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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

1 Tessalonicesi 5:18: La gratitudine a Dio è la Sua volontà

 1 Tessalonicesi 5:18: La gratitudine a Dio è la Sua volontà
Abbiamo visto nella predicazione precedente che rendere grazie a Dio in ogni circostanza è possibile.
Oltre che essere un comandamento, abbiamo anche visto che fa bene alla nostra vita.

Mentre ci avviciniamo alla conclusione di quest'anno, molti di noi sono naturalmente portati a fare dei bilanci. 

Guardiamo indietro ai mesi trascorsi, alle sfide affrontate, alle gioie vissute, e forse anche alle delusioni incontrate. 

In questo momento di riflessione, 1 Tessalonicesi 5:18 ci offre una prospettiva preziosa sulla volontà di Dio per la nostra vita che è quella della gratitudine a Dio.

Questa parola ci ricorda che la gratitudine non è semplicemente una risposta emotiva alle circostanze favorevoli, ma è profondamente radicata nella volontà di Dio per noi in Cristo Gesù. 

Mentre ci prepariamo a entrare in un nuovo anno, comprendere questa verità può trasformare non solo il modo in cui guardiamo al passato, cioè con gratitudine, ma anche come ci apprestiamo ad affrontare il futuro, sempre con gratitudine a Dio. 

In primo luogo, vediamo:

1 Tessalonicesi 5:18: La gratitudine a Dio in ogni circostanza è possibile

 1 Tessalonicesi 5:18: La gratitudine a Dio in ogni circostanza è possibile
Spesso attraversiamo ondate di sensazioni di lontananza da Dio soprattutto quando le circostanze sono brutte e siamo sotto i tormenti dello scoraggiamento.
Sembrerà strano, ma la migliore cura è entrare alla presenza di Dio ringraziandolo come ha fatto Chester Allen Bitterman.
Chester Allen Bitterman aveva un figlio Chet Bitterman, un missionario della Wycliffe - missione che si occupa di traduzioni della Bibbia - che fu rapito e poi ucciso da guerriglieri rivoluzionari in Colombia il 19 gennaio 1981. 
Suo padre, Chester Allen Bitterman, lottò contro la sua fede, reagendo con rabbia e disperazione intense anche contro Dio, quando seppe del rapimento del figlio, immaginando violenti tentativi di salvataggio per strapparlo dai rapitori. 
In mezzo al suo tumulto interiore, il versetto della Bibbia che gli risuonava in mente, era proprio 1 Tessalonicesi 5:18.
Come poteva ringraziare Dio pensando al figlio rapito!?
Il versetto suonava come una sciocchezza per Bitterman. "Paolo non ha mai avuto un figlio in ostaggio, è assurdo rendere grazie in un momento come questo", disse fra se.
Ma il versetto gli tornò ancora in mente: “In ogni cosa rendete grazie”. ... E poi ancora. E ancora. Bitterman lottò contro quel versetto con tutte le sue forze, argomentando e resistendo. Ma non riuscì a evitarlo: “... perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù per voi”.
Alla fine, cadde in ginocchio e iniziò a singhiozzare, sentendo nel suo cuore che non avrebbe mai più rivisto suo figlio Chet. Le ore passarono. 
Pregò, meditò e pianse, e lentamente, molto lentamente, il suo cuore cambiò. Cominciò a percepire benedizioni non riconosciute, cominciò “a stringere una mano divina”, cominciò a sperimentare il potere della preghiera e di quel versetto.
Quella notte un padre angosciato sentì il cuore del Padre.
Questo esempio, ci fa capire che ringraziare Dio in ogni circostanza è possibile!
Questo è il tema della predicazione di oggi, concentrandoci sul fatto che è un’esortazione.
Consideriamo allora:

La lode profetica di Zaccaria Luca 1:77-79 (2)

 La lode profetica di Zaccaria Luca 1:77-79 (2)
Vi siete mai sentiti completamente soli, avvolti da un'oscurità che sembrava non finire mai?
Se non ti è mai capitato, immagina di essere immerso in un buio totale, così denso che puoi quasi toccarlo.
Un'oscurità che non è solo assenza di luce, ma un peso che schiaccia l'anima, un vuoto che grida disperazione.
Poi, improvvisamente, un bagliore. Non un lampo che acceca e sparisce, ma una luce gentile e persistente che inizia a sciogliere le tenebre, a dissipare le ombre, a riempire gli spazi più bui della tua esistenza.
 
Questa è l'essenza del messaggio di Zaccaria, un messaggio di speranza.
È la storia di come Dio, nella Sua infinita misericordia, non ci ha abbandonato nell'oscurità del peccato e dell’ombra della morte, ma ha mandato Gesù Cristo, la luce del mondo per guidarci verso la pace.
Una luce che non solo illumina, ma che trasforma.
Una luce che non danneggia, ma risana.
Una luce che non condanna, ma redime.
 
Stiamo ancora meditando sulla lode profetica di Zaccaria.
Zaccaria dai vv.76-79 si concentra profeticamente sulla missione del figlio Giovanni.
L’ultima volta abbiamo visto che Giovanni Battista sarà chiamato profeta dell’Altissimo perché andrà davanti a Lui per preparare le Sue vie.
Dai vv.77-79 vediamo altri tre scopi della missione di Giovanni

Luca 1:77-79: La lode profetica di Zaccaria (5)

 Luca 1:77-79: La lode profetica di Zaccaria (5)
Vi siete mai sentiti completamente soli, avvolti da un'oscurità che sembrava non finire mai?
Se non ti è mai capitato, immagina di essere immerso in un buio totale, così denso che puoi quasi toccarlo. 
Un'oscurità che non è solo assenza di luce, ma un peso che schiaccia l'anima, un vuoto che grida disperazione. 
Poi, improvvisamente, un bagliore. Non un lampo che acceca e sparisce, ma una luce gentile e persistente che inizia a sciogliere le tenebre, a dissipare le ombre, a riempire gli spazi più bui della tua esistenza.
Questa è l'essenza del messaggio di Zaccaria, un messaggio di speranza. 
È la storia di come Dio, nella Sua infinita misericordia, non ci ha abbandonato nell'oscurità del peccato e dell’ombra della morte, ma ha mandato Gesù Cristo, la luce del mondo per guidarci verso la pace. 
Una luce che non solo illumina, ma che trasforma. 
Una luce che non danneggia, ma risana. 
Una luce che non condanna, ma redime.
Stiamo ancora meditando sulla lode profetica di Zaccaria.
Zaccaria dai vv.76-79 si concentra profeticamente sulla missione del figlio Giovanni.
L’ultima volta abbiamo visto che Giovanni Battista sarà chiamato profeta dell’Altissimo perché andrà davanti a Lui per preparare le Sue vie.
Dai vv.77-79 vediamo altri tre scopi della missione di Giovanni
Cominciamo a vedere il primo scopo:

Galati 4:4: La puntualità di Dio!

 Galati 4:4: La puntualità di Dio!
“Ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio”.

Immagina di ricevere un regalo prezioso, ma di fermarti solo alla carta lucida che lo avvolge, senza mai aprirlo. 

Questo è quello che facciamo spesso con il Natale, ci fermiamo all'involucro, agli aspetti esteriori, che sono i regali, le luminarie, i cenoni e i pranzi, senza mai scoprire, senza mai andare a vedere, o cercare di capire il vero significato del Natale che riguarda la Sua nascita, il fatto più importante per la storia dell’umanità.

Spurgeon disse: "Cristo è il grande fatto centrale della storia del mondo. A Lui tutto guarda in avanti o indietro. Tutte le linee della storia convergono su di Lui. Tutti i grandi propositi di Dio culminano in Lui. Il fatto più grande ed epocale che la storia del mondo registra è la sua nascita". 

Oggi non parleremo del Natale come una festa tradizionale, ma come un evento rivoluzionario che ha cambiato la storia e può cambiare la tua vita. 

Andremo oltre le consuete narrazioni natalizie per scoprire tre verità profonde che Dio vuole comunicarci attraverso la nascita di Gesù.

Cominciamo con la prima verità:

La lode profetica di Zaccaria (Luca 1:76). (1)

 La lode profetica di Zaccaria. (Luca 1:76). (1) 
Immagina un bambino di pochi giorni, appena nato, a cui viene profetizzato un futuro straordinario; un futuro che non ha scelto, ma che gli è stato donato. Questa è la storia di Giovanni Battista, un bambino destinato a grandi cose.
Siamo ancora al capitolo 1 di Luca, stiamo meditando sulla reazione del sacerdote Zaccaria che nel periodo della circoncisione del figlio, esplode in una lode profetica, dopo che aveva recuperato la voce.
Zaccaria esplode in questa lode profetica non solo perché il figlio Giovanni sarà uno strumento del Signore, ma soprattutto perché non c'era stato nessun profeta tra gli Ebrei per quattrocento anni!
Dopo secoli di silenzio, Dio scelse un momento speciale nella storia per agire per il Suo popolo nel perdono e nella salvezza. 
Lo fece portando al mondo due bambini speciali, uno dal grembo di una donna anziana e sterile, l'altro da una giovane adolescente vergine che celebrava il suo fidanzamento e si avvicinava al matrimonio. 
Questo è il Dio che serviamo, un Dio che sceglie il Suo tempo per benedire il Suo popolo in modi che non potremmo mai aspettarci.
Nelle tre precedenti predicazioni, abbiamo visto i vv.68-75, oggi mediteremo una parte del v.76, considerando la missione del figlio di Zaccaria, Giovanni.
Prima di tutto consideriamo:

Luca 1:76: La lode profetica di Zaccaria (4)

 Luca 1:76: La lode profetica di Zaccaria (4) 
Immagina un bambino di pochi giorni, appena nato, a cui viene profetizzato un futuro straordinario; un futuro che non ha scelto, ma che gli è stato donato. Questa è la storia di Giovanni Battista, un bambino destinato a grandi cose.

Siamo ancora al capitolo 1 di Luca, stiamo meditando sulla reazione del sacerdote Zaccaria che nel periodo della circoncisione del figlio, esplode in una lode profetica, dopo che aveva recuperato la voce.

Zaccaria esplode in questa lode profetica non solo perché il figlio Giovanni sarà uno strumento del Signore, ma soprattutto perché non c'era stato nessun profeta tra gli Ebrei per quattrocento anni!

Dopo secoli di silenzio, Dio scelse un momento speciale nella storia per agire per il Suo popolo nel perdono e nella salvezza. 
Lo fece portando al mondo due bambini speciali, uno dal grembo di una donna anziana e sterile, l'altro da una giovane adolescente vergine che celebrava il suo fidanzamento e si avvicinava al matrimonio. 

Questo è il Dio che serviamo, un Dio che sceglie il Suo tempo per benedire il Suo popolo in modi che non potremmo mai aspettarci.

Nelle tre precedenti predicazioni, abbiamo visto i vv.68-75, oggi mediteremo una parte del v.76, considerando la missione del figlio di Zaccaria, Giovanni.

Prima di tutto consideriamo:

Luca 1:74-75: La lode profetica di Zaccaria (3)

 Luca1:74-75: La lode profetica di Zaccaria (3)
Questa è la terza predicazione sulla lode profetica del sacerdote Zaccaria.
Nelle predicazioni precedenti abbiamo visto che Zaccaria benedice il Signore perché ha riscattato il Suo popolo, e ha suscitato un potente Salvatore nella casa di Davide Suo servo secondo le profezie dell’Antico Testamento (Luca 1:67-71). 

Nella seconda predicazione (Luca 1:72-74) ci siamo concentrati sulla misericordia, fedeltà e grazia del Signore, e sul fatto che salva perché possiamo servirlo. 

Zaccaria ci offre una prospettiva profonda e trasformativa sul significato della vera consacrazione al Signore.
Attraverso le sue parole in Luca 1:74-75, scopriamo che la salvezza non è un punto di arrivo, ma l'inizio di un viaggio di totale dedizione al Signore. 

Non si tratta semplicemente di un atto religioso occasionale, ma di un impegno radicale che abbraccia ogni momento della nostra esistenza.

La chiamata di Dio non è un invito parziale, o momentaneo, ma una trasformazione integrale: da una vita centrata su noi stessi a un'esistenza interamente dedicata al servizio divino. 

Oggi, rifletteremo su cosa significa veramente essere consacrati considerando che siamo chiamati a servire Dio senza paura, in santità e giustizia, tutti i giorni della nostra vita.

Luca 1:72-74: La lode profetica di Zaccaria (2)

 Luca 1:72-74: La lode profetica di Zaccaria (2)
Ti sei mai chiesto perché il Signore ti ha salvato? 
Spesso pensiamo alla salvezza principalmente come una liberazione dal peccato, dalla condanna di Dio, dalla morte eterna. 
Questo è vero, ma è solo metà della storia. 
Nel testo di oggi, Zaccaria ci mostra che il Signore ci salva per uno scopo preciso: per servirlo.
Nel suo cantico di lode, Zaccaria pieno di Spirito Santo, celebra non solo la fedeltà di Dio nel mantenere le Sue promesse fatte ad Abraamo, ma anche il duplice aspetto della salvezza per la Sua misericordia: liberazione e servizio. 
È come ricevere non solo la libertà da una prigione, ma anche una chiamata a una nuova missione dopo essere usciti dalla prigione.
Nella precedente predicazione dei vv.67-71, abbiamo visto la benedizione del sacerdote Zaccaria, che pieno di Spirito Santo, loda il Signore per la salvezza e il Salvatore, ne abbiamo visto le caratteristiche.
In questa seconda parte della lode profetica di Zaccaria vediamo il carattere del Signore e la Sua concessione.
Cominciamo col vedere:

Luca 1:67-71: La lode profetica di Zaccaria (1)

Luca 1:67-71: La lode profetica di Zaccaria (1)
Vi siete mai sentiti così sopraffatti dalla gioia che le parole non bastavano a descriverla? 
È accaduto a Zaccaria, quando improvvisamente pieno dello Spirito Santo scoppia in un canto gioioso di lode. 
Luca dopo aver parlato della nascita di Giovanni Battista, ora riporta la reazione del padre Zaccaria, ovvero la lode, o com’è stato chiamato: “Il cantico di Zaccaria”, o “Il Benedictus”, chiamato così perché deriva dalla prima parola di questo cantico nella versione latina.
Zaccaria era un sacerdote ed era sposato con Elisabetta, una donna sterile. 
Entrambi erano anziani quando un angelo del Signore apparve a Zaccaria nel tempio, annunciandogli la nascita di un figlio, Giovanni Battista, che sarebbe stato un profeta e precursore del Messia.
A causa della sua incredulità - non credeva che potessero avere un figlio visto la loro tarda età - Zaccaria rimase muto fino alla nascita di Giovanni. 
Quando il bambino fu circonciso, Zaccaria riacquistò la parola e pronunciò un canto di lode a Dio (Luca 1:67-79).
Oggi vediamo i vv.67-71 di questa lode.

Galati 3:13: La sostituzione della salvezza in Cristo

 Galati 3:13: La sostituzione della salvezza in Cristo
John Stott disse: “La croce non è un compromesso tra Dio e il diavolo, ma il trionfo di Dio sulla maledizione della legge".

La croce non rappresenta un accordo tra Dio e il male, come se ci fosse stata una sorta di trattativa; ci fa anche capire che Dio non ha fatto concessioni al peccato, ma lo ha condannato nella persona di Gesù Cristo.

Allora la croce non è un fallimento di Dio, ma la massima espressione del Suo amore, giustizia e santità.
È attraverso la croce che siamo liberati dalla schiavitù del peccato e dalla condanna della legge grazie a Gesù Cristo.

Questa è la terza predicazione da questo versetto.

Nelle precedenti predicazioni abbiamo visto la salvezza in Cristo considerando in modo particolare il significato di “Cristo” e di “riscattati”; poi nella seconda predicazione abbiamo visto la specificazione della salvezza concentrandoci sulla maledizione della legge, cioè Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge.

Oggi vedremo la sostituzione della salvezza considerando la punizione, la propiziazione e il posto della salvezza.

Iniziamo con:

Galati 3:13: La specificazione della salvezza in Cristo

Galati 3:13: La specificazione della salvezza in Cristo
Dopo che Harriet Tubman fuggì dalla schiavitù nel 1849, si impegnò immediatamente nel movimento abolizionista, organizzando incontri e parlando contro la schiavitù. 
Ma non era abbastanza; tornò al Sud per aiutare altri schiavi a trovare la libertà. 
Se fosse stata catturata, sarebbe stata ricacciata in schiavitù, o uccisa come esempio per altri fuggitivi. 
Tubman tornò al Sud diciannove volte per salvare circa trecento compagni schiavi nonostante i rischi che correva da parte dei cacciatori di schiavi.
In Galati 3:13 però, non si tratta di una libertà dalle altre persone bensì dalla maledizione della legge di Dio!
Nella precedente predicazione abbiamo visto la salvezza in Cristo, parlando della persona e del prezzo della salvezza, oggi vediamo la specificazione della salvezza, cioè da che cosa Cristo ci libera: dalla maledizione della legge.
Ora dobbiamo chiarire un punto come ha detto qualcuno: "Cristo ha redento dalla maledizione della legge non abolendo la legge, ma diventando una maledizione per noi".
Paolo non sta parlando che non siamo più obbligati a osservare la legge morale di Dio, i dieci comandamenti, ma dalla maledizione della legge, che è la conseguenza che non siamo in grado di osservarla costantemente e perfettamente.
Anche se l’osservanza della legge morale di Dio (i dieci comandamenti) non ci salva, rimane comunque uno standard che regola il nostro comportamento informandoci della volontà di Dio e del nostro dovere verso di Lui.
I dieci comandamenti ci mostrano il giusto modo di vivere, perché si basano sulla santità e giustizia di Dio, esprimono la volontà di Dio per la nostra vita!  
Gesù non è venuto ad annullare in nessun modo la legge, anzi rafforza notevolmente il nostro obbligo di osservarla  (cfr. per esempio Matteo 5:17,27-28) facendoci capire come dirà poi Paolo, che: “… La legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono” (Romani 7:12).
Non siamo salvati per la legge dice Paolo, ma per fede, poi dice in Romani 3:31: "Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge". 

Galati 3:13: La salvezza in Cristo

 Galati 3:13: La salvezza in Cristo
Questo testo ci dà alcune verità evangeliche molto basilari.
Paolo, l'autore della lettera ai Galati, si trovava in una situazione complessa. 
Le chiese in Galazia stavano subendo pressioni da alcuni insegnanti che sostenevano che la salvezza si ottenesse non solo attraverso la fede in Cristo, ma anche osservando la legge Ebraica. 

Paolo smentisce questo falso insegnamento dicendo che tramite la legge c’è la condanna, la maledizione di Dio piuttosto che la salvezza e questo perché non siamo in grado di mettere in pratica la legge di Dio (Galati 3:10,12; cfr. per esempio Romani 3:19-20), e poi dice che siamo giustificati, cioè dichiarati giusti davanti a Dio per fede (Galati 3:11; cfr. per esempio Galati 2:16; 3:24), quindi per la sola grazia di Dio e non per opere (cfr. per esempio Romani 3:23-24; 11:5-6; Efesini 2:8-9).

Ma attenzione come dice Ralph P. Martin: “Non che la fede in sé salvi; piuttosto la fede è l'atteggiamento umano di essere ricettivo che accetta ciò che Dio nella sua grazia ci offre”. 

La fede è un dono di Dio! (cfr. per esempio Atti 18:27; Filippesi 1:29).

Paolo, dimostra che la religione legalistica, lungi dall'essere un extra richiesto da Dio, piuttosto è sottoposta al giudizio di Dio stesso!

L'unica eccezione a questo verdetto di condanna sarebbe trovare un uomo che osservasse perfettamente la legge, ma questa possibilità è esclusa dalla realtà della natura umana.

Solo Cristo ci riscatta dalla maledizione della legge di Dio!

Oggi mediteremo solo su: “Cristo ci ha riscattati.

Prima di tutto vediamo:

Salmo 74:21-22: La natura della supplicazione di Asaf (2)

 Salmo 74:21-22: La natura della supplicazione di Asaf (2)
La storia raccontata in questo salmo di lamento, la possiamo dire in un modo poetico.
Il cielo, una tela di nero inchiostro, era squarciato da strisce frastagliate di lampi. Il tuono rimbombò, un rombo assordante che scosse le fondamenta della terra. La pioggia scrosciava a torrenti, ogni goccia era un piccolo proiettile ghiacciato che si abbatteva sui vetri delle finestre. 
Il vento ululava, una sinfonia luttuosa che portava con sé l'odore del sale e della decadenza. 
Israele era un mare tempestoso in un fragile vascello, sballottato dall'implacabile tempesta.
Ma cosa fa Asaf in questo momento di profonda angoscia? Asaf alza gli occhi al cielo e rivolge a Dio una supplica urgente e appassionata, ma piena di fede.
Sebbene il salmo sia ambientato in un contesto storico specifico, i sentimenti di paura, angoscia e speranza espressi da Asaf sono universali. 
La tempesta che si era abbattuta su Israele è un'allegoria delle tempeste che ciascuno di noi affronta nella vita.
Questa è la seconda parte della natura della supplicazione del salmista Asaf a Dio.
Nella prima parte (vv.18-20,23), abbiamo visto che Asaf esorta Dio a ricordare gli oltraggi del nemico fatti proprio a Dio e a rispettare il patto che Dio aveva fatto a Israele, quindi a ricordare le Sue promesse.
In questa predicazione vediamo che Asaf supplica Dio di salvare e di operare in favore del Suo popolo.
Cominciamo con la supplicazione di:
I SALVARE (v.21) 
Il popolo di Israele, oppresso e sofferente, può essere paragonato a una nave in balia di una tempesta furiosa. 
Proprio come una nave ha bisogno di un timoniere esperto per guidarla in salvo, così gli oppressi hanno bisogno della guida e della protezione di Dio per superare le loro grandi difficoltà.
Come abbiamo già visto nel v.19, il salmista supplica il Signore di non abbandonare Israele ai nemici, quindi di salvarlo, ed è quello che leggiamo anche 
nel v.21: “L'oppresso non se ne torni confuso; fa' che il misero e il povero lodino il tuo nome”.
Questa è una richiesta di intervento divino a favore dei più deboli e dei bisognosi. 

Salmo 74:18-20,23: La natura della supplicazione di Asaf (1)

 Salmo 74:18-20,23: La natura della supplicazione di Asaf (1)
In questi versetti vediamo che il salmista Asaf supplica Dio.
Questa sua supplicazione è caratterizzata da un profondo senso di urgenza, da una fiducia incrollabile nelle promesse divine e da una richiesta dell’intervento di Dio in favore del Suo popolo e ripristini la Sua giustizia.
Steven J. Lawson scrive: “Poche prove nella vita sono più strazianti che subire sconfitte mentre si serve Dio. Quando l'opera di Dio incontra battute d'arresto, il suo popolo si tormenta per queste perdite e desidera ardentemente che l'opera del regno di Dio venga ristabilita. E finché il regno di Dio non prospererà di nuovo, l'angoscia riempie i cuori dei suoi servitori. In questi tempi di devastazione, devono invocare Dio per sollievo e restaurazione. Questo è il fulcro del Salmo 74, un canto di lamento che esprime l'agonia del popolo di Dio devastato. I nemici di Israele avevano distrutto il tempio (2 Re 25), ma ancora peggio sembrava che Dio si fosse dimenticato di loro”.
Il salmista in questi versetti presenta una richiesta esplicita a Dio, gli chiede di intervenire e di liberare il Suo popolo. 
È un appello urgente e appassionato, basato sulla fiducia nelle promesse divine.
Dopo aver descritto con perplessità il problema della devastazione su Gerusalemme da parte dei nemici Babilonesi, Asaf poi si è concentrato su Dio, ora lo supplica ricordandogli che il nemico ha oltraggiato Lui e il Suo popolo, gli chiede di salvarlo, di agire in suo favore; quindi, lo richiama a essere fedele al patto.
Nella natura della supplicazione viene chiesto a Dio pima di tutto di:

Salmo 74:13-17: Il contenuto della lode a Dio

 Salmo 74:13-17: Il contenuto della lode a Dio
Immagina di camminare in un tunnel buio, sentendoti perso e impaurito. 
È così che si sentiva Asaf mentre affrontava l'oppressione dei Babilonesi. 
Ma proprio come la luce alla fine del tunnel illumina il cammino, ricordare la potenza di Dio illumina la nostra vita donandoci nuova e fresca speranza. 
Quando ricordiamo gli interventi storici della potenza di Dio, come la divisione del Mar Rosso, o la creazione dell'universo, come fece Asaf in questo salmo, ci viene ricordato che Lui è più grande delle nostre lotte, delle nostre sfide, dei nostri problemi e dei nostri nemici!
Asaf ci insegna che una persona, o un popolo oppresso (la Giudea lo era dai Babilonesi) che soffre quando tutto sembra perduto, quando la speranza sembra svanire e il futuro appare oscuro e incerto, di rivolgere lo sguardo al passato, ricordando le grandi opere di Dio.
Dovremmo ricordare sempre chi è Dio e cosa ha fatto nella storia biblica, ma anche nella nostra vita per rafforzare la nostra fede oggi, consentendo alla luce della speranza che proviene da Dio, di brillare attraverso l'oscurità delle circostanze che stiamo affrontando.
“Ricordare com'è Dio, quali promesse ha fatto e come ha redento il suo popolo in passato è la nostra principale fonte di speranza in un mondo oscuro e pericoloso” (Richard D. Phillips).
La consapevolezza di Dio sarà il nutrimento della nostra fede, la preparazione quando ci saranno momenti difficili, quando saremo in un momento critico saremo forti, per grazia di Dio, a resistere al “leviatano” dell’attacco di Satana, o a mettere ordine nella nostra vita se è nel caos!
Asaf ci invita a ripercorrere la storia della salvezza, a ricordare la potenza di Dio e a trovare in essa la speranza e la forza per affrontare le nostre sfide.
Come diceva Donald Grey Barnhouse: “Non dovremmo mai stancarci di pensare alla potenza di Dio”.
Questo è quello che ha fatto Asaf! E che dovremmo fare anche noi oggi per rafforzare la nostra fede e rinnovare la speranza.
Prima di tutto vediamo: 

Salmo 74:12: Il contrasto tra la circostanza e Dio

 Salmo 74:12: Il contrasto tra la circostanza e Dio
Immaginatevi di svegliarvi un giorno e scoprire che tutto ciò che avete amato è stato distrutto.
La vostra casa, il luogo dove avete trascorso momenti felici con la vostra famiglia, è in rovine. 
La vostra comunità (amici, parenti, conoscenti), unita e forte, è stata dispersa.
Questo è ciò che hanno provato i Giudei quando Gerusalemme fu saccheggiata dai Babilonesi.
Ma in mezzo a quella desolazione, il salmista Asaf ha trovato una speranza inaspettata; ha ricordato chi era Dio e cosa aveva fatto per il suo popolo in passato.
Il modo migliore per affrontare la sofferenza con tutte le nostre perplessità è quello di concentrarci su chi è Dio e sulle Sue azioni storiche.
Questo è il messaggio che troviamo nel salmo 74, dove il salmista Asaf, dopo aver descritto la devastazione di Gerusalemme, si concentra sulla maestà e il potere di Dio.
Il salmista passa a ricordare le grandi opere che Dio ha compiuto in passato, quasi a voler rinfrescare la sua memoria e a sottolineare il contrasto tra la gloria passata e la situazione attuale di miseria che il popolo stava vivendo. 
Ricordando le azioni passate di Dio durante l’esodo a favore del Suo popolo e l’entrata nella terra promessa, il salmista con fede prorompe in un inno di lode, magnificando ed esaltando il Signore.
Ricordando chi è Dio e le grandi opere che ha compiuto, Asaf incoraggia se stesso e gli altri a pensare a Dio in termini di capacità di realizzare ancora opere di salvezza. 
In questi versetti vediamo il passaggio dal lamento a una confessione di fede, una confessione che sottolinea il potere impressionante di Dio in una serie di affermazioni rivolte direttamente a Lui.
Nel contrasto vediamo:

Salmo 74:4-11: Fino a quando?

 Salmo 74:4-11: Fino a quando? 
Avete mai provato quella sensazione di essere sopraffatti da problemi che sembrano interminabili? O che i problemi non finiscono mai, che vengono uno dietro l’altro?
Quando la sofferenza si protrae e le risposte tardano ad arrivare, è naturale rivolgersi a Dio con domande tipo: “Perché non interviene”, oppure “Fino a quando, Signore?”
È proprio questo il grido angosciato del salmista Asaf, che visse in un periodo in cui Gerusalemme, il cuore del culto Ebraico con il suo tempio, fu saccheggiata e profanata dai Babilonesi. 
In questo Salmo, Asaf dà voce al dolore e alla confusione di un popolo che si sente abbandonato da Dio. 
Ma la sua storia, scritta centinaia di anni fa, risuona ancora oggi nelle nostre vite, quando ci troviamo di fronte a sfide che sembrano insormontabili. 
Nella precedente predicazione di questo salmo (vv.1-3) abbiamo visto la perplessità del salmista Asaf riguardo la situazione drammatica in cui si trovava Gerusalemme e il tempio.
Asaf supplica Dio a ricordarsi del Suo popolo e della Sua dimora devastati.
Oggi, insieme, esploreremo alcuni versetti vv.4-11 di questo salmo concentrandoci sulla particolarità dei problemi e sulla preghiera per i problemi.
Il salmista si rivolge a Dio come se non fosse a conoscenza degli eventi che si erano verificati! 
Asaf sta raccontando a Dio tutte le cose incredibilmente orribili che sono accadute nel tempio; il suo scopo non è, ovviamente, informare il Signore di ciò che è accaduto, ma spingerlo all'azione (v.11,19,22-23).
Questo salmo non è solo un resoconto storico, ma un viaggio nell'anima umana di fronte all'apparente silenzio di Dio. 
Mentre esploriamo questi versetti, non troveremo solo il dolore di un uomo e di un popolo, ma anche un riflesso delle nostre lotte moderne, delle nostre domande senza risposta, e soprattutto, un'indicazione di come mantenere la fede anche quando tutto sembra perduto.
Cominciamo a vedere:

Salmo 74:1-3: Perché?

 Salmo 74:1-3: Perché?
La tragedia umana continua a generare domande da sempre nella storia dell’umanità.
Davanti certe situazioni tragiche, credenti e non credenti si sono chiesti e si chiedono, il perché.
 
La vita cristiana, dunque è fatta anche di domande, come vediamo nei vv.1 e 10-11.
Di solito le domande che facciamo a Dio non sono fatte quando le cose vanno bene, ma quando abbiamo problemi, quando soffriamo, quando non vediamo vie di uscite e Dio non risponde alle nostre preghiere.

Allora chiediamo a Dio: “Perché sta capitando tutto questo a me? Perché non rispondi? Perché mi hai abbandonato?”

Oppure chiediamo al Signore: “Fino a quando durerà questa storia? Fino a quando mi farai soffrire?”

Ora come diceva Timothy Keller: "La fede non elimina le domande. Ma la fede sa a Chi rivolgerle".

La fede non implica una rinuncia al pensiero critico, o alla ricerca di risposte, ma consapevoli che li possa dare solo Dio, ci rivolgiamo a Lui.

Il Salmo 74 è un potente lamento, un grido di dolore rivolto a Dio in un momento di profonda crisi e sofferenza.
È un canto che esprime la desolazione di un popolo che ha visto il suo santuario profanato e la sua terra devastata.

Come vediamo in tanti salmi nella Bibbia, il lamento è un aspetto normale del rapporto con Dio.
Permette ai credenti di esprimere le loro emozioni più profonde a Dio, anche quando sono confuse e angosciate.

2 Cronache 20:12: Dalla debolezza alla forza, come la preghiera di Giosafat può ispirarci

 2 Cronache 20:12: Dalla debolezza alla forza, come la preghiera di Giosafat può ispirarci
“Dio nostro, non vorrai giudicarli? Poiché noi siamo senza forza, di fronte a questa gran moltitudine che avanza contro di noi; e non sappiamo che fare, ma gli occhi nostri sono su di te!”

Questa è una parte della preghiera del re Giosafat di Giuda.

La cosa vitale da fare quando ti senti sopraffatto da qualche problema, è cercare l'aiuto sempre pronto del Signore senza temere le brutte circostanze! (Salmo 46:1-3; 121)

Come ci insegna Giosafat, in tempi difficili, ai confini della disperazione, la prima cosa da fare è cercare il soccorso divino in preghiera, non come ultima risorsa, ma come atto di fede e di riconoscimento della Sua sovranità da cui dipende la tua storia, la tua vita!

In questo passaggio, il re Giosafat sta pregando Dio mentre affronta una grande coalizione di nemici (Moabiti, Ammoniti, Edomiti) che minacciano il suo regno. 
Questa alleanza rappresentava una minaccia senza precedenti, mettendo alla prova non solo la forza militare di Giuda, ma anche la fede del suo popolo nel Dio d'Israele.

Giosafat, riconosce che Dio è l'unico vero Dio e che solo Lui ha il potere di proteggere e salvare il Suo popolo in un momento di grave pericolo.

Ci ricorda che Dio è onnipotente e che nessun altro può offrire la protezione e la guida che Lui può dare ai Suoi fedeli seguaci.

Tre sono gli aspetti della preghiera di Giosafat che vengono fuori da questo versetto.

Il primo aspetto della preghiera è:

Marco 6:26: Una promessa avventata

 Marco 6:26: Una promessa avventata 
“Il re ne fu molto rattristato; ma, a motivo dei giuramenti fatti e dei commensali, non volle dirle di no”.

Promessa avventata
Passione e orgoglio accecano
Scelta malvagia

Questa poesia in stile Senryu sintetizza questa predicazione.

Vediamo il contesto di questo versetto.

Il re Erode organizzò una festa di compleanno che si concluse con una nota molto amara. 

Durante un ballo, Salomè (secondo lo storico Giuseppe Flavio), la figlia di Erodiada, moglie di Erode, che era stata sposata con il fratello di questo Filippo, dopo che Erode le disse con giuramento: “Chiedimi quello che vuoi e te lo darò” (Marco 6:22-23), lei consigliatasi con la madre, gli chiese la testa di Giovanni Battista in quel momento su un piatto (Marco 6:24-25). 

Il rancore è stato il motore principale di questa tragedia.

Come dice un proverbio italiano: “Chi di rancore è pieno mastica sempre veleno”; evidentemente Erodiada “masticava veleno” contro il profeta, perché non accettò l’accusa di Giovanni Battista a Erode che lo ammonì dicendogli che non gli era lecito tenere la moglie del fratello, appunto Erodiade (Marco 6:18-19).

I rancori posso portare a fare cose orribili! 
Il rancore è un veleno che avvelena l'anima di chi lo nutre, portandolo a compiere azioni distruttive fino a desiderare la morte della persona su cui si nutre rancore, come ci ricorda Nelson Mandela: "Provare rancore è come bere una bottiglia di veleno e sperare che uccida i tuoi nemici". 

La richiesta della ragazza influenzata dalla madre, sconvolse Erode, perché stimava Giovanni Battista, lo considerava uomo giusto e santo (Marco 6:20).

Ma nonostante questo, accolse la richiesta; fece tagliare la testa di Giovanni e la fece portare su un piatto, la diede alla ragazza e la ragazza alla madre (Marco 6:28-29).

C’è complessità delle motivazioni umane nelle decisioni difficili, ci possono essere travagli interiori, ma questa non deve essere una giustificazione per le azioni malvagie!

Giobbe 2:9: Un consiglio insensato!

 Giobbe 2:9: Un consiglio insensato!
 Kristin Armstrong scrive: “Spesso le circostanze della vita ci portano in luoghi in cui non avremmo mai avuto intenzione di andare. Visitiamo alcuni luoghi di bellezza, altri di dolore e desolazione”.
Cerchiamo di evitare a tutti i costi la sofferenza, passiamo tutta la nostra vita a cercare di evitarla, ma la sofferenza fa parte della condizione umana. 
Non esiste un uomo, o una donna di Dio, che non abbiamo sofferto!
Tutti noi abbiamo sofferto, stiamo soffrendo, o soffriremo, ma il punto è: come reagiamo alla sofferenza?
Tutto ci può essere portato via, ma abbiamo la libertà di scegliere come reagire alla sofferenza!
“Ma lascia stare Dio, e muori!” ci dice Giobbe 2:9.
Queste parole sono le parole della moglie di Giobbe rivolte proprio a lui.
Giobbe per attacco di Satana perde i suoi beni e la sua famiglia.
Satana pensava che Giobbe avrebbe rinnegato così il Signore (Giobbe 1:6-12).
Ma nonostante tutto questo, Giobbe benedice il Signore (Giobbe 1:13-21).
Non accettando la sconfitta, Satana affermò ancora che Giobbe era preoccupato solo per se stesso. 
Avrebbe sacrificato i suoi beni e persino la sua famiglia, ma non lui stesso, con la sofferenza, Giobbe avrebbe rinnegato il Signore (Giobbe 2:1–5). 
Dio accettò di nuovo la sfida di Satana, questa volta consentendogli di attaccare il corpo di Giobbe (Giobbe 2:6). 
Satana, quindi colpì Giobbe con una malattia dolorosa e ripugnante, con un’ulcera maligna che la grattava con un coccio mentre stava seduto sulla cenere, che secondo alcuni era la discarica fuori la città dove bruciavano i rifiuti!
Anche i suoi tre amici che lo andarono a trovare, talmente il dolore era molto forte, che per sette giorni e sette notti non dissero nulla (Giobbe 2:11-13). 
La reazione della moglie e la risposta di Giobbe stesso offrono spunti profondi per riflettere sulla natura della fede in tempi di avversità. 
Questo testo esplora in dettaglio le dinamiche di questa interazione, analizzando le motivazioni dietro le parole della moglie di Giobbe e la fermezza della fede di Giobbe di fronte a prove estreme.
Prima di tutto vediamo:

1 Samuele 15:24: La disobbedienza di Saul - lezioni sulla fedeltà a Dio

 1 Samuele 15:24: La disobbedienza di Saul - lezioni sulla fedeltà a Dio
“Allora Saul disse a Samuele: ‘Ho peccato, perché ho trasgredito il comandamento del SIGNORE e le tue parole, perché ho temuto il popolo, e ho dato ascolto alla sua voce’”.

Cosa spinge un uomo scelto da Dio a disobbedire così apertamente come Saul? 
Cosa possiamo imparare da questa storia millenaria?
Cercherò di dare delle risposte a queste domande.
Intanto vediamo il contesto di questo versetto.

Gli Amalechiti caddero sotto la stessa maledizione di quelle nazioni Cananee che dovevano essere distrutte (1 Samuele 15:1–3; cfr. Esodo 17:8–16; Deuteronomio 20:16–18; 25:17–19). 

L’obbedienza di Saul fu messa alla prova ancora una volta e ancora una volta fallì. 

Il suo potere regale non gli dava il diritto di modificare le istruzioni date da Dio per adattarle a se stesso, Saul disobbedì agli ordini del Signore degli eserciti (1 Samuele 15:4–9).

Dio comunicò a Saul tramite Samuele le conseguenze della sua disobbedienza (1 Samuele 15:10–16; cfr. 1 Samuele 13:13–14). 
I sacrifici religiosi e le vittorie militari non potevano sostituire l’obbedienza! 

Samuele aveva dato a Saul le istruzioni di Dio, ma Saul, agendo indipendentemente da tali istruzioni, si era ribellato a Dio, dimostrando così di essere inadatto a essere re del popolo di Dio (1 Samuel 15:17–23). 

Nessun appello da parte di Saul avrebbe potuto alterare il fatto che Dio lo avrebbe sostituito come re d'Israele (1 Samuele 15:24–29).

Certamente 1 Samuele 15:24 rivela la complessità della natura umana di fronte la volontà di Dio e le pressioni sociali, ma questa non può essere una giustificazione alla disobbedienza!

Cominciamo col vedere:

2 Cronache 30:10: “Da Gerusalemme a Zabulon – un viaggio di fede e persecuzione”

 2 Cronache 30:10:  “Da Gerusalemme a Zabulon – un viaggio di fede e persecuzione”
“Quei corrieri, dunque, passarono di città in città nel paese di Efraim e di Manasse, e fino a Zabulon; ma la gente si faceva beffe di loro e li derideva”.
Questo passo biblico ci trasporta in un periodo di profonda divisione e disobbedienza in Israele. 
Il regno d’Israele si era diviso in due regni quello del sud - Giuda e quello del nord – Israele, o Efraim.
Il re di Giuda, Ezechia, con un cuore rivolto a Dio, decide di ristabilire la celebrazione della Pasqua, un atto di rinnovato patto con il Signore, una festa che non veniva osservata da molti anni. 
Ezechia mandò messaggeri (corrieri) in tutta la terra di Israele con un messaggio che invitava le persone a pentirsi dalla loro infedeltà, a convertirsi al Signore e a venire a Gerusalemme per osservare la Pasqua (2 Cronache 30:1-9).
Il messaggio non solo non è stato accolto, ma quei messaggeri furono beffeggiati e derisi.
Il viaggio di questi messaggeri era molto più di una semplice missione diplomatica; era un'espressione di fede, di coraggio e di perseveranza di fronte all'ostilità e al rifiuto. 
Il loro cammino ci offre preziose lezioni sulla natura del servizio cristiano e sulle sfide che inevitabilmente incontriamo quando portiamo la Parola di Dio in un mondo spesso indifferente, oppure ostile.
In questa predicazione, ci concentreremo su tre aspetti chiave di questo racconto: il movimento dei messaggeri attraverso terre ostili, la loro meticolosità nel compiere la missione e la malvagità delle persone.
Prima di tutto vediamo:

Proverbi 1:5: La persona saggia

Proverbi 1:5: La persona saggia
“Il saggio ascolterà e accrescerà il suo sapere; l’uomo intelligente ne otterrà buone direttive”.
Il libro dei Proverbi fa parte della letteratura sapienziale dell’Antico Testamento. 
Nella cultura Ebraica, la saggezza era altamente valorizzata e considerata un dono divino. 
Questo versetto riflette l’importanza che la società attribuiva all’apprendimento continuo e alla crescita personale; racchiude in sé profonde verità sulla natura della saggezza e su come possiamo coltivarla nelle nostre vite.
In un mondo dominato da informazioni rapide, opinioni forti e la tendenza a parlare più che ad ascoltare, questo antico proverbio ci sfida a riconsiderare il nostro approccio all’apprendimento e alla crescita personale. 
Il nostro testo descrive una persona veramente saggia.
Il saggio (ḥākām) in questo versetto, è colui che ha capacità di comprensione e discernimento (cfr. per esempio Proverbi 10:8), è colui che è dotato di ragione e la usa, ma anche colui che è dotato di saggezza (cfr. per esempio Proverbi 24:5, 23; 29:8, 11; Ecclesiaste 2:14, 16, 19; 6:8; 7:4–5, 7, 19; 8:1, 17–9:1, 11, 17; 10:2, 12; 12:9, 11; Geremia 9:22).  
Troviamo tre caratteristiche dell’uomo veramente saggio.
Prima di tutto:

2 Re 3:16-18: Oltre ogni aspettativa - la potenza della provvidenza del Signore

 2 Re 3:16-18: Oltre ogni aspettativa - la potenza della provvidenza del Signore
Cosa accadrebbe se, in un momento di disperazione totale, un miracolo trasformasse la vostra situazione più critica in una fonte di abbondanza? In una benedizione?
È proprio questo che accadde al popolo di Israele nel libro dei Re. 
In un deserto arido e inospitale, dove ogni speranza sembrava svanire, Dio interviene in modo miracoloso, trasformando una valle secca in un fiume in piena!
Ma vediamo il contesto.
Ieoram, figlio del re Acab, succedette al fratello di Acazia in Israele. Fece ciò che è male agli occhi del Signore, ma non come suo padre perché tolse via la statua di Baal, che suo padre aveva costruito (2 Re 3:1-3).
Dopo la morte di Acab, Moab si era ribellata al dominio Israelita e si era rifiutata di pagare il tributo, ma Acazia non fece nulla al riguardo (2 Re 1:1). 
Ieoram cercò di recuperare questa preziosa fonte di reddito con un attacco militare in cui ebbe il sostegno di Giuda e di Edom, che avrebbero entrambi beneficiato se Moab fosse stata indebolita. 
L'esercito marciò intorno all'estremità meridionale del Mar Morto e si avvicinò a Moab dai deserti di Edom (2 Re 3:4-8).
Quando, dopo una settimana di marcia, l'esercito finì l’acqua, Ieoram si lamentò contro Dio. 
Giosafat aveva fede in Dio e gli chiese, tramite il profeta Eliseo, cosa avrebbero dovuto fare (2 Re 3:9-12). 
Eliseo non si sentì obbligato ad aiutare Ieoram, ma per amore di Giosafat annunciò che Dio avrebbe fornito acqua sufficiente in modo tale da soddisfare tutti i loro bisogni. 
Poi avrebbero attaccato e devastato Moab. Quella notte, dalle lontane colline di Edom, l'acqua scese nel letto del torrente asciutto accanto al quale l'esercito era accampato (2 Re 3:13-20).
Il giorno dopo gli alleati, rinfrancati, vinsero i Moabiti falsamente fiduciosi e devastarono le loro città, i loro campi e i loro alberi. 
Sembravano certi della completa conquista del territorio fino quando all'improvviso, mentre si avvicinavano all'ultima roccaforte, videro il re Moabita sacrificare suo figlio. 
Terrorizzato da questo atto crudele, gl’Israeliti e l'esercito alleato si ritirano e ritornarono finalmente a casa (2 Re 3:21-27). 
Così il racconto di 2 Re 3:16-18 ci offre una potente testimonianza della provvidenza di Dio. 
In un momento di estrema necessità, quando l'esercito d’Israele si trovava senza acqua nel deserto, Dio interviene in modo miracoloso, dimostrando che la Sua provvidenza supera ogni nostra aspettativa e comprensione.
Questo episodio non solo rivela la natura compassionevole di Dio che risponde ai bisogni del Suo popolo, ma anche la Sua onnipotenza che si manifesta in modi inaspettati e sorprendenti. 
Attraverso questo evento, siamo invitati a riflettere su tre aspetti fondamentali: le parole del Signore, la provvidenza del Signore, e infine la potenza del Signore.
Cominciamo a vedere che Eliseo sottolinea che quello che stava dicendo erano:

1 Samuele 7:9-10: Gli strumenti della vittoria

 1 Samuele 7:9-10: Gli strumenti della vittoria
“Samuele prese un agnello da latte e l'offrì intero in olocausto al SIGNORE; e gridò al SIGNORE per Israele, e il SIGNORE l'esaudì. Mentre Samuele offriva l'olocausto, i Filistei si avvicinarono per assalire Israele; ma il SIGNORE in quel giorno fece rimbombare dei tuoni con gran fragore contro i Filistei e li mise in rotta, tanto che essi furono sconfitti davanti a Israele”.
Seneca disse: "La speranza è il più grande bene che l'uomo possegga".
Seneca sottolineava come la speranza sia un bene inestimabile per l'essere umano.
Una forza che ci sostiene e ci motiva ad andare avanti, anche nelle situazioni più difficili. È l'antidoto alla disperazione. 
Ci permette di mantenere viva la fiamma dell'ottimismo, anche quando tutto sembra perduto come nella storia di questi versetti.
“Non si può vivere senza speranza. Vivere senza speranza significa cessare di vivere” diceva Fëdor Dostoevskij.
Perdere la speranza ha lo stesso effetto su di noi quando il nostro cuore smette di respirare, o quando non abbiamo l’aria.
Allora la speranza è un elemento essenziale per la nostra esistenza!
La perdita della speranza è una sorta di morte interiore. 
Quando perdiamo la speranza, perdiamo la voglia di vivere, la motivazione ad andare avanti, la capacità di sognare e di progettare il futuro.
La speranza è ciò che ci spinge a superare le difficoltà, a cercare soluzioni e a credere in un domani migliore.
Quanti di voi si sono mai sentiti come gl’Israeliti, circondati da nemici più forti e sopraffatti dalla paura? 
1 Samuele 7:9-10 ci ricorda che anche nei momenti più bui dobbiamo sempre sperare nel Signore.
In un'epoca in cui Israele era tormentato dalle continue incursioni dei Filistei, Samuele, offrì un agnello in sacrificio e pregò presso il Signore per il suo popolo.
Questa storia ci insegna che la preghiera, unita alla fede, ha il potere di muovere montagne e di trasformare le situazioni più disperate. 
Oggi, mentre affrontiamo le nostre personali battaglie, possiamo trovare conforto e incoraggiamento nell'esempio di Samuele. 

Efesini 3:20: Un’infinita potenza dentro di noi

Efesini 3:20: Un’infinita potenza dentro di noi
Hai mai provato lo stupore di fronte una circostanza inaspettata, o davanti un’opera d’arte, o la nascita di un bambino, o davanti fenomeni naturali? Momenti in cui la natura, o la vita stessa ti lasciano senza parole?
Io ho due ricordi ancora molto forti nella mia mente sulla bellezza della natura che mi hanno lasciato senza parole nonostante siano passati tanti anni.
Il primo ricordo risale quando mi trovavo per la prima volta, nelle saline in provincia di Trapani (Sicilia).
Siamo in estate, in mezzo alle vasche di sale dove si stagliavano dei mulini a vento, fui rapito dal sole che tramontava con un rosso infuocato che sembrava sciogliersi nell’acqua all’orizzonte del mare. Che spettacolo!!!
Poi, un altro stupore della forza della natura, sempre in Sicilia, stavolta nella parte orientale. Mi trovavo di sera da un amico in provincia di Catania, e si vedeva in lontananza la lingua rosso fuoco dell’eruzione dell’Etna che scendeva dalle sue pendici. Che spettacolo! Che stupore anche questo!
Eppure, c'è una forza ancora più sorprendente e potente che opera all'interno di noi, credenti in Cristo: la potenza infinita di Dio!
Efesini 3:20 ci incoraggia dicendo che questa potenza risiede nei veri cristiani.
In questa meditazione, esploreremo come questa realtà, spesso trascurata, possa trasformare radicalmente la nostra vita.
La potenza di Dio è un tema centrale nella fede cristiana, spesso discussa, ma non sempre pienamente compresa, o sperimentata dai cristiani. 
In questa meditazione, esploreremo il concetto dell'immanenza di Dio e della Sua efficienza attiva nella vita dei credenti.
Nelle altre predicazioni su questo versetto ci siamo concentrati sulla consapevolezza che ha il credente riguardo Dio, cioè della Sua costante onnipotenza, che può fare infinitamente di più della nostra preghiera, o immaginazione, questa è la Sua consuetudine nell’agire. 
Oggi mediteremo sulla frase che la traduzione Nuova Riveduta traduce: “Che opera in noi”; mentre la CEI traduce: “Che già opera in noi”.
Partiremo dall'idea che la potenza di Dio non è una forza distante, o astratta, ma una realtà dinamica e attiva che opera direttamente ed efficacemente nella vita dei cristiani; quindi, vedremo l’immanenza di Dio, cioè che è presente e non assente, e l’efficienza attiva di questa immanenza.
Cominciamo con:

Neemia 2:4: Un uomo di preghiera in azione

  Neemia 2:4: Un uomo di preghiera in azione
“E il re mi disse: ‘Che cosa domandi?’ Allora io pregai il Dio del cielo”.
Erano ormai trascorsi tredici anni da quando Artaserse aveva emanato il decreto che conferiva a Esdra l’autorità di recarsi a Gerusalemme e riformare Israele (Esdra 7:7; Neemia 2:1). 
L’opera di Esdra ebbe un certo successo iniziale, ma quando i Giudei cercarono di rafforzare le difese di Gerusalemme ricostruendo le mura della città, i loro nemici li accusarono di volersi ribellare alla Persia. 
Questi denunciarono la cosa ad Artaserse, con il risultato che il re emanò un decreto che imponeva l’immediata interruzione dei lavori (Esdra 4:7-23).
Nel frattempo, in Persia, Neemia, un funzionario Giudeo del palazzo del re, era salito al fidato grado di coppiere (cfr. per esempio Neemia 1:11). 
Quando i Giudei vennero a sapere che uno dei loro era in grado di parlare al re, si recarono in Persia per vederlo. 
In particolare, gli raccontarono del disagio che gli oppositori dei Giudei avevano creato a Gerusalemme eseguendo il decreto del re (Neemia 1:1-3; cfr. Esdra 4:23). 
Questo decreto poteva essere revocato sempre per la decisione del re in un secondo momento, se lo desiderava (Esdra 4:21); i rappresentanti di Gerusalemme speravano senza dubbio che Neemia potesse convincere il re a revocare il decreto sfavorevole a loro.
Neemia, era un uomo spirituale e un uomo di preghiera; sapeva che i problemi dei figli d’Israele era il risultato dei loro peccati e, in uno spirito di umile confessione, portò la questione davanti a Dio chiedendogli il Suo aiuto (Neemia 1:4-11).
Per quattro mesi Neemia pregò sulla questione (Neemia 1:1; 2:1). 
Era quindi pienamente preparato quando si presentò l'occasione di parlarne con il re. 
Il risultato fu che ricevette il permesso di tornare e di portare a termine l'opera di ricostruzione che aveva progettato. 
Gli fu dato anche il materiale da costruzione necessario (Neemia 2:1-8). Probabilmente questo fu il momento in cui fu nominato governatore di Gerusalemme (cfr. Neemia 5:14).
Quindi, ciò che vediamo di Neemia è che era un uomo di Dio e un uomo di preghiera, infatti più volte nel libro di Neemia si legge che Neemia pregava (Neemia 1:4-11; 2:1; 4:3,5,9; 5:15, Neemia 6:9-14; 7:2; Neemia 8:6,10; 9:4-5,33;10:29; 12:43; Neemia 13:22-23). 
Neemia 2:4, riporta la registrazione di una di queste preghiere e ci dà delle istruzioni sul tema della preghiera.
Prima di tutto vediamo:

Giovanni 12:26: All’ombra della croce di Gesù Cristo si coltiva la speranza

 Giovanni 12:26: All’ombra della croce di Gesù Cristo si coltiva la speranza
“Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l'onorerà”.
Quanti di noi hanno ammirato un grande atleta o un artista e hanno desiderato emularne le gesta?
Il desiderio di seguire un modello, un mentore, è profondamente radicato nell'animo umano. 

Ma cosa significa veramente seguire qualcuno? E soprattutto, cosa significa seguire Gesù Cristo?

In un mondo che ci invita a essere indipendenti e a perseguire i nostri obiettivi personali, queste parole di Gesù di Giovanni 12:26, ci invitano a riflettere sul significato profondo del discepolato. 

In questa predicazione, esploreremo il significato di seguire Gesù, le sfide e le gioie che ne derivano, e la meravigliosa promessa che Egli ci fa di essere sempre con Lui e ricevere l'onore del Padre.

Il contesto di questo versetto parla della glorificazione del Figlio dell’uomo, cioè Gesù.

Questo verso si inserisce in un discorso di Gesù che anticipa la sua glorificazione attraverso la morte e la risurrezione. 
Gesù sta preparando i discepoli a comprendere il significato profondo della sua missione.

Poco prima, Gesù aveva utilizzato l’immagine del chicco di grano che deve morire per produrre frutto. 
Questa immagine è una metafora della sua morte e della nuova vita che ne deriverà per molti.
Gesù contrappone l’amore per la propria vita terrena all’odio per essa, intendendo con odio un distacco dalle cose mondane per seguire Dio.

Il testo parla di due cose importanti vale a dire, il richiamo di Gesù, cioè di servirlo, e la ricompensa per il Suo servo. 

Cominciamo a vedere:

Esdra 3:3: Dalle ceneri alla fiamma: il ristabilimento del culto

 Esdra 3:3: Dalle ceneri alla fiamma: il ristabilimento del culto
“Ristabilirono l’altare sulle sue basi, sebbene temessero i popoli delle terre vicine, e offrirono sopra di esso olocausti al Signore: gli olocausti del mattino e della sera”.

Dalle ceneri della distruzione, una fiamma di speranza si riaccese. 
In un tempo difficile, un piccolo gruppo di uomini e donne Israeliti furono desiderosi di ritornare a Gerusalemme con un unico scopo: ricostruire! 

Si trovavano in esilio in Babilonia - per il giudizio di Dio - e volevano ritornare in patria con l'intenzione di onorare il Signore che avevano disonorato con l'idolatria molti anni prima.

Non si limitarono a rialzare le mura di una città, ma volevano riaccendere l'altare del Signore, simbolo del loro legame indissolubile con Lui. 

Esdra 3:3 ci racconta questa storia potente, una storia di rinascita, di coraggio e di incondizionata devozione. 

Un racconto che risuona ancora oggi, invitandoci a riflettere sul nostro rapporto con il Signore e sul nostro ruolo nel mondo.

Attraverso questo passo, esploreremo tre temi principali: la costruzione, il coraggio e la consacrazione. 
Questi elementi non sono solo parte della storia antica d'Israele, ma risuonano profondamente anche nella nostra vita di fede oggi. 
Vedremo come la priorità data al culto, il coraggio di fronte alle opposizioni e la dedizione quotidiana a Dio, siano aspetti fondamentali del nostro cammino spirituale.

Matteo 7:7: Le chiavi della preghiera potente

 Matteo 7:7: Le chiavi della preghiera potente 
“Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto”.
Questo versetto fa parte del “Sermone sul monte”.
Questo discorso esige delle qualità morali, standard alti certamente difficili da raggiungere per la nostra natura umana peccaminosa, ma possiamo pregare con la certezza che il Signore ci esaudirà.
Questo brano offre un incoraggiamento a tutti i discepoli che potevano essere sconfortati da ciò che Gesù aveva comandato di essere e di fare.
Inoltre, è un incoraggiamento per ciò che aveva detto riguardo il non essere ansiosi per i nostri bisogni primari del mangiare e del vestire (Matteo 6:25-34).
Possiamo allora pregare peri nostri bisogni spirituali e materiali certi che il Signore provvederà, esaudirà le nostre preghiere. 
Eppure, troppo spesso trattiamo la preghiera come un esercizio formale, o un’opzione tra le tante della vita cristiana. 
Queste parole di Gesù in Matteo 7:7, ci rivelano l’importanza vitale della preghiera e il modo in cui dobbiamo pregare per sperimentare appieno la potenza presente e trasformatrice della comunicazione con Dio, il Padre Celeste. 
Concentriamoci e apriamo i nostri cuori a questo insegnamento profondo, pregando Dio che oggi si manifesti a ciascuno di noi.
Prima di tutto vediamo:

Osea 3:5: Un amore che fa sperare

 Osea 3:5: Un amore che fa sperare
Nella vita, cerchiamo tutti un lieto fine, infatti ci commoviamo quando in un film drammatico vediamo che la storia finisce bene.
Conosciamo bene la famosa parabola del figlio prodigo raccontata da Gesù. Un giovane abbandona la casa paterna, sperpera la sua eredità, e si ritrova nel più profondo degrado. 
Eppure, quando torna a casa pentito, il padre lo accoglie a braccia aperte, organizzando addirittura una festa (Luca 15:11-32).
Questa storia ci commuove perché vediamo l'amore trionfare sulla delusione, il perdono prevalere sul peccato e il giudizio. Una storia dal lieto fine.
In modo simile, la storia della famiglia di Osea ha finalmente trovato il suo lieto fine, ma solo dopo molte turbolenze e vergogne, e così è anche per il popolo d’Israele.
Questo versetto ci parla di un amore, quello del Signore, che fa sperare anche nelle peggio situazioni di fallimenti, o peccati.
Nessun cristiano dovrebbe mai mettere in dubbio l'amore di Dio, dal quale niente e nessuno ci separerà! (cfr. per esempio Giovanni 3:16; Romani 5:6-8; 8:35-39). 
Osea sta guardando al futuro, a dopo il periodo cupo della disciplina correttiva amorevole del Signore, sta guardando alla restaurazione del popolo, al ristabilimento della relazione con il Dio del patto, come in Osea 1:10-2:1 e Osea 2:14-23.
In questo versetto troviamo un messaggio che risuona attraverso i secoli, parlando non solo al popolo dell'Antico Patto, ma anche a noi oggi. 
Esploreremo il contesto di questa profezia, il suo significato per Israele e le sue implicazioni per la nostra vita di fede. 
Vedremo come il Signore, nella Suo eterno amore, promette restaurazione e rinnovamento dopo periodi di idolatria del popolo infedele e della disciplina correttiva del Signore.
Cominciamo con il vedere:

Osea 3:4: Un amore che sa disciplinare

 Osea 3:4: Un amore che sa disciplinare
Avete mai ricevuto un regalo che inizialmente vi ha deluso, ma che poi si è rivelato essere esattamente ciò di cui avevate bisogno? 
A volte, l'amore più profondo e vero si manifesta in modi che non comprendiamo subito. 
Oggi esploreremo un tipo di amore simile: l'amore di Dio che sa disciplinare.
L’amore di Dio è un amore così profondo, così vero, che è disposto a fare qualsiasi cosa per renderci migliori, anche se significa farci attraversare momenti di dolore. 
Questo è l'amore di Dio che troviamo in Osea 3:4. 
L'amore di Dio, come un fuoco purificatore, a volte ci spoglia di ciò che per noi è importante per rivestirci della Sua gloria, trasformando le nostre privazioni in opportunità di rinascita spirituale e di intimità più profonda con Lui.
In questa predicazione vedremo insieme un passo che potrebbe sembrare duro a prima vista, ma che in realtà rivela il cuore di un Padre che ama così intensamente da essere disposto a disciplinare pur di purificare, a togliere per poi restituire il meglio. 
Attraverso le parole del profeta Osea, vedremo come Dio usa persino i momenti di privazione come strumenti del Suo amore, per risvegliare i cuori assopiti per purificarli. 
Nella predicazione precedente abbiamo visto un amore che sa aspettare fedelmente, cioè senza tradire il proprio partner: Gomer con il marito Osea e viceversa; questo è il simbolo tra Israele e Dio.
Oggi vediamo un amore che sa disciplinare.
Cominciamo con:

Osea 3:3: Un amore che sa aspettare

 Osea 3:3: Un amore che sa aspettare
Ci sono domande come queste che molti si pongono: “Dio mi ama davvero nonostante i miei fallimenti e peccati?” 
Oppure: “Se le persone cadono nel peccato e voltano le spalle a Dio, Egli le amerà ancora?” 
“Se le persone che hanno una relazione con Dio (come gl’Israeliti), ma gli sono infedeli, ‘si prostituiscono spiritualmente’ amando qualcuno, o qualcos'altro (idoli) più di Dio, Dio le rifiuterà per sempre?”
 
La risposta si trova in una delle storie d'amore più scioccanti della Bibbia: la storia di Osea e di sua moglie Gomer.
Proviamo a calarci in questa storia: Osea, un profeta di Dio, sposa Gomer sapendo che lei lo tradirà. 
Eppure, quando lei lo abbandona per darsi ai suoi tradimenti, Dio gli comanda di riprenderla e amarla di nuovo. 
Osea ci fa capire che nessuno ha mai meritato, o merita l'amore di Dio; è sempre un dono gratuito per coloro che ne sono indegni.
Quindi, questa storia è molto più che un semplice racconto di altri tempi! Perché è lo specchio dell'amore di Dio per ciascuno di noi. 
Un amore paziente che non abbandona, nonostante le nostre infedeltà, un amore che sa aspettare. 
Un amore purificatore che ci conduce attraverso il crogiolo delle prove per forgiare in noi un carattere santo.
Il cuore di Dio per noi non è la condanna, ma la redenzione!
Dio non vuole lasciarci nelle catene del peccato, ma riscattarci a caro prezzo per renderci Suoi per sempre. 
Proprio come Osea riaccolse Gomer, Dio ci attende a braccia aperte, pronti a perdonarci e purificarci attraverso il sacrificio di Cristo.
Sta a noi scegliere se continuare a vagare lontani come Gomer, o tornare all'abbraccio in Colui che ci ama.
E allora, apriamo i nostri cuori a questo messaggio rivoluzionario dell’amore divino!
Lasciamo che l'esempio di Osea ci mostri la via per abbracciare pienamente l'amore paziente e purificatore del nostro Dio!
Nelle precedenti predicazioni di Osea 3, abbiamo visto che l’amore di Dio persiste al tradimento con la storia di Osea e di sua moglie infedele, poi abbiamo visto che l’amore è un amore redentivo.
Nei vv.3-5 vediamo che i figli d’Israele sarebbero stati privati per un lungo periodo di ciò che per loro era davvero importante, dopo di che il rapporto con Dio sarebbe stato ripristinato. 
Questo è simboleggiato dal rapporto di Osea con la moglie Gomer; dopo averla acquistata, sarà privata e la sua libertà sarà limitata per un lungo periodo.
Oggi parleremo dell’amore che sa aspettare secondo Osea 3:3, che parla di una temporanea separazione di disciplina che precede la restaurazione (Osea 3:4-5).
L’amore che sa aspettare non è solo attendere qualcuno, o qualcosa, ma di farlo con un atteggiamento di speranza, fiducia e compassione. 
È un amore che resiste alle prove del tempo, alle delusioni e alle difficoltà, rimanendo fedele e incrollabile.
Nel v.3 vediamo due aspetti dell’attesa: la durata e la dedizione.

Osea 3:2: Un amore redentivo

 Osea 3:2: Un amore redentivo 
Stiamo ancora esplorando una delle storie più commoventi e profonde dell'Antico Testamento: la vicenda del profeta Osea e della sua moglie infedele, Gomer. 
A differenza di altre figure profetiche che erano titubanti, o scettici contro la difficile chiamata di Dio, vedi per esempio Mosè (Esodo 4:10) e Geremia (Geremia 1:6), Osea non si oppone alla chiamata del Signore, obbedisce diligentemente al comando di riprendere sua moglie adultera. 
Nella Bibbia, il libro di Osea offre una rappresentazione singolare e potente dell'amore di Dio. 
Il profeta narra le vicende del suo matrimonio con Gomer, una donna infedele che lo tradisce con altri uomini. 
Nonostante il dolore e il tradimento, Osea, su comando di Dio, riporta a casa Gomer riscattandola dalla schiavitù.
Questa storia non è solo un racconto di amore umano tradito e restaurato, ma è anche una potente immagine dell'amore redentore di Dio per il Suo popolo.
Ci parla anche dell'amore sacrificale di Gesù Cristo, che ha pagato il prezzo ultimo per liberaci dalla schiavitù del peccato e di Satana.
Nella precedente predicazione di Osea 3, abbiamo visto che l’amore di Dio persiste al tradimento con la storia di Osea e di sua moglie infedele, oggi vediamo che l’amore è un amore redentivo.

Osea 3:1: Un amore che persiste al tradimento

 Osea 3:1: Un amore che persiste al tradimento
L'amore di Dio per il Suo popolo è un amore che trascende ogni comprensione umana. 
Dio ci ama nonostante la nostra infedeltà!
La storia del profeta Osea, narrata nell'Antico Testamento, offre un'immagine potente e toccante dell'amore divino. 
Dio chiama Osea a sposare Gomer, una donna che si rivelerà infedele, adultera a lui. 
Attraverso questa esperienza dolorosa, Osea è chiamato a vivere e a testimoniare un amore che rispecchia quello di Dio verso il Suo popolo infedele, che lo tradisce con gli idoli di Baal.
In Osea 3:1 leggiamo l’importante azione che Osea doveva fare: “Il SIGNORE mi disse: ‘Va' ancora, ama una donna amata da un altro, e adultera; amala come il SIGNORE ama i figli d'Israele, i quali anche si volgono ad altri dèi e amano le schiacciate d'uva’”.
Questo versetto contiene verità profonde sull'amore incrollabile di Dio per noi, nonostante la nostra infedeltà e idolatria. 
Oggi esamineremo da vicino questo passo per comprendere meglio l'incomparabile amore del Signore e come dovremmo rispondere.
Cominciamo a vedere:

Efesini 3:20: La potenza è la consuetudine di Dio

 Efesini 3:20: La potenza è la consuetudine di Dio
La mancanza di consapevolezza della potenza di Dio che un cristiano ha, può portare a scelte sbagliate e a una vita priva della pienezza che Dio desidera per lui.
C'è la storia di un giovane di nome Danny Simpson. 
All'età di ventiquattro anni, rapinò una banca di Ottawa, in Canada, sotto la minaccia di una pistola. Ha derubato la banca di 6.000 dollari. Poco dopo è stato catturato. 
La tragedia di questa storia vera è che l'arma usata per rapinare la banca era una Colt semi automatica calibro 45 del 1918 del valore di 100.000 dollari! 
Danny Simpson ha rapinato una banca per 6.000 dollari con un'arma del valore di 100.000 dollari!
Il problema di Danny era che non sapeva cosa avesse in mano; se lo avesse saputo, probabilmente non avrebbe scelto di fare il ladro. 
Quello che aveva in mano gli avrebbe dato molto di più se l’avesse venduto!
Questa storia sottolinea l'importanza di riconoscere e comprendere cosa abbiamo in noi, spiritualmente è la potenza di Dio!
Se certi cristiani sapessero cosa hanno in Dio, avrebbero una vita diversa!
Dalla traduzione “Nuova Riveduta” leggo: “Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo”.
Oggi mediteremo questa frase: “Mediante la potenza che opera in noi”.
Quest’affermazione è un pilastro fondamentale della fede cristiana; racchiude una verità ricca di implicazioni per la nostra vita e il nostro rapporto con Dio. 
Siamo alla terza predicazione su questo versetto di Efesini.
Nella prima predicazione abbiamo visto la potenza infinita di Dio, nella seconda che Dio opera al di là delle nostre aspettative, oggi vedremo che la potenza è la consuetudine di Dio.
Cominciamo con il considerare che:

Giosuè 14:12: Possiamo farcela!

 Giosuè 14:12: Possiamo farcela!
“C’è la possiamo fare!” racchiude in sé un messaggio di grande forza e positività. È un invito a non arrendersi mai.

Nello sport, gli atleti usano spesso questo motto per motivarsi a vicenda e a raggiungere la vittoria.

Nel mondo del lavoro, i gruppi utilizzano questo motto per incoraggiarsi a vicenda e a raggiungere gli obiettivi comuni.

Nel sociale, le persone usano questo motto per promuovere la giustizia, l'uguaglianza e un mondo migliore per tutti.

Ma io oggi voglio usare questo motto in relazione alla fede, considerando l’esempio di Caleb, il figlio di Gefunne, il Chenizeo.
In Giosuè 14:12 leggiamo le sue parole: “Dammi dunque questo monte del quale il SIGNORE parlò quel giorno, poiché tu udisti allora che vi stanno degli Anachiti e che vi sono delle città grandi e fortificate. Forse il SIGNORE sarà con me, e io li scaccerò, come disse il SIGNORE”.

Questo versetto fa parte del racconto della distribuzione della terra di Canaan tra le tribù di Israele dopo la conquista, sotto la guida di Giosuè. 

Caleb e Giosuè, unici tra gli esploratori inviati da Mosè, ritornarono dopo 40 giorni con un resoconto positivo sulla possibilità di conquistare Canaan.

Nonostante il pessimismo degli altri dieci esploratori, che enfatizzavano la forza dei nemici, le città fortificate e la presenza dei giganti Anac (Numeri 13-14), Caleb e Giosuè rimasero fermi nella loro convinzione, sostenendo che con l'aiuto di Dio, Israele avrebbe potuto trionfare.

Esodo 4:2: Dio trasforma l'ordinario in straordinario

 Esodo 4:2: Dio trasforma l'ordinario in straordinario
Nella società moderna, siamo costantemente bombardati dall'idea che per avere successo e impatto dobbiamo possedere qualcosa di straordinario: talenti eccezionali, risorse illimitate, o conoscenze influenti. 
Ma la verità biblica ci ricorda che Dio fa la differenza, e Dio non è limitato da ciò che il mondo considera potente, influente, o prestigioso.
Anzi, spesso Dio sceglie l'improbabile e l'umile per confondere i sapienti di questo mondo. 
Un esempio lampante di questa verità si trova in Esodo 4:2, quando Dio si rivolge a Mosè chiedendogli: “Che cos'è quello che hai in mano?”. 
La semplice risposta di Mosè fu: “Un bastone”.
Da quel momento, quel semplice bastone divenne uno strumento di Dio nelle mani di Mosè che combatterà una delle più grandi superpotenze dell'antichità: l'Egitto dei faraoni. 
Per volontà e azione di Dio, quel semplice bastone si trasformò in un'arma potente in grado di scatenare piaghe, dividere il mare e condurre un popolo intero alla libertà.
Da Esodo 4:2 impariamo tre verità importanti che sono grandi incoraggiamenti per ogni cristiano oggi: Il Signore usa persone deboli con i loro strumenti ordinari, opera con quello che abbiamo e lo trasforma, e infine aggiunge e controlla.
Cominciamo a vedere:
I IL SIGNORE USA PERSONE DEBOLI CON I LORO STRUMENTI ORDINARI
Prima di tutto nel libro dell’Esodo troviamo:
A) I dubbi di Mosè
La Bibbia ritrae gli uomini di Dio con le loro debolezze come Mosè: era un uomo timido e insicuro, con un problema di comunicazione.
Dio non ha bisogno della nostra grandezza, o potere umano, ma può usare ciò che è debole per manifestare la Sua gloria sovrana. 
Le nostre debolezze non sono un ostacolo per Dio, che è più che sufficiente per portare a termine i Suoi propositi attraverso strumenti improbabili come Mosè e il suo bastone.
Il Signore si manifesta a Mosè in Oreb, mentre questi pascolava il gregge di Ietro suo suocero, per chiamarlo a compiere la missione di liberare il Suo popolo dalla schiavitù in Egitto.
Mosè non si sente all’altezza (Esodo 3:11), dubita che il popolo d’Israele crederà alla sua autorità e che lo seguirà (Esodo 4:1).

2 Re 18:7-8: La conseguenza della consacrazione di Ezechia

 2 Re 18:7-8: La conseguenza della consacrazione di Ezechia
2 Re 18:7-8: La conseguenza della consacrazione di Ezechia
I vv.5-6 parlano della consacrazione di Ezechia, cioè della fede e della fedeltà che aveva nel Signore, un esempio per tutti credenti.

I vv.7-8 ci parlano della conseguenza della consacrazione di Ezechia.

Come sottolineato da George Barlow: "Dio onora l'uomo che è zelante per la Sua gloria"; Ezechia ne è la prova tangibile. 

La sua consacrazione a Dio non solo lo ha elevato spiritualmente, ma si è tradotta anche in benefici concreti nella sua vita terrena, infatti prosperò, ebbe dal Signore ricchezze e onore (2 Cronache 31:20–21; 32:23,27-30).

Così vediamo tre elementi della conseguenza della fede e della fedeltà di Ezechia nel Signore.

Prima di tutto consideriamo:
I IL CONSEGUIMENTO (v.7) 
Leggiamo nel v.7: “Il SIGNORE fu con Ezechia, che riusciva in tutte le sue imprese”.

“Che riusciva in tutte le sue imprese” è in enfasi.

Questa frase racchiude un messaggio potente: il successo di Ezechia non fu casuale, ma la diretta conseguenza della sua fedeltà nel Signore!

La benedizione del Signore si manifesta su coloro che gli sono fedeli.

“Signore” (Yahweh) esprime l’auto-esistenza, è l'Eterno Io Sono, trascendente eppure presente, Colui che abbraccia la terra, si manifesta e cammina con l'uomo.

2 Re 18:5-6: La consacrazione di Ezechia

 2 Re 18:5-6: La consacrazione di Ezechia
Quale re di Israele o di Giuda è stato il migliore di tutti? 
Molti potrebbero rispondere il re Davide, perché era un uomo secondo il cuore di Dio (1 Samuele 13:14; Atti 13:22).
Ma i libri dei Re presentano altri due re che potrebbero meritare il titolo di “migliore di tutti”, vale a dire il re di Giuda Ezechia come anche il suo pronipote, il re Giosia (2 Re 23:25), infatti ricevono elogi straordinariamente alti da chi ha scritto 2 Re. 
Se Salomone è noto per la sua saggezza; Giosia per la sua conversione al Signore; Ezechia è noto per la sua fiducia nel Signore.
La fede e fedeltà di Ezechia al Signore erano esemplari.
Ma prima volevo dire due parole sul contesto storico.
Con la distruzione del regno di Israele nel nord e il disastroso regno di Acaz nel sud, la minaccia Assira in quella regione, raggiunse il suo apice.
Nonostante ciò, il giovane re Ezechia intraprese l’audace compito di riformare la religione di Giuda e di ribellarsi al potere Assiro. 
Per prepararsi all’assedio rafforzò le difese della città e migliorò la sua fornitura d’acqua (2 Re 20:20; 2 Cronache 32:5), e incoraggiò la popolazione a confidare in Dio per la vittoria (2 Cronache 32:1–8). 
Noi vediamo qui che Ezechia viene descritto con una serie azioni che ci parlano della sua fede e fedeltà al Signore.
Prima di tutto vediamo:

2 Re 4:2: Come posso aiutarti?

 2 Re 4:2: Come posso aiutarti?
“Eliseo le disse: ‘Che devo fare per te? Dimmi, che cosa hai in casa?’ La donna rispose: ‘La tua serva non ha nulla in casa, tranne un vasetto d'olio’”.
Ci sono diversi film che nei dialoghi qualcuno chiede a un altro: “Cosa posso fare per te”.
Per esempio, nel film “Il Miglio Verde” (1999), diretto da Frank Darabont e basato sull'omonimo romanzo di Stephen King, i protagonisti sono Paul Edgecomb (Tom Hanks), capo delle guardie del braccio della morte del penitenziario di Cold Mountain, e John Coffey (Michael Clarke Duncan), un condannato a morte dotato di poteri soprannaturali di guarigione.
In una scena c’è un dialogo tra i due, due giorni prima che John sia giustiziato sulla sedia elettrica:
Paul Edgecomb (Tom Hanks): “John... Ora devo chiederle una cosa molto importante”.
John Coffey (Michael Clarke Duncan): “So cosa vuoi chiedere, non c'è bisogno di dirlo”.
Paul Edgecomb (Tom Hanks): “No, devo, devo chiedertelo. John... dimmi cosa posso fare per te! Vuoi che ti lasci uscire di qui? Eh? Lasciarti scappare? Vedi fino a che punto puoi arrivare?”
Nella realtà, anche Eliseo con una donna vedova bisognosa nei debiti le chiese “che devo fare per te”, in altre parole “come posso aiutarti”.
Cominciamo a vedere:

2 Re 19:19: Lo scopo della supplicazione di Ezechia

 2 Re 19:19: Lo scopo della supplicazione di Ezechia
Avete mai pregato con fervore, implorando il Signore per un miracolo, o una semplice liberazione, e siete rimasti delusi perché la vostra supplicazione non è stata esaudita?
Tra le varie cause ci potrebbe essere stata quella che non ricercavate la gloria del Signore… avevate semplicemente una motivazione egoistica (cfr. per esempio Giacomo 4:3).
Lo scopo della nostra vita è glorificare Dio! (Isaia 43:7; 1 Corinzi 10:31).
Così quando preghiamo, la nostra preghiera deve mirare a glorificare Dio sia nel modo come preghiamo (cfr. per esempio Salmo 115:1; Matteo 6:9; Apocalisse 4:11), e sia anche nell’esaudimento.
La storia di questo capitolo di 2 Re, ci insegna che anche nei momenti più bui, possiamo trovare speranza nel Signore e cercare la Sua gloria, come ha fatto Ezechia.
La preghiera di Ezechia travalica i confini di Gerusalemme per abbracciare l'umanità intera, desiderando il riconoscimento universale del Signore come unico Dio.
Nella predicazione precedente abbiamo visto la prima parte del v.19, cioè la supplicazione di Ezechia che chiede al Signore la salvezza dall’esercito nemico Assiro che aveva conquistato la Giudea, e forte della vittoria, minaccia di distruggere Gerusalemme.
Le risorse di Ezechia sono limitate e la resistenza sembra impossibile; l'Egitto, alleato a cui si era rivolto, non offre aiuto (2 Re 18:21).
Ezechia ha una forte pressione psicologica da parte degli Assiri, che con parole arroganti e minacciose cercano di demoralizzare il popolo Giudeo e farlo dubitare del proprio Dio (2 Re 18:17-35; 19:10-14).
Ma nonostante le difficoltà, Ezechia non cede alla disperazione!!
Anche nei momenti più bui, possiamo trovare speranza nel Signore se ci rivolgiamo a lui con fede e umiltà!
Ezechia consulta il profeta Isaia e chiede la sua intercessione davanti il trono di Dio (2 Re 19:1-7).
Poi lui stesso si rivolge a Dio in una preghiera audace confidando nella Sua salvezza (2 Re 19:15-19).
Ezechia riconosce la necessità dell'intervento divino e la superiorità del Signore sugli dèi degli Assiri.
Se il re Assiro Sennacherib confida unicamente nella potenza del suo esercito e nel terrore che incute; Ezechia pone la sua fede nel Signore unico vero e vivente Dio, che considera l'unica vera forza e salvezza.
Ma lo scopo finale della supplicazione di Ezechia per la loro salvezza fisica in definitiva è per la gloria di Dio.
Anche Paolo parlando della salvezza spirituale dice in Efesini che è per la gloria di Dio (Efesini 1:6,12,14).
La nostra salvezza è un'opera meravigliosa di Dio che ha lo scopo di glorificare Lui stesso!
Paolo ci insegna che la salvezza spirituale non è solo per nostro beneficio personale, ma è anche e soprattutto per la gloria di Dio. 
Così siamo chiamati a vivere una vita degna del vangelo, riconoscendo che tutto ciò che siamo e che abbiamo proviene da Lui e a Lui deve ritornare in lode e adorazione, come anche il desiderio di vedere il Suo nome glorificato in relazione alle nostre richieste di preghiera!
Quando preghiamo allora dobbiamo avere in mente la gloria di Dio sia che ci esaudisce e sia che non lo faccia!

2 Re 19:19: La supplicazione di Ezechia

 2 Re 19:19: La supplicazione di Ezechia
Vi siete mai sentiti disperati, con le spalle al muro e senza via d'uscita? 
Forse avete perso un lavoro, avete ricevuto brutte notizie di salute, o affrontato una situazione che sembrava impossibile da superare. 
In momenti come questi, come dobbiamo reagire?
La storia di re Ezechia, raccontata in 2 Re 19, ci offre un potente esempio di come possiamo reagire. 
Ezechia e il popolo di Gerusalemme si trovano accerchiati dal temibile esercito assiro, ma il re si rivolse a Dio con un cuore pieno di fede, umiltà e audacia. 
La sua preghiera ebbe un impatto straordinario, salvando la città e dimostrando il potere di Dio di intervenire anche nelle situazioni più disperate.
Così quando ci troviamo di fronte a difficoltà insormontabili, possiamo rivolgerci a Dio certi del Suo aiuto, come ha fatto il re di Giuda Ezechia.
Warren Wiersbe scriveva: “Quando le prospettive sono tristi, provate a guardare in alto. È quello che fece il re Ezechia quando ricevette la lettera blasfema del re di Assiria. Spesso nel mio ministero ho dovuto presentare le lettere al Signore e confidare che Lui risolvesse le cose, e lo ha sempre fatto”.
In un momento difficile, d’impotenza militare, l’Assiria ha invaso la Giudea e la conquista, il re Ezechia si sottomette al re Assiro Sennacherib (2 Re 18:13-16).
L’esercito Assiro entusiasta della vittoria, minaccia Gerusalemme di distruzione. 
Le risorse difensive di Ezechia erano limitate e sembrava impossibile opporre resistenza, e l’aiuto atteso dall’Egitto non è arrivato (2 Re 18:21).
Il re Ezechia è sotto pressione anche perché più volte è stato attaccato verbalmente con parole arroganti e minacciose dagli Assiri, che cercarono di scoraggiare la fede in Dio dei Giudei, dicendo che nessuna divinità ha potuto resistere loro altrove, e così nemmeno il Signore li potrà liberare (2 Re 18:17-35; 19:10-14). 
Tuttavia, Ezechia non si lasciò scoraggiare!

Giovanni 21:6: La pesca efficace

 Giovanni 21:6: La pesca efficace
Nel sermone di oggi, ci concentriamo sulla pesca miracolosa di Gesù, come narrato nel Vangelo di Giovanni. 
Questo evento non solo rivela l’autorità divina di Gesù, ma sottolinea anche l'importanza dell'obbedienza e della fede in Lui per raggiungere risultati.
Giovanni 21 inizia dopo che il Gesù risorto era già apparso ai discepoli due volte, eppure questi sembrano ancora smarriti, sono ritornati alla pesca, a loro vecchio lavoro; non sapevano cos’altro fare di sé stessi. 
Gesù quindi, si manifestò di nuovo, la terza volta ai discepoli presso il mare di Tiberiade. 
Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e due altri dei suoi discepoli vanno a pescare, ma non pescarono nulla quella notte. 
La mattina Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che fosse Lui; Gesù disse loro se avevano pescato, alla loro risposta negativa, Gesù disse di gettare la rete dal lato destro della barca che avrebbero trovato i pesci. 
Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla perché era piena di pesci. 
Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro che quell’uomo era il Signore. 
Una volta tirata la rete a terra, contarono centocinquantatré grossi pesci; e, benché ce ne fossero tanti, la rete non si strappò. 
L'atto di gettare la rete e tirare su i pesci è una metafora della missione di evangelizzare dei discepoli. 
Proprio come i pescatori tirano su i pesci dal mare, i discepoli sono chiamati a “pescare gli uomini” per condurli a Cristo (cfr. per esempio Matteo 4:18-22; Marco 1:16-20).
Quali lezioni impariamo da questa storia?
Quali sono le caratteristiche di una missione con risultati?

Colossesi 1:27: La rivelazione del mistero di Dio

 Colossesi 1:27: La rivelazione del mistero di Dio
Questo versetto fa parte della lettera di Paolo ai Colossesi, una comunità di cristiani situata nell'antica Colosse. 
Nella lettera, Paolo affronta alcune false dottrine che circolavano nella comunità e ribadisce i principi fondamentali della fede cristiana. 
Il versetto 27 si inserisce in questo contesto, sottolineando la centralità di Gesù Cristo e la speranza a Lui collegata.
Paolo nel v.27 ribadisce che Dio ha preso l’iniziativa di far conoscere ai santi quale sia la ricchezza della gloria del mistero fra gli stranieri, cioè Gesù in voi la speranza della gloria.
Il v.27 si tratta di un'amplificazione della precedente proposizione del v.26 riguardo la manifestazione del mistero che era stato tenuto nascosto per tutti i secoli: “Ma che ora è stato manifestato ai suoi santi”, cioè Dio ha voluto far conoscere loro quali sono le ricchezze della gloria di questo mistero tra gli stranieri, cioè i non Giudei.
 
I “santi” del v. 26, sono quelli tra questi stranieri, cioè i cristiani in generale (Colossesi 1:2, 4, 12; 3:12), il popolo di Dio, come i credenti della chiesa di Colosse (v.2), sono coloro che Gesù ha santificato con il Suo sacrificio (1 Corinzi 6:9-11; Ebrei 10:10).
C’è uno sfondo nell’Antico Testamento, dell’Antico Patto che riguarda Israele, che è stato chiamato tra le nazioni per essere il popolo santo di Dio obbedendo alle Sue leggi (cfr. per esempio Esodo 19:6; Levitico 11:44; 19:2; Daniele 7:18, 22, 25, 27). 
Allo stesso modo, i cristiani sono “santi” a causa della nuova relazione in Gesù Cristo in un Nuovo Patto (cfr. per esempio Matteo 26:26-28). Sono messi a parte per Dio per servirlo (cfr. per esempio 1 Pietro 2:9-10) come eletti di Dio, santi e amati (Colossesi 3:12) la cui vita deve essere caratterizzata da un comportamento consacrato. 
L'avverbio “ora” (nuni) del v.26, si riferisce al Nuovo Patto.
La ricchezza della gloria di questo mistero si riferisce a Cristo nei cristiani.
Nel v.27 vediamo la rivelazione del mistero di Dio.
Cominciamo col vedere:

Ecclesiaste 1:14-15: La conclusione

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