai campi, chiede perché il popolo piangeva e gli riferirono le parole minacciose del re Ammonita Naas, all’udire queste parole, lo Spirito di Dio investì Saul che s’infiammò d’ira, prese un paio di buoi, li tagliò a pezzi, li mandò per mano dei messaggeri in tutto Israele dicendo che sarebbero stati così trattati i buoi di chiunque non avrebbero seguito lui e Samuele (1 Samuele 11:5-6).
David Guzik riguardo l’ira di Saul scrive: “La Bibbia dice che possiamo essere arrabbiati e non peccare (Efesini 4:26), ma la maggior parte della nostra rabbia è egoistica. L'ira di Saul non derivava da un personale senso di ferita o offesa, ma da una giusta preoccupazione per la causa del Signore tra il suo popolo”. 
Certo Saul ha fatto una cosa molto forte, ma voleva che fosse chiaro che il non farsi avanti e difendere la causa di Dio in quel momento era peccato e sarebbe stato punito come peccato. 
David Toshio Tsumura a riguardo scrive: “Qui lo smembramento simbolico dei buoi può essere considerato come ‘una sorta di maledizione condizionale’. Poiché tutti gli israeliti erano obbligati ad andare ad aiutare qualsiasi israelita in tempo di bisogno militare, chiunque non andava era maledetto”. 
Il v. 7 ci dice che il terrore del Signore s’impadronì del popolo e partirono compatti (cfr. per esempio Giudici 6:16; 20:1,8,11; 2 Samuele 19:14) a combattere gli Ammoniti.

La natura di Dio: gli attributi comunicabili (1)

 La natura di Dio: gli attributi comunicabili (1)
Nel precedente studio abbiamo visto gli attributi incomunicabili di Dio; in questo vedremo gli attributi comunicabili.
Gli attributi comunicabili sono così intesi per indicare che alcuni attributi di Dio sono trasmessi in una certa misura agli uomini, quindi per esempio l’umanità può essere fedele, amare, e così via, in un certo modo come Dio, ma è solo una somiglianza limitata e imperfetta di ciò che è illimitato e perfetto in Dio. 
Gli attributi comunicabili sono gli attributi che Dio condivide con l’umanità, si trovano nelle persone in modo limitato, non perché Dio li abbia in qualche modo comunicati, ma solo perché l'uomo è stato fatto a immagine di Dio.
Rispondi a ogni domanda leggendo e trovando le risposte nei versetti.

1. Santità
La santità di Dio è molto enfatizzata nella Bibbia. Il teologo E. H. Bancroft scriveva: “La santità di Dio è l’attributo più esaltato e sottolineato, esprimente la maestà della Sua morale e del Suo carattere”. 
E anche Hugh D. Morgan affermava: “La santità è il principale e il più glorioso attributo che Dio possieda. Quale altra virtù di Dio viene ripetuta per ben tre volte di seguito? Non sentiremo mai gli angeli cantare ‘Fedele, fedele, fedele’ oppure ‘Eterno, eterno, eterno ’ oppure ‘Giusto, giusto, giusto, invece canteranno ‘Santo, santo, santo è il Signore Iddio, l’Onnipotente, che era, che è e che viene’ Apocalisse 4:8”. 
La ripetizione di una parola nella lingua ebraica è un modo di esprimere un'idea superlativa (cfr. per esempio 2 Re 25:15).
Così la santità di Dio è superlativa come indicato dalla triplice ripetizione in Isaia 6:3 e Apocalisse 4:8; questa triplice ripetizione, sottolinea la Sua santità alla massima misura possibile, un qualcosa di superlativo che è ben oltre ogni immaginazione umana!  
La santità è l'attributo con cui Dio ha voluto essere particolarmente conosciuto ai tempi dell'Antico Testamento (cfr. per esempio Levitico 11:44-45; Esodo 19:12-25; Giosuè 24:19; 1 Samuele 6:20; Salmi 22:3; Isaia 40:25; Ezechiele 39:7). 

Salmo 63:8-11: Il sostegno di Dio

 Salmo 63:8-11: Il sostegno di Dio 
Stiamo ancora meditando su questo bellissimo salmo, siamo agli ultimi versetti.
Ricordiamo ancora il contesto, Davide era nel deserto (v.1), quando era re (v.11) e fuggiva dal figlio Absalom che si era ribellato contro il padre per essere il nuovo re (2 Samuele 15:23, 28; 16:2,14; 17:16).
Davide fu costretto a lasciare Gerusalemme, dovette fuggire per salvarsi la vita, e a un certo punto di quella fuga, lui e la sua compagnia si trovarono in un deserto. 
Questo posto desolato è l’occasione per Davide per esternare il suo desiderio per Dio, la soddisfazione che ha in Lui e in questi ultimi versetti vediamo la certezza di Davide del sostegno di Dio.
James Montgomery Boice scrive: “I commentatori pedanti ritengono che questi ultimi versi siano una macchia indegna su quello che altrimenti sarebbe stato un salmo particolarmente bello, e alcuni hanno suggerito che siano stati aggiunti in seguito da un editore un po' insensibile. Ma non è affatto così. 
Ci riportano semplicemente al punto di partenza, nel deserto con Davide, e ci ricordano che questo è un mondo reale dopo tutto e che, se vogliamo essere veramente soddisfatti dell'amore di Dio, non deve essere in qualche mai, mai atterrato proprio qui, in mezzo alle delusioni, alle frustrazioni e ai pericoli di questo mondo. In altre parole, è proprio nel momento in cui suo figlio lo aveva tradito e cercava di ucciderlo che Davide trovò l'amore del Signore riccamente appagante.
Date queste circostanze, il salmo è uno straordinario trionfo della fede. Ma, come scrive G. Campbell Morgan, ‘due cose sono necessarie per un trionfo come questo. Questi sono indicati nelle parole iniziali del salmo. In primo luogo, ci deve essere la consapevolezza della relazione personale: - O Dio, tu sei il mio Dio-; e in secondo luogo, ci deve essere una seria ricerca di Dio: -Presto ti cercherò-‘ Poiché questo è vero, una persona saggia desidererà entrambi”.

Matteo 10:7: La missione dei dodici discepoli

 Matteo 10:7: La missione dei dodici discepoli
  “Andando, predicate e dite: ‘Il regno dei cieli è vicino ’".
Dopo aver descritto la compassione di Gesù per il popolo stanco e sfinito, è l’esortazione ai discepoli di pregare il Signore, affinché chiamasse nuovi missionari, Matteo parla della missione dei dodici discepoli. 
Gesù dà delle istruzioni a riguardo e tra queste istruzioni troviamo quale doveva essere il contenuto della loro predicazione che troviamo in questo versetto.
Il messaggio che i discepoli dovevano proclamare è esattamente lo stesso di quello di Giovanni Battista (Matteo 3:2) e di Gesù stesso (Matteo 4:17), anche se l'appello al ravvedimento in questo versetto non c’è, ma questo non significa che non lo fecero, infatti Marco 6:12 ci dice che i discepoli predicarono il ravvedimento; è probabile che Matteo lo dia per scontato visto la natura della predicazione del regno dei cieli.
Quindi anche se il ravvedimento, non è menzionato, è però, presupposto.
Così vista la vicinanza del regno dei cieli, il popolo doveva ravvedersi.
I discepoli allora, dovevano continuare l'opera iniziata dal Battista e proseguita da Gesù.
Ora in questo versetto vediamo tre aspetti della missione dei dodici.
Il primo aspetto è la natura itinerante della missione
“Andando” (poreuomenoi - presente medio participio). 
Questo verbo significa spostarsi da un luogo all'altro, cambiare luogo, muoversi, con l’implicazione di continuità.
Questo messaggio doveva essere proclamato mentre andavano da un luogo all’altro, quindi come vediamo anche dal contesto, doveva essere una missione itinerante, non un ministero stabile in un luogo (Matteo 10:11–15).
La missione dinamica affidata ai discepoli la vediamo ancora dopo la resurrezione di Gesù in Atti 1:8, in questo caso non doveva essere solo in Israele: “Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra”.

Salmo 63:5-8: La soddisfazione di Davide

 Salmo 63:5-8: La soddisfazione di Davide
John Piper afferma: "Dio è più glorificato in noi quando siamo più soddisfatti in lui". 
Secondo questa affermazione lapidaria, non dovremmo cercare la soddisfazione nei piaceri di questo mondo, ma in Dio! 
In questo modo Dio è glorificato.
Davide lo stava vivendo! Davide cercava ed era soddisfatto in Dio!
Ricordiamo il contesto.
Davide era nel deserto (v.1), quando era re (v.11), quando fuggiva dal figlio Absalom che si era ribellato a lui per essere il nuovo re (2 Samuele 15:23, 28; 16:2,14; 17:16).
Davide fu costretto a lasciare Gerusalemme, dovette fuggire per salvarsi la vita, e a un certo punto di quella fuga da Gerusalemme, lui e la sua compagnia si trovarono in un deserto. 
Il desiderio suscitato da questo luogo desolato, era un desiderio molto più profondo di qualsiasi altra cosa, il desiderio di Dio, un desiderio ardente e prioritario (vv.1-4).
Nei versetti 5-8 vediamo il desiderio permanente di Davide che aveva di Dio con la sua soddisfazione in Lui.
Cominciamo a considerare:
I LA CERTEZZA DI DAVIDE (v.5) 
Nel v.5 leggiamo: “L'anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso, e la mia bocca ti loderà con labbra gioiose”.
Noi vediamo qui la fede di Davide, è certo che la sua anima sarà soddisfatta.
La fede è aspettare con certezza che Dio opererà (cfr. per esempio  Matteo 9:27-30; Marco 5:25-34; Ebrei 11:6).
Vediamo:

Giudici 21:25: Senza una guida timorata di Dio c’è disordine

 Giudici 21:25: Senza una guida timorata di Dio c’è disordine
“ In quel tempo, non c'era re in Israele; ognuno faceva quello che gli pareva meglio”.
Questo è stato il ritornello di tutto il libro dei Giudici (Giudici 17:6; 18:1; 19:1).
Essenzialmente, Dio non era riconosciuto come Re in Israele; il periodo dei giudici fu un periodo di anarchia e sconvolgimento. 
Le persone spesso senza leader sguazzavano nell'idolatria, nell'immoralità e nell'odio. 
Il peccato abbondava sia a livello personale che nazionale, e Dio permise ripetutamente al nemico di sopraffare il Suo popolo.
Questo commento conclusivo del v.25 in Giudici, riflette i tre peccati principali del libro: infedeltà al Signore (Giudici 1:1–3:6), individualismo morale autodistruttivo (Giudici 3:7–16:31) e ferocia omicida che uccide la società (Giudici 17:1–21:25).
Nel contesto vediamo che un Eframita di nome Michea usò l'argento rubato per fare un idolo e reclutò un levita per servire come sacerdote di famiglia (Giudici 17:1-13). 
Il levita e l'idolo furono presi dai Daniti in cerca di terra. 
Istituirono un centro di culto settentrionale che gareggiava con il tabernacolo durante questo periodo (Giudici 18:1-31). 
Quando certi uomini di una banda Beniamita hanno violentato e ucciso la concubina di un levita, è scoppiata una guerra civile tra le altre tribù, quasi spazzando via la tribù di Beniamino (Giudici 19:1-21:25).
Ora il libro dei Giudici si conclude con questo versetto come a indicare che quando non c’è una guida, il popolo fa quello che gli pare, quindi disordine, immoralità e malvagità come ho sintetizzato prima.
Daniel Block a riguardo scrive: “La malvagità è democratizzata; ognuno fa ciò che è giusto ai propri occhi e i risultati sono disastrosi”.

Salmo 24:7-10: La realizzazione della presenza di Dio

 Salmo 24:7-10: La realizzazione della presenza di Dio
I vv.7-10, mettono in evidenza che Dio è il Re glorioso.
La prima parte del Salmo 24:1-2 ci parla della grandezza del Signore come Creatore (vv.1-2).
La seconda parte ci parla di come l'uomo può entrare in relazione con questo grande Dio santo. 
La terza parte ci parla del popolo che è chiamato ad accogliere il Re di gloria, il Guerriero vittorioso.
George Fredrick Handel è considerato uno dei più grandi compositori nella storia della chiesa. 
La sua famosa composizione “Messiah”, è la più popolare delle sue opere; ha spinto innumerevoli credenti ad adorare Dio. Questo capolavoro fu eseguito per la prima volta a Londra il 23 marzo 1743. In questa occasione era presente il re d'Inghilterra Giorgio II. Tutti i presenti rimasero profondamente commossi quando ascoltarono  questa musica ispiratrice e questo testo biblico.
Quando fu cantato “The Hallelujah Chorus”, contenente le potenti parole: “Poiché il Signore Dio onnipotente regna”, accadde qualcosa di inaspettato. Lo stesso re Giorgio II si alzò in piedi in un atto di omaggio. Ciò spinse l'intero pubblico a fare lo stesso. Rimasero in piedi per tutto il coro, riconoscendo la grandezza dell'unico, vero Re del cielo che regna su tutto, anche sui re terreni. Da quel momento a oggi, è sempre stata consuetudine stare in piedi durante "The Hallelujah Chorus".
Il culto autentico implica contemplare la gloria rivelata di Dio e rispondere al suo splendore con un cuore umile pieno di ammirazione e di adorazione per Lui!
Questo è il vero cuore dell'adorazione: un umile riconoscimento della sovranità del Signore degli eserciti, una risposta appropriata con la nostra adorazione e consacrazione. 
Steven J. Lawson scrive: “La vera adorazione è un desiderio divorante di donare noi stessi a Dio, cedendo tutto ciò che siamo a tutto ciò che Egli è”.
Il Salmo 24 è un inno di adorazione e lode che indirizza i cuori del Suo popolo ad adorare Dio in modo da riconoscere la Sua gloria.

Salmo 24:3-6: La rivelazione della purezza del Signore

 Salmo 24:3-6: La rivelazione della purezza del Signore
Spurgeon disse: “Ci dovrebbe essere una certa preparazione del cuore nel venire all'adorazione di Dio. Considera chi è colui nel cui nome ci riuniamo, e sicuramente non possiamo affrettarci insieme senza pensarci. Considera chi professiamo di adorare, e non ci affretteremo alla sua presenza come si corre al fuoco”.
Non dobbiamo essere frettolosi nell’adorazione del Signore, ma dobbiamo preparare i nostri cuori adeguatamente considerando chi è.
Questi versetti mettono in evidenza il fatto che Dio è santo e quindi implica l'assenza di ogni impurità morale e imperfezione, e il possesso, in grado infinito, di tutto ciò che è moralmente puro, amabile ed eccellente. 
Pertanto il peccato è una cosa vile e detestabile a Dio, è un abominio. 
(cfr. per esempio Proverbi 3:31-32; Abacuc 1:13).
Matthew Henry disse: “Nessun attributo di Dio è più terribile per i peccatori della sua santità”.
Per molti studiosi, questo salmo descrive l’ingresso dell’arca del Signore degli eserciti a Gerusalemme subito dopo che era stata catturata dai Filistei (2 Samuele 6:12-19; 1 Cronache 15).
Certamente per Davide fu, il giorno, o uno dei giorni più belli della sua vita.
L’arca rappresentava la presenza di Dio in mezzo al Suo popolo (1 Samuele 4:21-22; 6:19-20), e allora doveva prepararsi adeguatamente ad accoglierlo.
Il salmista ricorda ai fedeli, o agli adoratori, chi sono coloro che possono entrare alla presenza di Colui che ci ha creato.
Gli adoratori dovevano soddisfare le condizioni di Dio per entrare nella Sua santa presenza, richiedeva qualcosa di più di una semplice celebrazione, richiedeva la santificazione! 
Se vogliamo entrare alla presenza del Signore, dobbiamo essere santi, questo è il messaggio di questi versetti.
Vediamo allora:  

Salmo 24:1-2: Il riconoscimento del potere del Signore sulla Sua creazione

 Salmo 24:1-2: Il riconoscimento del potere del Signore sulla Sua creazione
Per molti studiosi, questo salmo descrive l’ingresso dell’arca del patto del Signore degli eserciti a Gerusalemme subito dopo che era stata catturata dai Filistei (2 Samuele 6:12-19; 1 Cronache 15).
L’arca rappresentava la presenza di Dio in mezzo al Suo popolo.
Davide descrive l'ingresso glorioso del Signore nella città santa di Gerusalemme mentre incoraggia coloro che adorano il Signore a prepararsi adeguatamente.
In questi due primi versetti del salmo vediamo la realtà del potere del Signore.
Davide dichiara il potere sovrano del Signore sulla Sua creazione e su tutto ciò che contiene.
Ciò che Davide mette in evidenza è la sovranità di Dio che non è limitata a una sola nazione, o a un solo paese: Egli è il Signore di tutto il mondo, perché ne è il Creatore.
Il salmo in ogni sua parte fa emergere una diversa caratteristica di Dio: (1) il Dio Creatore (vv. 1-2), (2) il Dio santo (vv. 3-6) e (3) il Re glorioso (vv. 7-10).
Noi oggi vedremo il Dio Creatore, vediamo che coloro che credono in Dio riconoscono la Sua sovranità sulla Sua creazione. 
Nel riconoscimento vediamo due aspetti.
Il primo aspetto è:
I L’AFFERMAZIONE (v.1)
Al v.1 leggiamo: “Salmo di Davide. Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti”. 
Il famoso predicatore metodista, John Wesley vedeva i suoi beni materiali da una prospettiva biblica diversa rispetto a molte persone anche credenti.
Un giorno, mentre John Wesley era lontano da casa, qualcuno corse da lui dicendo: “La tua casa è bruciata! La tua casa è bruciata!” Wesley rispose: “No, non è così, perché non possiedo una casa. Quello in cui ho vissuto appartiene al Signore, e se è andato a fuoco, questa è una responsabilità in meno per me di cui preoccuparmi”.
John Wesley credeva che lui era un amministratore dei beni del Signore, riconosceva che il Signore era il proprietario della sua casa.

Neemia 8:10: La gioia del Signore è la nostra forza!

 Neemia 8:10: La gioia del Signore è la nostra forza!
“Non siate tristi; perché la gioia del SIGNORE è la vostra forza”.
Il libro di Neemia ci parla del ritorno degli esuli Giudei in patria per la costruzione delle mura di Gerusalemme.
Il muro fu terminato il venticinquesimo giorno del sesto mese (Neemia 6:15). 
Le riunioni e le feste di metà anno di Israele si tenevano durante il settimo mese (cfr. per esempio Levitico 23:24-25,27,34), quindi questa era un'occasione adatta per riunire il popolo per celebrare il completamento del muro ricostruito (Neemia 7:73; 8:1) proprio nel tempo della Festa delle Capanne/Tabernacoli.
Celebrata per otto giorni, era la gioiosa festa autunnale di ringraziamento di Israele per la raccolta dall'aia e dal torchio (Esodo 23:16; 34:22; Deuteronomio 16:13–15). Ma era da molti anni che non si celebrava (cfr. per esempèio Neemia 8:17).
Il suo principale rituale distintivo era di dimorare in capanne in commemorazione della protezione di Dio durante il cammino nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto (Levitico 23:39–43; Neemia 8:13–18).
La "capanna" nella Scrittura non è un'immagine di privazione e di miseria, ma di protezione, conservazione e riparo (Salmo 27:5; 31:20; Isaia 4:6). 
La comunità che si rallegrava comprendeva la famiglia, i servi, le vedove, gli orfani, i leviti e i gli stranieri (Deuteronomio 16:13-15).
Su richiesta del popolo, Esdra, assistito da alcuni leviti, lesse la legge e la spiegò al popolo. Doveva essere passato così tanto tempo da quando le persone avevano sentito la legge che tutti ascoltarono attentamente (Neemia 8:1–8). Mentre ascoltavano la legge erano tristi e piangevano, probabilmente erano addolorati perché si sentvano mancanti davanti  al Signore.

2 Samuele 11:15: Un peccato conduce a un altro

 2 Samuele 11:15: Un peccato conduce a un altro
“Nella lettera aveva scritto così: ‘Mandate Uria al fronte, dove più infuria la battaglia; poi ritiratevi da lui, perché egli resti colpito e muoia’”.

Il peccato è come mangiare le ciliegie: una tira l’altra! Sembra quasi impossibile fermarsi! 
Una volta che hai ceduto alla tentazione diventa difficile controllarla!
Così un peccato conduce a un altro! 
Davide per nascondere un peccato ne ha fatto un altro.
Il re Davide abusando del suo potere, commise prima adulterio con Bat-sceba, moglie di Uria e poi si è macchiato dell’omicidio del marito pianificandolo in un modo lucido, facendolo morire in battaglia per coprire la gravidanza di Bat-sceba, che era rimasta incinta dal loro rapporto adulterino. 
Questo avvenne dopo un primo fallimento del piano subdolo e ingannevole di Davide che aveva spinto Uria dalla moglie così da unirsi a lei e coprire la gravidanza adultera (2 Samuele 11:1-27). 
Questo comportamento di Davide è davvero scioccante se pensiamo che era un uomo secondo il cuore di Dio (1 Samuele 13:14), aveva l'unzione del Signore, era contrassegnato dalla presenza del Suo Spirito (1 Samuele 16:13), ed era un uomo di fede come vediamo nei suoi salmi (cfr. per esempio Salmo 23;25;27).

1 Cronache 16:35: Il culto che merita Dio

 1 Cronache 16:35: Il culto che merita Dio 
Continuiamo il nostro studio sulla gloria di Dio.
Come già vi siete sicuramente accorti, la gloria di Dio è collegata con noi, infatti comporta una nostra reazione come la lode e l’adorazione.
Tozer disse: “Esiste una chiesa locale per fare collettivamente ciò che ogni credente cristiano dovrebbe fare individualmente, e cioè adorare Dio”.
Adorare Dio è lo scopo della nostra esistenza!
Siamo stati salvati per adorare Dio!
Nel v.35 leggiamo: “E dite: ‘Salvaci, o Dio della nostra salvezza! Raccoglici fra le nazioni e liberaci, affinché celebriamo il tuo santo nome e mettiamo la nostra gloria nel lodarti’”. (cfr. Salmo 106:47).
Prima di tutto troviamo:
I L’INGIUNZIONE
“E dite”.
L’imperativo “dite” (ʾimrû – qal imperativo attivo) è “esprimere a parole”, ed è in relazione alla nostra salvezza.
Sembra strano questo ordine, ma non lo è perché Dio si diletta nel farci del bene! 
In questa ingiunzione, vediamo tre appelli:
A) Il primo appello
“Salvaci, o Dio della nostra salvezza!”

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