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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Ebrei 11:13: La risolutezza della fede

 Ebrei 11:13: La risolutezza della fede 
Qualcuno ha detto:
“Un fuggitivo è colui che sta scappando da casa,
Un vagabondo è colui che non ha casa;
Un estraneo è uno lontano da casa,
E un pellegrino sta tornando a casa”. 
La vita di fede cristiana è la vita di uno straniero e pellegrino su questa terra!
Il vero cristiano è un estraneo e un pellegrino sulla terra; la sua fede risoluta è proiettata verso il cielo, la sua patria celeste.
Tozer a riguardo diceva: “Se siamo cristiani genuini, impegnati, intenti a camminare per fede con nostro Signore Gesù Cristo, allora confessiamo continuamente che siamo pellegrini e stranieri! Lo Spirito Santo, che è il vero autore di questa lettera agli Ebrei, usa i termini pellegrini e stranieri per ricordare ai primi cristiani che non erano ancora nella loro dimora definitiva. Il messaggio è ancora lo stesso oggi. I pellegrini cristiani stanno viaggiando per fede da un'antica città maledetta e minacciata di giudizio a una città benedetta e celeste dove dimora l'Emmanuele!”
Prima di tutto questo versetto ci parla di:
I PERSEVERANZA 
“Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse”.
Queste persone sono state perseveranti fino alla morte.
La perseveranza si riferisce alla:
A) Totalità di queste persone
“Tutti costoro”. 
A chi si riferisce l’autore della lettera agli Ebrei? Chi sono “tutti costoro”?
L’autore fino a questo versetto sta facendo un elenco di esempi di fede: Abele, Enoc, Noè, Abraamo, Sara, Isacco e Giacobbe.
Nei vv.13-16, si concentra solo sui patriarchi: Abramo con Sara, Isacco e Giacobbe (Ebrei 11:8-9,11), interrompe la sua rassegna della storia biblica per commentare il significato della speranza della casa celeste dei patriarchi d’Israele, e questo lo fa per incoraggiare i cristiani nei loro periodi difficili.
L'autore loda i patriarchi d’Israele che hanno perseverato nella fede fino alla fine dei loro giorni, senza scoraggiarsi, o allontanarsi dal Signore per non aver ricevuto ciò che era stato promesso.
Nella perseveranza troviamo:
B) La modalità di come sono morte queste persone 
“Sono morti nella fede”.
Tutti abbiamo una cosa in comune: la morte!
Muoiono credenti e non credenti, santi e peccatori, maschi e femmine, ma la differenza sta nel modo come si muore!
Nel greco “sono morti nella fede”, è enfatico: “Nella fede morti” (kata pistin apethanon).
I patriarchi d’Israele morirono “nella fede” (kata pistin -cfr. per esempio Matteo 9:29; Tito 1:4), cioè “morirono secondo la fede”, “in accordo con la fede”, “coerentemente con la fede”.
Oppure il significato è: “Conformemente al principio di fede”, oppure: “Sotto l’influenza della fede”, nel senso che la loro vita era regolata dalla fede, e in questo senso dalla ferma convinzione che Dio avrebbe adempiuto le promesse che aveva fatto loro.
Lo studioso Westcott scrisse riguardo “sono morti nella fede” che erano: “Sotto l'influenza e secondo lo spirito della fede, ispirati, sostenuti, guidati dalla fede. La fede è stata la regola della loro vita, la misura della loro crescita, fino alla fine”.
Così la fede fu la loro caratteristica dominante, il principio, come anche la sfera e lo standard della loro vita fino alla fine dei loro giorni. 
Tutte queste persone hanno creduto in Dio fino al momento in cui sono morte!
Dunque furono perseveranti nella fede fino alla morte! 
Hanno vissuto la loro vita persistentemente nella fede in Dio fino alla morte.  
Queste persone morirono secondo la fede, secondo come anche avevano vissuto.  
Sono morti in una condizione di fede confidando nelle promesse di Dio e nella Sua potenza.
Nella perseveranza c’è:
C) L’indisponibilità
“Senza ricevere le cose promesse”.
L’autore aggiunge senza ricevere le cose promesse, cioè senza entrare in possesso delle cose promesse (ricevere – labontes – aoristo attivo participio).
La ragione per cui potevano avere fede è perché vedevano l'invisibile, erano certi di ciò che non vedevano (Ebrei 11:1).
I patriarchi d’Israele avevano fede e credevano nelle promesse di Dio che non potevano vedere fisicamente, ma le vedevano con l'occhio della fede!
Quindi la fede si basa e riposa in ciò che non è ancora nostro! 
La fede è avere una speranza certa in ciò che non è ancora avvenuto.
Arthur Pink scriveva: “Gran parte della vita di fede consiste nell'afferrare e godere delle cose promesse, prima che ne si ottenga l'effettivo possesso. È meditando ed estraendo la loro dolcezza che l'anima viene nutrita e rafforzata. L'attuale felicità spirituale del cristiano consiste più in promesse e in attesa che in un possesso effettivo, poiché ‘la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono’. È questo che ci permette di dire: ‘Infatti io ritengo le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo ’ (Romani 8:18)”.
La tensione tra la ricezione delle promesse e la loro realizzazione rimase irrisolta nel corso della loro vita, ma la loro fede non vacillò!
Le promesse di Dio erano profondamente incise nel loro cuore, ma non le videro compiersi, e non perché Dio è stato infedele, ma perché si riferiva al futuro della loro discendenza e anche nella patria celeste come dirà dopo l’autore di Ebrei (Ebrei 11:14,16).
La “promessa” (epangelia) è un impegno verbale di una persona nei confronti di un'altra che accetta di fare, o non fare, qualcosa in futuro.
Il plurale “promesse” (epangelias) riguardava il possesso della terra, la fondazione di una grande nazione, quindi di una discendenza senza numero e la benedizione che sarebbe arrivata attraverso i discendenti di Abraamo (cfr. per esempio Genesi 12:1-3,7; 13:14–17; 15:3–6; 17:1–8; 22:16–18; 26:3–5; 28:13–15; 35:11–12), o anche alla ripetizione della promessa in vari momenti, alla ripetizione ad Abramo, Isacco e Giacobbe.
Fu quasi 500 anni dopo la morte di Giacobbe che Israele iniziò a possedere Canaan.
A proposito Simon Kistemaker scrive: “Dio diede ad Abraamo la promessa sulla terra e la ripeté a Isacco e a Giacobbe. Eppure i patriarchi rimasero abitanti nelle tende nella terra dove vivevano come ‘alieni e stranieri’. Essi ricevettero la promessa di innumerevoli figli; eppure, quando morirono, i patriarchi avevano solo figli e nipoti. In breve, ‘non hanno ricevuto le cose promesse’. La loro fede, tuttavia, li sosteneva, perché credevano che Dio avrebbe onorato la sua parola e alla fine avrebbe adempiuto le promesse che aveva fatto”.
Entrare nella terra promessa, viverci in tende e avere figli non erano l'adempimento delle promesse, ma solo segni incoraggianti della fedeltà di Dio (cfr. per esempio Ebrei 6:15).
Quindi Abraamo, Isacco e Giacobbe soggiornavano sulla terra, la loro progenie non era molto numerosa; né ricevettero allora l'eredità terrena; né il mondo era ancora benedetto attraverso loro in Cristo! (cfr. per esempio Giovanni 8:56; Galati 3:15-29).
Quindi c’è l’allusione nel nostro testo alle benedizioni temporali e spirituali che sono state promesse fino a Cristo e noi cristiani con Lui per essere discendenti di Abraamo, com’è anche vero che Abraamo aspettava la città celeste che ha le vere fondamenta e in cui il costruttore è Dio e rimasero stranieri residenti nella "terra promessa" per tutta la vita abitando in tende (Ebrei 11:9,14,16).
Quest’affermazione non è un lamento, è una dichiarazione positiva che queste persone di fede sono morte in perfetta speranza e certezza di realizzazione.
I patriarchi erano convinti secondo la fede, che l'adempimento delle promesse di Dio era nel futuro nel tempo giusto quello prestabilito da Dio. 
Tutto questo ci fa capire che non riceveremo tutto in questa terra!
Ci saranno promesse che non sembra che Dio non abbia mantenuto, o che non sta mantenendo, come per esempio fino a ora il ritorno di Gesù (cfr. per esempio 1 Tessalonicesi 4:16-17), oppure la mancanza di adempimento alle nostre preghiere.
Spurgeon disse: “Essi morirono, benché avessero fede, poiché non ci è data fede che dobbiamo sfuggire alla morte, ma che possiamo morire nella fede. Dio non ascolterà in ogni caso le nostre preghiere per il ripristino della salute. Non è vero che se ci riuniamo e preghiamo per un malato, egli sarà sempre ristabilito”.
Abraamo, Sara, Isacco e Giacobbe, persone di fede morirono senza ricevere tutto ciò che Dio aveva promesso, ma non persero mai di vista le promesse di Dio!
Molti cristiani impazienti diventano frustrati, lamentosi e sconfitti perché i loro desideri, aspettative e richieste non sono soddisfatti da Dio!
Si aspettano risposte immediate. 
Dobbiamo prendere esempio da queste persone di fede che vissero e morirono senza vedere il frutto della loro fede sulla terra e tuttavia continuarono a credere in Dio (cfr. Ebrei 11:35–39).
Questo testo ci parla di:
II PERCEZIONE 
Evidentemente è percezione spirituale!
“Ma le hanno vedute e salutate da lontano”.
Vediamo un’affermazione contrastante con la frase precedente.
L’autore della lettera agli Ebrei continua con il suo ragionamento riguardo le promesse fatte ai patriarchi d’Israele; non hanno ricevuto le promesse, ma per fede le hanno viste e salutate da lontano.
Abraamo e la sua famiglia erano certi della verità e affidabilità delle promesse di Dio. 
In questa percezione spirituale vediamo che:
A) La fede ha una buona visione per azione rivelatrice Divina! 
I patriarchi avevano una percezione delle promesse di Dio, e questo perché gli occhi della loro comprensione erano stati divinamente illuminati (cfr. per esempio Efesini 1:18).
Le promesse di Dio, non le hanno dedotto, e la loro certezza non derivava da speculazioni, o esercizi spirituali, o intellettuali, al contrario, erano basate sulla rivelazione di Dio!
Regolati, o influenzati dalla fede, i patriarchi poterono “vedere" certi eventi non ancora accaduti, realizzati (cfr. Ebrei 1:1,7,26, 27).
 
Lo stesso vale per noi oggi: Dio ci parla attraverso la Sua parola scritta, la Bibbia, e per fede la crediamo che sia vera con l’azione rivelatrice dello Spirito Santo (cfr. per esempio 1 Corinzi 1:9-12; Efesini 1:18)
B) La fede ha una buona visione a lunga distanza 
La fede vede in anticipo realizzato ciò che ancora non lo è!
L'occhio della fede è forte e dotato di una visione a lunga distanza.
Questo significa che prima di morire, Abraamo e Sara, Isacco e Giacobbe, avevano una comprensione, una consapevolezza (cfr. per esempio Matteo 2:16; Marco 2:5) interiore per fede delle promesse e di ciò che significavano (hanno vedute – idontes – aoristo attivo participio).
Queste promesse le hanno accolto, abbracciate gioiosamente e con certezza, questo è il significato della parola greca “salutate” (aspasamenoi – aoristo medio participio), e “da lontano” (porrhōthen) è stato interpretato come da una distanza spaziale, fisica (cfr. per esempio Luca 17:12), ma può avere anche un senso temporale, cioè molto tempo prima che le promesse si avverassero.
Alcuni vedono qui l’immagine di coloro che a bordo di una nave scorgono gli amici a terra e li salutano, o quella di viandante che vede la sua città natale all'orizzonte e la saluta.
Nairne paragona i patriarchi a dei nomadi che camminano attraverso un deserto verso una città di cui scorgono da lontano le torri senza però che possono raggiungerla con la marcia di quel giorno; essi salutano quella visione, ma si accampano ancora una volta lontano da essa.
In terzo luogo:
C) La fede ha una buona visione con grande passione
La fede ha una grande passione per le promesse di Dio. L'incredulità no!
La fede non solo comprende il valore delle cose spirituali, è pienamente persuasa della loro realtà, ma ha anche una grande passione, questo avevano i patriarchi d’Israele, le promesse erano preziose per loro.
John Owen diceva: "Questo abbracciare le promesse è l'adesione del cuore ad esse con amore, diletto e compiacimento".
I patriarchi d’Israele vedevano la realtà delle promesse di Dio e il suo compimento futuro con gli occhi della fede, e il loro cuore ne era coinvolto, erano soddisfatti di queste promesse, le amavano e ne venivano influenzati tanto da desiderare di più le cose celesti e non le cose terrene.
Arthur Pink affermava: “La fede ‘vede’ con l'intelligenza, è ‘persuasa’ nel cuore e ‘abbraccia’ con la volontà”.
Le promesse di Dio, o le realtà spirituali, vanno certamente comprese con l’intelligenza, dobbiamo crederle con il cuore e devono essere abbracciate con la volontà in modo che ne siamo influenzati!
Le promesse di Dio sono davvero preziose per noi? 
Se lo sono, il nostro cuore ne sarà coinvolto con amore, piacere e il nostro comportamento ne sarà influenzato tanto che desidereremo di più la patria celeste che le cose terrene! (cfr. per esempio 2 Corinzi 4:17; Filippesi 1:21; Colossesi 3:1-4; 2 Timoteo 4:7-8).
Un cristiano non è una persona come quelle di questo mondo che affrontano la morte guardando indietro, pensando ai bei vecchi tempi, ai suoi gloriosi successi nostalgici di ritornare indietro! Il cristiano guarda al cielo!
Se hai veramente fede in Dio, sarai desideroso di andare in cielo! Non sarai legato alle cose di questa terra!
Infine in questo testo troviamo:
III LA PROFESSIONE 
“Confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra”.
Abraamo, Sara, Isacco e Giacobbe professavano di essere forestieri e pellegrini sulla terra.
Nel diciannovesimo secolo le persone che passavano davanti alla villa “Rothschild” nel quartiere alla moda di Londra notavano che l’estremità di una delle cornici era incompiuta. 
Qualcuno si poteva chiedere: “Ma come l'uomo più ricco del mondo non può permettersi di completare i lavori di quella cornice”.
La spiegazione è molto semplice, Lord Rothschild era un Ebreo ortodosso, e la casa di ogni pio Ebreo, dice la tradizione, deve avere qualche parte incompiuta, per testimoniare al mondo che il suo occupante come Abraamo è un pellegrino e uno straniero sulla terra.
Prima di tutto vediamo:
A) La professione pubblica
“Confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra” indica che i patriarchi stavano cercando ed erano certi della patria celeste (Ebrei 11:16) e da un ulteriore prova della loro fede.
La fede è interessata a più cose al cielo che a quelle della terra!
Queste persone riconobbero di essere forestieri e pellegrini, e questo non era semplicemente un atteggiamento mentale, ma anche una confessione pubblica!
Riguardo il verbo “confessando”, lo studioso William Lane scrive: “Dovrebbe essere inteso come un termine tecnico che indica una professione pubblica di fede”.
“Confessando” (homologēsantes - aoristo attivo participio) è “riconoscere apertamente” "ammettere apertamente”, “fare apertamente, liberamente ed enfaticamente una dichiarazione” come per esempio Giovanni Battista confessò di non essere il Cristo (cfr. per esempio Giovanni 1:20; vedi anche Romani 10:9-10; Tito 1:16).
Confessavano che nel loro presente (essere – presente attivo indicativo) erano forestieri e stranieri sulla terra, questa era la loro realtà, non avevano dubbi, incertezza a riguardo!
I patriarchi avevano espresso di essere forestieri e pellegrini sulla terra nella loro conversazione con i loro contemporanei (cfr. per esempio Genesi 23:4; 47:9).
La fede rifiuta di tacere, ma condivide la sua testimonianza agli altri!
Quindi, Abraamo e la sua famiglia non si limitarono ad accettare il loro status di stranieri; lo hanno anche confessato pubblicamente!
Come discendente spirituale di Abraamo, stai confessando pubblicamente che sei un forestiero e pellegrino sulla terra?
Quindi vediamo ancora:
B) La professione di essere di passaggio su questa terra
“Forestieri” (xenoi) si riferisce ai residenti stranieri, quindi che viene da un paese straniero, non è nativo del posto (cfr. per esempio Matteo 25:35,38, 43-44; Atti 17:21).
Mentre “pellegrini” (parepidēmoi) indica sempre persone straniere che risiedono per un periodo di tempo in un luogo che non è la loro terra, non è la loro residenza abituale, sono senza fissa dimora.
La parola “pellegrini” suggerisce che il soggiorno è di natura temporanea piuttosto che permanente.
Nel Nuovo Testamento la parola è usata specialmente per i cristiani la cui patria è il cielo (cfr. per esempio Filippesi 3:20) e che sono “stranieri” sulla terra (cfr. per esempio 1 Pietro 2:11).
“Sulla terra” indica sia il pianeta terra, come anche la terra dove i patriarchi vivevano in Canaan.
La menzione “di essere forestieri e pellegrini sulla terra” ricorda il v.9, dove vivevano come stranieri nella terra promessa; per loro non era altro che un paese straniero.
 
La loro cittadinanza era nella città di Dio, la patria celeste (Ebrei 11:16) che era per loro, come per i cristiani, una realtà ancora invisibile (cfr. Ebrei 11:1,9-10).
Coloro la cui cittadinanza è in cielo sono stranieri sulla terra!
Questo vale anche per noi cristiani.
Nell’antichità i cristiani avevano questa testimonianza.
Nella lettera a Diogneto, un testo cristiano in greco antico di autore anonimo, risalente probabilmente alla seconda metà del II secolo, ricorrono queste parole riguardanti i cristiani: "Vivono nella loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutto come cittadini, e da tutto sono distaccati come stranieri: ogni paese straniero è patria per loro, e ogni patria come terra straniera".
Quindi il cristiano vive nella propria nazione di nascita su questa terra, ma è come se fosse straniero, perché la sua patria è quella celeste!
I patriarchi e i suoi discendenti, quindi anche noi oggi in Cristo (Galati 3:15-29), erano pronti e dobbiamo esserlo anche noi, a confessare che in questa terra erano e siamo solo di passaggio, la nostra cittadinanza è in cielo!
Tertulliano diceva del cristiano: "Egli sa che sulla terra ha un pellegrinaggio, ma che la sua dignità è nei cieli". 
Clemente Alessandrino disse: "Non abbiamo patria sulla terra". 
Agostino affermava: "Siamo ospiti esiliati dalla nostra patria".
I cristiani che vivono su questa terra non appartengono davvero a questo posto!
Siamo qui per uno scopo temporaneo, per glorificare Dio, ma la nostra vera casa è in cielo (cfr. per esempio Giovanni 14:1-3).
Eppure dai nostri atteggiamenti sembra che siamo più legati alle cose terrene che aspirare alla patria celeste!
Mentre Richard Phillips ci ricorda: “Essere cristiani significa vivere da straniero e pellegrino; significa non potersi adattare agli altri che sono schiavi del peccato; significa rinnegare se stessi e prendere la propria croce; significa una vita di lotta e di comunione nelle sofferenze di Cristo. La vita cristiana significa pace con Dio, ma guerra con la carne, il mondo e il diavolo. Le principali benedizioni offerte dal cristianesimo non risiedono affatto in questa vita, ma nella vita a venire, nella risurrezione dai morti. Infatti, anche le nostre benedizioni attuali, abbondanti e meravigliose come sono, si trovano in cielo e sono accessibili mediante l'esercizio della fede”.
CONCLUSIONE
Come i patriarchi d’Israele, se siamo veri cristiani, dobbiamo avere una fede perseverante fino alla loro morte che influenza il nostro comportamento nonostante non riceviamo ciò che desideriamo.
La fede è la capacità di fidarsi di Dio anche quando non abbiamo ciò che vogliamo, o quando non siamo in grado di dare un senso a tutto, quando non vediamo ancora quello che Dio ci ha promesso.
John Blanchard: “Camminare per fede significa essere disposti a fidarsi dove non ci è permesso vedere”.
Come i patriarchi d’Israele, se siamo veri cristiani, grazie alla rivelazione divina, dobbiamo avere una fede che ci dona una buona visione a lunga distanza con grande passione.
Come i patriarchi d’Israele, se siamo veri cristiani, dobbiamo avere una fede che ci permetta di confessare pubblicamente che siamo stranieri e pellegrini su questa terra e che la nostra patria è in cielo!
Preghiamo allora che Dio ci dia una tale fede anche se non abbiamo da Lui ciò che desideriamo su questa terra e che la possiamo alimentare ogni giorno attraverso la preghiera e la meditazione della Bibbia (cfr. per esempio Luca 17:5; Luca 9:24; Romani 10:17, Ebrei 11:28-30).





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