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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

La spiritualità Biblica e la sofferenza.


La spiritualità Biblica e la sofferenza. 
In questa lezione vedremo:
1. Dio è una realtà diversa dalla nostra. Ha una logica diversa riguardo la sofferenza.
2. Dio guida e controlla tutti gli eventi.
3. Dio ha una buona ragione per cui soffriamo.

Sal.130:1-2: "O SIGNORE, io grido a te da luoghi profondi!Signore, ascolta il mio grido; siano le tue orecchie attente al mio grido d'aiuto!". Riguardo questo passo, Dale e Juanita Ryan dicono: “ Si sperimenta spesso l’afflizione come se si fosse in ‘luoghi profondi’. A volte sembra come se la sofferenza ci abbia inghiottiti. Il nostro grido di aiuto durante i periodi di sofferenza può sembrare disperato e flebile. Vogliamo credere che Dio ci oda. Vogliamo credere che sia attento al nostro dolore. Ma siamo incerti. Una delle esperienze più difficili durante le stagioni della sofferenza è avere la sensazione che il nostro grido di aiuto cada in orecchie sorde. Come il salmista, ci troviamo a supplicare Dio perché ci conceda la sua attenzione. Dio, che può esserci sembrato così presente e attento quando il nostro dolore era meno intenso, può sembrare stranamente assente proprio quando abbiamo più bisogno di lui. Quando siamo al massimo dell’afflizione, siamo spesso meno capaci di sperimentare l’amorevole presenza di Dio”. Il fatto che non sentiamo l’amorevole presenza di Dio, non significa che Dio abbia cessato di amarci. Dio non cessa mai di amarci! Anche se a volte non sentiamo il Suo amore, lui comunque ci ama! Il Suo amore sarà costante anche se a volte ci sembra il contrario. (Is.54:8-10; Ger.31:3; Ebr.12:5-11). 

1. Dio è una realtà diversa dalla nostra.
I pensieri di Dio vanno al di là dei nostri pensieri umani. A mente lucida il cristiano è consapevole che Dio è presente nella sua vita anche nella sofferenza, che niente sfugge al suo controllo attento. (Sal.23:4; 103:19; 139:8; Is.41:10; Rom.8:28-30,ecc.). Siamo consapevoli che Dio è trascendente, vale a dire al di sopra, al di là di questa creazione e delle nostre facoltà intellettive! Dio è infinito (Is.40:12-17), l’Altissimo (Dan.4:34) e noi siamo terreni, esseri finiti, limitati, perciò abbiamo una ragione che non è in grado di capire pienamente le buone, giuste e sagge ragioni di Dio, come e perché governa anche la sofferenza! 
James E. Means: “ Non siamo in grado di capire la complessità e l’inesauribile ricchezza dei suoi piani più di quanto un topo sia in grado di capire la tecnologia dei computer. Non c’è sforzo razionale in grado di farci abbracciare con lo sguardo tutta l’estensione e la molteplicità delle vie di Dio.”  
Non dobbiamo chiedere spiegazioni a Dio con un tono lamentoso pensando che non sia giusto, e chiedendoci perché ci accadono certe cose come fece Giobbe. Giobbe nella sua sofferenza voleva parlare con Dio faccia a faccia per chiedere spiegazioni riguardo la sua sofferenza (Giob.23:1-7;31:35-37). Ma quando Dio si rivela a Giobbe gli fa delle domande riguardo la Sua Mente e la Sua Attività, a cui Giobbe non è in grado di rispondere, domande che servono a far capire a Giobbe che Dio è maestoso e che l’uomo è limitato, pertanto l’uomo non può dibattere con Dio e nemmeno capirlo! Quindi Dio chiede a Giobbe dove era lui quando creò la terra e fissò le dimensioni, quando Dio separò il cielo dalle acque e fece apparire la terra asciutta (Giob.38:4-11). 
Dio chiede a Giobbe se fosse in grado di far sorgere il sole, (Giob.38:12-13) e se fosse in grado di fare dei bei paesaggi (Giob.38:12-15). Ancora, se Giobbe fosse stato nelle profondità del mare o ai confini della terra. Se conoscesse dove il sole si sofferma in modo che lo può far sorgere ogni mattina e prendere il suo posto di riposo ogni sera (Giob.38:16-21). Dio chiede a Giobbe se sapesse come funzionano gli agenti atmosferici (Giob.38:22-24); chi è che fa la neve, la grandine, il vento, la pioggia e i fulmini (Giob.38:25-30); se Giobbe potesse controllare le stelle (Giob.38:31-33); se potesse inviare inondazioni o siccità (Giob.38:34-38), ecc. 
Alla fine Giobbe dice a Dio Giob.42:1-6: "Allora Giobbe rispose al SIGNORE e disse: 'Io riconosco che tu puoi tutto e che nulla può impedirti di eseguire un tuo disegno.Chi è colui che senza intelligenza offusca il tuo disegno? Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; sono cose per me troppo meravigliose e io non le conosco.Ti prego, ascoltami, e io parlerò; ti farò delle domande e tu insegnami!Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio ti ha visto.  Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere'". 
L’uomo è limitato non può capire Dio e nemmeno dibattere con Lui! L’uomo non può capire Dio, perché Dio ha una logica diversa dalla nostra, ha una logica divina! Is.55:8-9: "'Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie', dice il SIGNORE.'Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri'". Edward J. Young dice: “Ciò implica che quanto i cieli sovrastano la terra così da non poter essere misurati dall’uomo, tanto le vie e i pensieri di Dio sovrastano quelli dell’uomo al punto di non poter essere afferrati nella loro pienezza. In altri termini, le vie e i pensieri di Dio risultano incomprensibili all’uomo”. 

2. Dio controlla e guida tutte le circostanze.
“Senza dubbio, ciò che più ci aiuta ad accettare e affrontare la sofferenza è una visione adeguata di Dio, imparando chi è e sapendo che è in controllo”. ( Joni Eareckson Tada). Dio controlla e guida tutte le circostanze, quindi anche le prove, secondo il suo progetto. “Dio non ci perde mai di vista, ci segue con lo sguardo, ci conosce, ci comprende, si prende cura di noi, ci ama e compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà Efesini 1:11” (James, E. Means) .  
C’è un termine che è stato coniato sul controllo e governo di Dio sulla creazione: la provvidenza. 
J.I. Packer da una definizione riguardo la provvidenza: “ La provvidenza di Dio è l’incessante attività del creatore per mezzo  della quale, nella Sua infinita bontà e benevolenza, Egli sostiene le creature nella loro esistenza, guida e governa tutti gli eventi, le circostanze  e i liberi atti degli angeli e degli uomini, e dirige ogni cosa al fine cui è ordinata, per la Sua gloria”.  (Dan.4:34; Sal.135:6; Atti 17:25,26,28; Matt.10:29-31; Prov.15:3; Sal.104:24; 145:17; Atti 15:18; Sal.94:8-11; Ef.1:11; Sal.33:10,11; Is.43:14; Ef.3:10; Rom.9:17;Gen.45:7; Sal. 145:7). Ma Dio controlla e guida ogni cosa per il bene del Suo popolo. 
Jerry Bridges a riguardo afferma: “La provvidenza di Dio consiste nella Sua costante cura verso tutta la creazione e il suo dominio assoluto su di essa a Sua Gloria e per il bene del Suo popolo”.  Dio governa con saggezza la Sua creazione, possiamo essere sereni a riguardo perché la saggezza di Dio “consiste nell’individuazione del miglior fine dell’azione, e nell’adozione dei mezzi migliori per l’attuazione di tale fine. Dio è infinitamente sapiente perché sceglie il fine migliore e perché adotta i migliori mezzi possibili per l’attuazione del fine che vuole realizzare” (J.L. Dagg).    
Quindi Dio sa cosa è meglio per te! E sa come meglio raggiungerlo! Che conforto! Inoltre Dio è fedele. La fedeltà è di Dio indica che garantisce che Egli non potrà mai essere o agire in contraddizione con se stesso (2 Tim.2:13). Dio non cesserà mai di essere che Egli è. Egli sarà sempre fedele a se stesso, ai Suoi figli, alla Sua opera e alla Sua creazione. 

3. Dio ha una buona ragione per cui soffriamo.
Dio conosce ogni cosa di te e di me!! Lui sa tutto! Lui conosce quello che stiamo vivendo, conosce i nostri pensieri e le nostre ambizioni, le nostre fragilità come anche i punti di forza, le ansie e la sofferenza come la salute. Dio conosce ogni cosa, fin dal principio Lui conosce la fine (Is.46:10; Salmi 139:15-16). Dio conosce ogni cosa del passato, presente e futuro. Dio ha una conoscenza illimitata! Nessuno si può nascondere davanti a Lui, tutte le cose sono nude e scoperte davanti i suoi occhi (Ebr.4:13). Dio è Onnisciente! Egli ci conosce meglio di quanto noi possiamo conoscere noi stessi! Dio conosce il numero dei capelli che abbiamo (Matteo10:30), conosce anche le nostre lacrime. (Salmi 56:8). Dio controlla ogni cosa e la tua storia  per uno scopo ben preciso. 
Rom.8:28-30: "Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli;e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati". 
Il “bene” (agathos) è beneficio, vantaggio, utilità e in riferimento al piano di Dio. 
Helmut Thielicke afferma: “ Niente potrà toccarmi che non sia passato al suo esame, cosicché ciò che mi tocca servirà al mio vero bene.”  Dio non ci ha promesso e assicurato una vita piacevole, non esaudisce sempre i nostri desideri, non fa sempre tutto quello che secondo noi dovrebbe realizzare, ma fa cooperare tutte le cose per il bene dei Suoi figli, perché li ama! 
Il “bene,” secondo il piano di Dio, è che noi assomigliamo sempre di più a Gesù, sia riguardo il carattere e sia riguardo la glorificazione in cielo con un corpo glorificato simile a Gesù.  Quindi il “bene” non è che tutto sarà piacevole, senza sofferenza, ma si riferisce ad essere come Cristo, questo è il piano di Dio per il cristiano! Dunque il beneficio non va visto nel tempo breve, ma a lungo raggio, dobbiamo vedere il bene finale. Alcuni pensano che Dio non è buono perché c’è molto dolore nel mondo, ma non comprendono che la bontà di Dio è una bontà che opera per uno scopo, non una bontà che soddisfi in ogni occasione la nostra mente finita, limitata! Perciò non lo accusiamo nei momenti più tragici della nostra vita, quando abbiamo l’impressione che Dio ci abbia abbandonati, in realtà sta guidando la nostra storia secondo la Sua storia, secondo i Suoi scopi e lo fa perché ci ama! (Prov.3:11-12; Ebr.12:5-11).
“Il dolore e la sofferenza non sono necessariamente segni della collera divina, ma può essere esattamente il contrario”  (John Blanchard). Dio a volte ci fa passare per il fuoco della sofferenza perché ci ama! 
Giac.1:2-4: "Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti". 
La parola “prova” (peirasmos) indica sottoporre a un test per vedere la qualità o il valore di qualcuno o qualcosa. Tra i greci veniva usata per indicare i test di medicina per vedere il loro effetto in certe malattie. La parola nel Nuovo Testamento è usata sia in senso negativo come istigazione al peccato e sia in senso positivo come prova dimostrativa della fede. In senso negativo: l’istigazione a commettere il peccato, viene chiamata tentazione. 
La tentazione è causata dalla nostra concupiscenza (Giac.1:13-14; 1 Tim.6:9); dal mondo (1 Giov.2:15-17; Giov.16:33); dal diavolo (Gen.3:1-4; Giob.1:1-2:10; Luca 4:13; Matt.4:3; 1Cor.7:5; 1 Tess.3:5. In senso positivo: Dio prova la nostra fede con il significato di test. Queste prove costituiscono un sondaggio o un test di Dio che gli consente di giudicare qualitativamente i suoi (Es. 15:25; 16:4; 20:20; Deut.8:2; 13:1-4; Giu.2:21-23; 3:1,4). 
La prova di Dio è costruttiva, è un mezzo che Dio usa per portare avanti il  suo piano di salvezza e di santificazione nella vita dei Suoi figli. La prova di Dio ha due scopi: 1)Mettere in luce la genuinità della fede e quindi dell’obbedienza, delle risorse morali.(Gen.22:1-ss; Deut.8:2; 13:1-4 Giu.2:21-23; 3:1,4). Dio permette tali prove a fin di valutare la forza, il valore e la qualità della fede dei credenti. Quindi la prova è un esame, serve a vedere di che pasta è fatta la nostra fede, attraverso la prova Dio mette a nudo la natura della nostra fede. Perciò la prova rivela il nostro vero carattere! Un altro scopo è 2) Rafforzare la fede e insegnarci cose importanti riguardo il rapporto con Dio. 
Thomas Watson disse: “Un letto di malattia a volte può insegnare più di un sermone!” Questo è confermato da Deut:8:3: "Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provar la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del SIGNORE". Non so quale sia la dinamica precisa di come la prova ci può fortificare e insegnare delle verità importanti riguardo la fede, ma è quello che vediamo quando Dio prova la fede. 
Il credente provato da Dio è purificato, corretto, disciplinato, esce dalla tribolazione rafforzato nella fede, perfezionato, desideroso di camminare con il Signore. (Giac.1:3; Sal.66:10; Prov.17:3; Mal.3:3). “C'è un certo tipo di maturità che può essere raggiunta solo attraverso la disciplina della sofferenza”. (D. A. Carson).   
L’apostolo Pietro incoraggia i credenti tribolati così: "Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove, affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell'oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo" (1 Pie.1:6-7). 
L’oro era provato con il fuoco per saggiare se era vero oro. Così la nostra fede che è più preziosa dell’oro che perisce deve essere provata per vedere se è vera. L’oro passava anche per il fuoco per togliere le impurità che aveva attorno quindi per essere pulito. Come l’oro è mescolato ad altri materiali meno pregiati e solo con il fuoco veniva purificato dalle impurità, così è la nostra fede è mescolata da cose che non onorano il Signore e  con la prova è purificata. (Sal.119:67; Zacc.13:9; Es.20:20; Rom.5:1-4; 8:28-30; Ebr.12:1-11). La prova è una circostanza dolorosa sotto il controllo di Dio con lo scopo  di cambiare la condotta e il carattere. 
Le prove sono tempi duri! Tempi duri per cambiare, per crescere spiritualmente! Questi momenti o periodi difficili variano sia in intensità che in durata. Possono essere leggere o forti, possono durare giorni o anni, sono svariate (poikolis) dice Giacomo, questo indica multicolore, variegato, di tutti i colori, varietà di via e di forme, quindi diverse di intensità e di enfasi. Può essere una sofferenza fisica, relazionale, economica, emotiva. La prova produce il carattere spirituale! Infatti la prova produce costanza. 
La parola “produce” (katergazomai) indica elaborare, effettuare, condurre a termine un compito, causare, produrre, (Lxx Deut.28:39; Ez.36:9; Es.35:33; Rom.1:27; 5:3; 1 Cor.5:3; 2 Cor.7:10; 9:10 ecc.) 
Cosa significa invece costanza? La costanza (hypomonē Lc.8:15; 21:19; Rom.2:7; 2 Cor.6:3-5; 2 Tess.1:3-4) è rimanere sotto, è la fermezza, la tenacia, la resistenza, l’abilità nel sopportare. Il ritratto è di una persona che porta per molto tempo con successo un carico pesante, quindi è anche uscire vittoriosi dalle avversità, senza soccombere come quei martiri cristiani che sotto persecuzione, mentre venivano divorati dalle fiamme sorridevano, erano gioiosi, questo suscitava meraviglia al pagano che osservava! La costanza è la qualità di rimanere fedele a Dio nonostante le ostilità o la sofferenza. Dio nella prova rimane con noi benché a volte non lo sentiamo o non ci liberi, ma ci sostiene affinché possiamo resistere con fermezza. 
James E. Means: “L’aiuto che mi viene da Dio non consiste nel far sì che nessuna difficoltà possa sfiorarmi, ma nel fortificarmi spiritualmente, mettendomi in grado di resistere con fermezza e di non lasciarmi travolgere dalle brucianti prove della vita”.   Giacomo dice che la prova produce la qualità della costanza, la resistenza per uno scopo: la crescita spirituale. Dunque, l’idea della parola “costanza” è rimanere sotto e in questo caso la parola indica il guidarci nella giusta direzione, quindi ha una funzione educativa. 
La costanza non è innata nell’uomo si impara, non senza sofferenza. La costanza è il risultato della prova e rafforza la nostra fede. Uno dei tanti fenomeni affascinanti in natura è quando la Cecropia, la più grande farfalla nordamericana, fuoriesce dal suo bozzolo. È un evento che si verifica dopo un estenuante lotta da parte dell’insetto per poter ottenere la libertà. Un giorno un tale mentre osservava questo evento, vedendo che l’insetto faceva fatica a  liberarsi, recise il guscio del bozzolo che lo conteneva; subito la farfalla ne venne fuori con le ali arricciate e contratte, ma continuando a osservarla si vedeva che le ali rimanevano deboli, la Cecropia di li a poco avrebbe spiegato le ali per volare, ma ora era condannata a trascorrere la sua breve vita per terra con la frustrazione di non poter mai volare! Quel tale non sapeva che quella lotta faticosa, dura dell’insetto per uscire dal bozzolo era necessaria per sviluppare e rafforzare il sistema muscolare e lo scorrimento dei fluidi organici nelle ali che avrebbe dovuto dispiegare. Cercando incautamente di abbreviare la fatica della farfalla, in realtà le aveva procurato una mutilazione. Dio usa le prove per sviluppare in noi il sistema muscolare del nostro spirito! Se Dio ci impedisse la sofferenza non sarebbe per noi di nessun aiuto per la nostra crescita spirituale! Noi siamo chiamati a lasciare che la costanza operi in noi!! La costanza è importante per raggiungere gli obbiettivi. 
H. Jackson Brown: “Nella lotta fra il torrente e la roccia vince sempre il torrente, non con la forza, ma con la costanza”. La roccia è levigata dalla costanza dell’acqua eppure la roccia è più forte! Per crescere in ogni cosa c’è bisogno di essere costanti, impariamo a camminare per la costanza, a scrivere e  leggere per la costanza, a superare gli esami grazie alla costanza o anche a fare delle scoperte o delle invenzioni per la costanza. Si racconta che Tomas Edison fece migliaia di prove prima di fare operare la luce elettrica. La sua perseveranza è provata anche dal fatto che un giorno, un lavoratore a cui Edison affidò un compito, andò da lui e gli disse: “Signor Edison ciò che mi ha detto di fare non può essere fatto!” Edison gli chiese quante volte avesse provato e il lavoratore rispose: “Approssimativamente duemila volte”. Edison rispose: “Ritorna e prova altre due mila volte; lei ha provato solamente che ci sono due mila modi nei quali non può essere fatto”. 
La costanza è importante se vogliamo vedere dei risultati nella nostra vita cristiana! È importante  lasciare che la costanza operi in noi! Giacomo dice: "E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti" (Giac.1:4). Il senso qui sarebbe di lasciare la costanza operare in noi pienamente senza ostacolarla così cresceremo, saremo perfezionati! Infatti il verbo “compia” (échō) è all’imperativo attivo! Quindi non è un augurio, ma un ordine! Siamo chiamati a rispondere con un giusto atteggiamento alle prove! 
Dobbiamo permettere alla costanza di operare in noi affinché questa ci  perfezioni! Solo in questo modo il credente può trarne beneficio! Infatti in tutta la lettera Giacomo esorta i credenti a rispondere positivamente all’ubbidienza, all’integrità. Anche Gesù, come uomo, è stato costante nella sofferenza e la Scrittura ci dice che è stato reso perfetto per via delle sofferenze, si è lasciato modellare (Ebr.2:10; 5:8). 
“Perfetto” è dal lato umano, perché Gesù come Dio già lo era! Quindi la prova, la sofferenza è pedagogica, istruttiva secondo gli scopi divini, che è la nostra maturità spirituale! 
Dio tramite la costanza ci fa crescere! Noi vediamo, dunque, l’importanza di lasciare che la costanza compia pienamente l’opera sua in noi. Questo passo indica che la costanza non è un attitudine passiva, nel senso che sopportiamo la prova aspettando che passa via, al contrario è qualità attiva, qualità che dovrebbe portare dei risultati nella nostra vita cristiana! “Compia” è messa in enfasi e indica l’avere, includere in sé, provocare, causare. 
“Pienamente” (teleios) qui indica un lavoro finito, completo. 
“Opera” (érgon) invece, indica l’effetto, il prodotto. Quindi Giacomo ci sta dicendo che la costanza deve avere un effetto pieno, completo nella nostra vita, perciò noi dovremmo lasciare che la costanza abbia il suo pieno effetto, raggiunga il suo fine, il suo scopo, faccia un lavoro completo: la crescita spirituale! Infatti, lo scopo di Dio è che la costanza ci renda perfetti. A che cosa si riferisce perfetti? Per i greci (classico ed ellenistico) perfetto (teleios) significava completo, senza difetti ( vedi anche Matt.19:21; Rom.12:2; Col.1:28 ecc.), la parola era usata per gli animali destinati al sacrificio. Anche nell’Antico Testamento la parola tradotta dall’ebraico era usata per gli animali offerti in sacrificio che dovevano essere senza difetti, quindi in un buona salute (Es.12:5; Lev.1:10; 3:6). 
“Perfetti” può avere diversi significati in questo contesto di Giacomo:1)L’integrità di una persona retta che cammina con Dio. Forse Giacomo ha in mente la perfezione secondo l’idea dell’Antico Testamento e quindi di una retta relazione con Dio espressa in una indivisibile obbedienza e vita immacolata, dedicazione e impegno totale. Per esempio Noè, Gen.6:9: "…Noè fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio. (Deut.18:13-14; 2 Sam.22:26). 
L’integrità è un tema della lettera di Giacomo, infatti esorta i credenti a essere integri, visto che erano doppi di animo (Giac. 1:8; 4:8). Perciò si potrebbe riferire all’integrità morale e spirituale. Può anche significare: 2) Lo standard,il modello, quindi essere a immagine di Dio o di Cristo. 
Matt.5:48: "Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste". Così riguardo a Gesù Paolo in  Ef.4:11-13 dice: "È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell'opera del ministero e dell'edificazione del corpo di Cristo, fino a che tutti giungiamo all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo";  da qui potrebbe anche significare, 3) Maturi o adulti. La stessa parola è usata in Ebr.5:13-14 dove è scritto: "Ora, chiunque usa il latte non ha esperienza della parola di giustizia, perché è bambino;ma il cibo solido è per gli adulti; per quelli, cioè, che per via dell'uso hanno le facoltà esercitate a discernere il bene e il male" (1 Cor.2:6; Fil.3:15; Col.4:12; 1 Cor.14:20). 
In questo senso “perfetti” non indicherebbe una perfezione come priva di peccato, ma la maturità spirituale, il carattere di una persona giunta al pieno sviluppo che non è rimasta bambina spiritualmente. Lo scopo della costanza è renderci completi (holoklēros). Questa parola è usata solo un’altra volta nel Nuovo Testamento  in 1 Tessalonicesi 5:23 per indicare l’intero nostro essere. Alcuni pensano che “perfetti” e “completi” siano sinonimi, per incrementare il carattere in processo. Altri dicono che “completi” si riferisce alla completezza, che non manca di niente, letteralmente intero in tutte le sue parti. In questo senso “completi si riferisce all’ampiezza: vale a dire che  al cristiano non manca di alcuna virtù che debba avere e che “perfetti” (teleios) si riferisce al livello,  alla perfezione, alla maturità, alla pienezza e non ai suoi deboli inizi, quindi è in contrasto con l’essere bambini. 
Giacomo dice: "perfetti e completi, di nulla mancanti". Secondo alcuni “nulla mancanti” è un’espansione di “completi”. Questo è il fine ultimo, il culmine di tutto il discorso, completi di nulla mancanti. 
“Mancanti” (leipo) era una parola usata in ambito contabile a proposito di deficit, di un saldo negativo, oppure della sconfitta di un esercito, del rinunciare in una lotta, del fallimento di raggiungere una norma che dovrebbe essere stata raggiunta. Nel Nuovo Testamento ha il senso di essere insufficiente, incompleto. Usato per il giovane ricco, che diceva di osservare tutta la legge e Gesù gli disse che gli mancava una cosa, il vendere tutto e di distribuirlo ai poveri e poi di seguirlo (Luca 18:22). Oppure l’esortazione di Paolo a Tito di completare il lavoro iniziato da Paolo (Tito 1:5)  e di provvedere alle necessità di Zena e di Apollo in modo che non gli manchi nulla nel viaggio (Tito 3:13). 
In queste parole di Giacomo non vediamo niente che abbia a che fare con l’accontentarsi dei risultati spirituali raggiunti fino adesso. L’obbiettivo del nostro carattere e quindi dell’uomo o della donna spirituale è assomigliare a Gesù allora saremo perfetti di nulla mancanti nelle varie virtù! Assomigli a Gesù? Inoltre Giacomo ci dice come affrontare le prove, nella prova dovremmo gioire! Giac.1:2-4: "Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti". 
La nostra tendenza è quella di essere turbati e scoraggiati per le prove e non certo di gioire. Giacomo sapeva a che cosa conduce la prova (maturità spirituale) ecco perché dice di gioire. “Gioia”(chara) nel Nuovo Testamento la troviamo quando si descrive la gioia che c’è in cielo per la salvezza di un peccatore (Luca 15:7); o quando Zaccheo accolse Gesù in casa (Luca19:6); o quando le donne seppero della resurrezione di Gesù (Matt.28:8); o quando Filippo fece molte liberazioni dai demoni in Samaria, la città era gioiosa (Atti 8:6-8), o l’eunuco convertito (Atti 8:39), o ancora la gioia della serva nel sentire la voce di Pietro libero dal carcere (Atti 12:14); oppure gli apostoli gioiscono per la conversione dei gentili (Atti 13:52; 15:3). 
Certo la fede non è masochista, noi non desideriamo subire pressioni, soffrire, ma quando questo accade non dovrebbe turbarci, le prove dovrebbero essere occasione di gioia genuina perché sono un mezzo che Dio usa per farci crescere spiritualmente! Considerate una grande gioia deve essere un atteggiamento urgente e una priorità assoluta, quindi da fare subito, infatti è un ordine. 
Il verbo “considerate” (hēgeomai) è un imperativo, perciò quando ci saranno le prove, dobbiamo gioire! Il tono di Giacomo, quindi è solenne e incoraggia ad agire subito. Una grande gioia deve essere un atteggiamento intenzionale nella prova. Indica un esercizio, una funzione mentale. La parola “considerate” (hegehomai) ha il significato di tener presente (Atti 26:2; 2 Cor.9:5); giudicare (Atti 15:22); stimare ( Fil.2:3; 1 Tess.5:13; 1 Tim.1:12; 6:1), ritenere (Fil. 2:25; 3:8; 1 Pie. 2:13); calcolare (Erb.10:29; 11:26). Quindi la gioia non è qualcosa di emotivo o di sentimentale, è intenzionale e viene da un accurato ragionamento basato sul fatto che Dio è all’opera e guida la storia per un progetto ben preciso: il tuo bene spirituale, la tua maturità. Una grande gioia deve essere un atteggiamento integrale. 
“Grande” (pas) è ogni, tutto, indica la piena e completa gioia ( 1 Piet.2:18) oppure pura e intera gioia. Indica che non deve essere mescolata con altre reazioni: tipo rancori, lamentele. Una grande gioia nella prova non è un atteggiamento normale, della nostra natura. Come si può reagire con gioia nelle difficoltà? Con gli eventi difficili? Nella sofferenza? Solo chi ha fede può gioire! La gioia non è per la prova in sé, ma in quello che produce la prova: salute e crescita spirituale! Perciò non ci può essere questa gioia se non c’è una relazione con Dio!  (La gioia è compatibile con la sofferenza (Giov.16:20-22; 2 Cor.7:4; 1 Tess. 1:6;Ebr.10:34), questo è un tema diffuso nel Nuovo  Testamento (Matt.5:10-12; Rom.5:3-5; 1 Pie.1:6-7). Quindi la gioia era una caratteristica della chiesa primitiva (Atti 13:52; Rom.14:17; 15:13; 2 Cor.1:15; 2:3; Gal.5:22; Fil.1:4; Col.1:11; 1 Pie.1:8; 1 Giov.1:4; 2 Giov.12).
Pertanto, dovremmo vedere tutte le cose alla luce della verità Biblica e aggrapparci a Dio come un rampicante che si aggrappa a una casa o a un grosso albero, anche se viene la tempesta rimarrà saldo sapendo che come disse Spurgeon: “ Molti uomini devono la grandezza della loro vita alla durezza delle loro difficoltà che hanno incontrato”. Così quando Dio si muove verso di noi per fare alcuni cambiamenti nel nostro carattere e comportamento, non dobbiamo essere indifferente o lamentosi, sarcastici o tristi perché Dio con la sofferenza ci vuole modellare e far  crescere all’immagine del Figlio Gesù Cristo! 

Domande.
1) Quale relazione c’è tra il fatto che Dio è una realtà diversa da noi con la nostra sofferenza?
2) Dio è assente o presente nella sofferenza dei credenti? Motiva la tua risposta.
3) Quale relazione c’è tra la spiritualità e la sofferenza?


Bibliografia.
Dale e Juanita Ryan, Dio dice: Io sono con te, edizioni G.B.U., Roma, 1995.

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