Salmo 74:18-20,23: La natura della supplicazione di Asaf (1)
In questi versetti vediamo che il salmista Asaf supplica Dio.Questa sua supplicazione è caratterizzata da un profondo senso di urgenza, da una fiducia incrollabile nelle promesse divine e da una richiesta dell’intervento di Dio in favore del Suo popolo e ripristini la Sua giustizia.
Steven J. Lawson scrive: “Poche prove nella vita sono più strazianti che subire sconfitte mentre si serve Dio. Quando l'opera di Dio incontra battute d'arresto, il suo popolo si tormenta per queste perdite e desidera ardentemente che l'opera del regno di Dio venga ristabilita. E finché il regno di Dio non prospererà di nuovo, l'angoscia riempie i cuori dei suoi servitori. In questi tempi di devastazione, devono invocare Dio per sollievo e restaurazione. Questo è il fulcro del Salmo 74, un canto di lamento che esprime l'agonia del popolo di Dio devastato. I nemici di Israele avevano distrutto il tempio (2 Re 25), ma ancora peggio sembrava che Dio si fosse dimenticato di loro”.
Il salmista in questi versetti presenta una richiesta esplicita a Dio, gli chiede di intervenire e di liberare il Suo popolo.
È un appello urgente e appassionato, basato sulla fiducia nelle promesse divine.
Dopo aver descritto con perplessità il problema della devastazione su Gerusalemme da parte dei nemici Babilonesi, Asaf poi si è concentrato su Dio, ora lo supplica ricordandogli che il nemico ha oltraggiato Lui e il Suo popolo, gli chiede di salvarlo, di agire in suo favore; quindi, lo richiama a essere fedele al patto.
Nella natura della supplicazione viene chiesto a Dio pima di tutto di:
I RICORDARE (vv.18,19,23)
“Ricordati” dice il v.18.
Ancora una volta Asaf, con un tono urgente (ricorda – zĕkār- qal imperativo attivo) supplica Dio di ricordare ciò che il nemico ha fatto.
“Ricordati" suggerisce non solo la consapevolezza mentale, ma anche l'azione che Dio deve intraprendere.
Questo non è un atto di vendetta, ma piuttosto una supplica affinché Dio intervenga per compassione del Suo popolo e ripristini la Sua giustizia.
Il salmista sta ricordando a Dio le offese commesse contro di Lui, sperando di suscitare la Sua compassione e il Suo intervento a favore del Suo popolo.
È un appello emotivo che cerca di muovere Dio all'azione, basandosi sulla convinzione che Egli difenderà il Suo onore e il Suo popolo.
Tre cose vuole il salmista che Dio ricordi, o non dimentichi.
Innanzitutto, Dio deve ricordare:
A) La profanazione dei nemici (v.18)
Nel v.18 leggiamo: “Ricordati che il nemico ha oltraggiato il SIGNORE e che un popolo stolto ha disprezzato il tuo nome”.
Con queste parole, il salmista vuole attirare l'attenzione del Signore.
Osservazioni come quelle di Rabsachè (2 Re 18:33-35) erano, senza dubbio, all'ordine del giorno quando una nazione muoveva guerra a un'altra.
Poco importava se gli idoli pagani venivano rimproverati in questo modo, perché non erano nulla (cfr. per esempio Isaia 41:29; 44:9; Geremia 10:3-5).
Ma quando ci si riferisce a Dio in questo modo, allora è stata pronunciata una bestemmia!
La bestemmia, la violazione del terzo comandamento, è considerata un crimine particolarmente grave nelle Scritture (Esodo 20:7).
Era un crimine capitale, sia per gli stranieri che per il popolo d'Israele (Levitico 24:15-16).
Come in questo contesto (Salmo 74:10, 18), la bestemmia nei riguardi di Dio è il disprezzo (Isaia 52:5-6) e anche maledizione del Suo nome (Apocalisse 16:9,11,21).
Il salmista supplica Dio di tenere a mente la profanazione del nemico che ha devastato e profanato il tempio di Gerusalemme (Salmo 74:2-8), oltraggiando così anche Lui.
Il nemico ha commesso un atto di sfida diretta contro Dio, profanando ciò che è sacro; il salmista così esprime una preoccupazione per l'onore del Signore.
Profanare il nome di Dio è come sputare in faccia al Creatore, un atto di ribellione senza senso!
La parola “oltraggiare” (ḥārap̱) è “deridere”, “trattare con disprezzo”, “insultare”.
Deridere il Signore è come ridere sull'orlo di un abisso che può franare da un momento all’altro! (cfr. per esempio Numeri 11:1; Giosuè 7:1; Romani 1:18-32; Ebrei 10:31).
Quando si oltraggia il nome di Dio, non solo si attacca Dio stesso, ma la stessa fonte della vita (cfr. per esempio 1 Samuele 2:6-8; Salmo 36:9) e della speranza (Isaia 30:18; 40:30-31; Romani 15:13).
È un atto di sfida che rivela l'abisso della follia umana!
Il nemico ha insultato il Signore (Yahweh) che è il nome del Dio che Israele adora e che lo distingue da altre divinità.
Questo nemico ha disprezzato (niʾăṣû) il nome di Dio, cioè, lo ha denigrato, gli ha mancato di rispetto, ha guardato dall’alto in basso Dio! Questo è il culmine!
Disprezzarlo significa negare la Sua esistenza, il Suo carattere, o la Sua rilevanza nella vita delle persone, come anche la Sua reputazione e il Suo onore (cfr. per esempio 1 Cronache 12:31).
Il “nome” (šēm) di Dio rappresenta la Sua identità, il Suo carattere, i Suoi attributi, tutte le Sue qualità (per esempio Salmo 20:1; Isaia 30:27; cfr.1 Samuele 25:3,25; Matteo 1:21) come si è rivelato all’umanità, dunque l’auto-rivelazione di Dio.
Il nome di Dio è un tesoro inestimabile, un faro che guida l'umanità nelle tenebre; disprezzarlo è come spegnere questo faro, condannandosi all'oscurità e alla disperazione.
Ed è per questo che questo nemico, o coloro che seguono il suo cattivo esempio, è stolto!
“Stolto” (nāḇāl) indica privo di saggezza, privo di buon senso, o privo di sano giudizio, specialmente associato all'insolenza, o all'empietà.
I nemici di Dio sono stolti perché la loro malvagità deriva da un arrogante rifiuto di Dio; si comportano come se Dio non fosse coinvolto nel mondo (cfr. per esempio Salmo 14:1; 53:1).
Lo stolto è un arrogante, ed è moralmente, intellettualmente e spiritualmente ottuso, implica un'insolenza morale volontaria, impudenza e disobbedienza alla legge di Dio (cfr. per esempio Deuteronomio 32:6,21; Ezechiele 13:3).
“Stolto” sottolinea la cecità spirituale e l’incapacità di riconoscere la grandezza, la maestà e la santità di Dio condannandosi all'autodistruzione.
Pertanto, chiunque profana il nome di Dio è stolto anche oggi.
Sebbene il Salmo 74 sia stato scritto in un contesto storico specifico, il suo messaggio è profondamente attuale.
In ogni epoca, ci sono stati e ci saranno coloro che sfidano Dio e profanano il Suo nome.
Il salmista ci invita a riflettere sulla gravità di questo peccato e a difendere l'onore di Dio con la nostra vita.
Le nostre preghiere e le nostre vite dovrebbero ruotare attorno a una fervente passione per la gloria del nome di Dio.
Certamente, i nostri bisogni e i bisogni degli altri dovrebbero spingerci a pregare. Ma come Gesù ci ha insegnato nella preghiera del “Padre nostro”, dovremmo pregare prima affinché il nome di Dio sia santificato (Matteo 6:9) e poi per i nostri bisogni (Matteo 6:11-13).
Dunque, dovremmo avere una visione Dio-centrica della vita, vedere tutto ciò che accade nelle nostre vite, nelle nostre chiese, nelle nostre città, nelle nostre nazioni e nel mondo alla luce della gloria di Dio.
Soprattutto, dovremmo pregare affinché Dio agisca secondo ciò che glorificherà e onorerà di più il Suo santo nome (cfr. per esempio 2 Re 19:19).
Dio ci tiene alla Sua gloria! (cfr. per esempio Isaia 48:11).
Secondo, Asaf evidenzia:
B) La prepotenza dei nemici (v.19)
Nel v. 19 è scritto: “Non abbandonare alle belve la vita della tua tortora, non dimenticare per sempre il gregge dei tuoi poveri afflitti!”
Dalla preoccupazione per l’onore del Signore si passa alla supplicazione dei bisogni del popolo.
Il salmista cerca di toccare le emozioni del Signore per farlo agire in favore del popolo.
Nell'urgenza della supplica a Dio si rivela la profondità della nostra dipendenza da Lui!
Qualcuno ha detto: "Quando siamo più deboli, la nostra preghiera dovrebbe essere più forte. Quando il nemico è più feroce, il nostro grido a Dio dovrebbe essere più intenso".
Ed è quello che fa Asaf in questo versetto.
Il salmista supplica Dio con un tono forte e urgente (abbandonare – tittēn – qal imperfetto iussivo attivo), di non abbandonarli alla sorte avversa, di non lasciarli cadere nelle mani dei loro nemici.
“Abbandonare” (tittēn) significa “dare”, “consegnare”, “cedere a qualcuno”, “trasferire” il possesso di qualcosa di concreto a qualcuno, sotto il suo controllo (cfr. per esempio Genesi 3:6; Esodo 5:18; 1 Samuele 1:4-5).
In questo contesto implica non solo lasciare qualcosa, o qualcuno, ma anche esporre a un pericolo, a una situazione di vulnerabilità.
Asaf utilizza immagini molto vivide per descrivere la sofferenza del popolo d’Israele; vengono paragonati a una tortora (tôrekā), un uccello piccolo e indifeso in pericolo di vita.
La tortora era considerata cerimonialmente pura per i sacrifici in Israele specialmente per i poveri (cfr. per esempio Levitico 1:14; 5:7, 11; 12:6, 8; 14:22, 30; 15:14, 29).
Inoltre, Asaf paragona Israele a un gregge di pecore inermi minacciate dalle belve.
“Belve” (belva -ḥayyāh) si riferisce a un animale selvatico, e raffigura un nemico potente.
Le belve simboleggiano le forze del male e del pericolo, una minaccia, qualcosa che può causare danno, o distruzione, rappresentano i nemici di Israele.
Il senso è: "Non permettere che le nazioni malvagie distruggano il Tuo popolo Israele".
Come qui in questo contesto, a volte il Signore usava le immagini delle bestie selvatiche come strumenti dei Suoi giudizi (cfr. per esempio Ezechiele 14:15; 33:27), ma in altre occasioni è scritto che Dio protegge il Suo popolo dalle bestie feroci (cfr. per esempio Levitico 26:6).
Così abbandonare la tortora alla bestia significherebbe abbandonare l’indifeso e vulnerabile (poveri afflitti - ʿānî) Israele ai potenti e spietati nemici malvagi, i Babilonesi.
Dio è esortato a non dimenticare (tiškaḥ - qal imperfetto iussivo attivo) per sempre questa condizione!
“Dimenticare” è un atto deliberato di disinteresse (cfr. per esempio Salmo 45:10).
Si riferisce a una scelta volontaria di ignorare qualcosa che una persona sa di dover fare.
Come il popolo di Israele, anche noi siamo vulnerabili e dipendenti da Dio.
In momenti di difficoltà, dobbiamo ricordare che la nostra forza viene da Lui (cfr. per esempio Filippesi 4:13)
Quando siamo oppressi dalle circostanze, dobbiamo portare le nostre preoccupazioni a Dio in preghiera (cfr. per esempio Filippesi 4:6-7), con la stessa urgenza e intensità di Asaf.
Come Asaf, anche quando le cose sembrano buie, possiamo confidare che Dio manterrà le Sue promesse e ci aiuterà (cfr. per esempio Isaia 41:10; 50:10).
Il nemico, il diavolo, è sempre in agguato, cercando di distruggere la nostra fede e la nostra comunione con Dio.
Dobbiamo essere sobri, vigilanti e resistere alle sue tentazioni (cfr. per esempio 1 Pietro 5:8-9).
Come Asaf si preoccupava per il suo popolo, anche noi dovremmo essere sensibili alle sofferenze degli altri e intercedere per loro (cfr. per esempio Giacomo 5:13).
Terzo, Asaf sottolinea:
C) La proclamazione dei nemici di Dio (v.23)
Nel v.23 leggiamo: “Non dimenticare il grido dei tuoi nemici, lo strepito incessante di quelli che si innalzano contro di te”.
Come nel v.19, Asaf invoca Dio ancora a non dimenticare le ingiustizie subite.
"Grido" (qôl) si riferisce al grido di guerra (1 Samuele 4:6; Geremia 50:22; Ezechiele 21:27), al fragore di battaglia (Esodo 32:17-18), fatte di voci e grida come anche di rumori, suoni e toni di carri da guerra o strumenti di fabbricazione umana (cfr. per esempio Ezechiele 26:10; Gioele 2:5).
La preghiera qui è che Dio consideri quel grido che sale in cielo, ma non nel senso che esaudisca il desiderio dei nemici, ma nel senso che li ricompensa come meritavano.
È in questo senso che i clamori dei malvagi salgono al cielo, in questo senso che Dio li considererà come se fossero una preghiera per una giusta punizione.
È un’immagine potente che evoca il rumore assordante delle loro voci, delle loro azioni violente e del loro costante attacco contro il Signore.
Il Signore non deve dimenticare lo “strepito” (šĕʾôn), cioè quel rumore intenso di disordine, di confusione e di agitazione minacciosa dei nemici incessante (tāmîd) contro Dio!
“Il riferimento è al movimento di un esercito che preme per la conquista, incoraggiandosi ed eccitandosi a vicenda, cercando di intimidire i propri nemici con il forte clamore del grido di guerra” diceva Albert Barnes.
Asaf sottolinea la persistenza e l'arroganza dei nemici contro Dio, si stavano opponendo, ribellando a Dio, gli erano ostili, nemici (cfr. per esempio Giudici 9:18; Michea 2:8; 7:6)
Il salmista, pur nel dolore, non si lascia sopraffare dalla disperazione e non perde la fede in Dio; egli confida che Dio ascolterà il grido del Suo popolo e interverrà per ristabilire la giustizia.
Così questo versetto ci insegna che, quando affrontiamo le sofferenze, le prove e le difficoltà, possiamo trovare conforto nel sapere che Dio è consapevole del nostro dolore e che ascolta le nostre suppliche.
Inoltre, la lotta contro il male va combattuta principalmente con la preghiera; la preghiera è un'arma fondamentale in questa battaglia.
Nelle tenebre più profonde, quando il clamore dei nemici sembra assordante, è il momento più che mai di gridare a Dio in preghiera!
La preghiera è l'arma più potente contro il male, un'ancóra di salvezza nelle tempeste della vita!
Infine, anche se il male sembra prevalere, dobbiamo sempre mantenere viva la speranza nella vittoria finale di Dio.
Anche di fronte all'oscurità più fitta, la speranza nella vittoria di Dio illumina il nostro cammino!
A Dio appartiene sempre l’ultima parola! A Dio appartiene la vittoria! (cfr. per esempio 2 Re 5:1; Salmo 20:7-8; 33:10; Proverbi 21:31).
Nella natura della supplicazione vediamo che viene chiesto a Dio di:
II RISPETTARE (v.20)
Rispettare che cosa? Dio è chiamato a rispettare il patto.
Nel v.20 è scritto: “Abbi riguardo al patto, poiché i luoghi tenebrosi della terra sono pieni di covi di violenza.”
Il salmista sta parlando del patto di Dio con Israele.
Questo versetto ci parla di:
A) Invocazione intensa
Il salmista fa appello a Dio affinché sia fedele al patto, questo è il significato di “abbi riguardo”.
“Abbi riguardo” (habbēṭ), è un'invocazione urgente e intensa, una supplica affinché Dio ricordi il patto e agisca in conformità ad esso.
“Abbi riguardo” significa “guardare, o prestare molta attenzione” (cfr. per esempio Genesi 15:5) “considerare”, “prendere nota”, “osservare con cura” il patto, oppure avere riguardo, nel senso di pensare a un oggetto, il che implica una risposta appropriata e attenta (cfr. per esempio Salmo 10:14).
Quindi “pensando a quello che dice il patto, agisci!”
Il “patto” (bĕrît) si riferisce all'alleanza che Dio aveva stretto con il Suo popolo (cfr. per esempio Esodo 19-40; Levitico 26-27; Deuteronomio 4:13; 5:2; 27-29), un impegno reciproco di amore e fedeltà (cfr. per esempio Deuteronomio 7:9).
L'idea qui è: “Dio tu hai assunto degli impegni verso il Tuo popolo che non devi dimenticare”.
Il patto tra Dio e Israele è una pietra angolare del loro rapporto e i suoi echi risuonano attraverso i secoli.
Il salmista si riferisce al patto fatto sul Sinai, quando il popolo accettò le condizioni (cfr. per esempio Esodo 19:5-6; 20:1-17; 24:3; 34:28).
Il patto tra Dio e Israele non è un accordo statico, ma una relazione viva e dinamica.
L’obbedienza ai comandamenti della legge sarebbe stata ricompensata dalla costante cura di Dio per Israele, dalla prosperità temporale, dalla vittoria sui nemici e dall'effusione del Suo Spirito (cfr. per esempio Esodo 23:20–33; Levitico 26:1-12; Deuteronomio 28:7), mentre la loro disobbedienza avrebbe portato maledizioni, tra queste la sconfitta dai nemici (Levitico 26:17; Deuteronomio 28:25; cfr. per esempio Deuteronomio 29:15-27).
Nel corso della storia, il popolo ha spesso trasgredito il patto, ma Dio ha sempre mostrato misericordia e rinnovato la Sua alleanza in diversi periodi della storia Ebraica (cfr. per esempio Giosuè 24; 2 Cronache 15, 23, 29, 34; Esdra 10; Neemia 9–10).
Questo patto, spesso evocato nei Salmi (cfr. per esempio Salmo 25:10,14; 44:17; 50:5; 78:10,37; 103:17-18; 105:8; 111:5; 132:12), è fondamentale della relazione tra Dio e Israele.
Certamente nella storia d’Israele il Signore è stato misericordioso, infatti ogni qual volta il popolo peccava e poi si ravvedeva, Dio perdonava, vedi per esempio la storia nel libro dei Giudici (cfr. per esempio Giudici 3:7-11; 4:1-3; 6:1-6).
Le parole del salmista riflettono l'esperienza umana sia del peccato che del desiderio di redenzione.
Ci ricordano il nostro bisogno di un Dio che è sia giusto che misericordioso.
Neemia comprese il punto: nella grande misericordia di Dio non pose fine al popolo d’Israele e non li abbandonò perché il Signore è un Dio clemente e misericordioso (Neemia 9:31)
Asaf credeva che il Signore avrebbe adempiuto tutte le Sue promesse del patto come aveva fatto in passato (cfr. per esempio Esodo 2:24; 6:6–8).
La fede non è semplicemente credere; è una relazione dinamica con un Dio che mantiene le Sue promesse (cfr. per esempio Numeri 23:19; 2 Corinzi 1:20).
Il salmista, in sostanza, sta dicendo: "Signore, non dimenticare le promesse che ci hai fatto. Ricorda il patto che ci lega e intervieni".
Quindi, questa richiesta a Dio di adempiere le promesse del patto riflette il loro atteggiamento di pentimento per i peccati, altrimenti la richiesta sarebbe presuntuosa e inappropriata.
Comunque, il Signore stava facendo ciò che diceva il patto e riguardava la maledizione di essere sconfitto dai nemici.
Tutto questo ci fa capire come Dio è severo e nello stesso tempo buono (cfr. per esempio Romani 11:22).
La bontà e la severità di Dio non sono in contraddizione, ma due facce della stessa medaglia.
La bontà di Dio è un dono prezioso, non un diritto acquisito.
Essa richiede una risposta di fedeltà costante, poiché la stessa mano che eleva può anche recidere!
Questo punto allora ci offre sia un motivo di grande gioia, conforto e speranza, pensando che Dio è fedele al patto, come anche buono e misericordioso, come anche di avvertimento.
Questo punto è anche un costante invito a considerare la severità di Dio contro il peccato, quindi a crescere nella santità, e se abbiamo commesso dei peccati, o se ci siamo allontanati da Dio, dobbiamo urgentemente ritornare a Lui pentendoci dai nostri peccati, certi che Dio ci accoglierà a braccia aperte, facendo addirittura una festa di accoglienza come quel padre con il figlio che si era allontanato da lui, nella parabola del figliol prodigo (Luca 15:11-24; cfr. per esempio Isaia 55:6-7; Atti 3:19).
Consideriamo ora:
B) La motivazione esortativa urgente
Sempre nel v.20 è scritto: “Poiché i luoghi tenebrosi della terra sono pieni di covi di violenza”.
Invece di essere piena della gloria del Signore (cfr. per esempio Numeri 14:21; Abacuc 2:14), la terra era piena di luoghi tenebrosi, pieni di covi di violenza.
Questa frase descrive una situazione di grande disordine e malvagità.
L'allusione qui è alla terra da cui proveniva l’esercito che avevano invaso la Giudea, e che portava la desolazione.
"I luoghi tenebrosi della terra sono pieni di covi di violenza" rappresentano i posti dove regnano le tenebre spirituali, o morali, dove si nascondono coloro che compiono atti violenti e ingiusti, o dove regnano l'ingiustizia e la malvagità, dove la violenza e l'oppressione proliferano indisturbate, come luoghi di predatori criminali, di persone violente e senza legge.
“I luoghi tenebrosi” (maḥšakkê) è un luogo oscuro, poeticamente, è usato per disegnare un'immagine dell'oscurità e dell'inevitabilità della tomba, luogo di morte (Salmo 88:6; 143:3; Isaia 29:15; 42:16; Lamentazione 3:6).
Qui può essere anche considerato come un nascondiglio, un covo, cioè, un luogo segreto per ladri e bande violente.
La terra è caratterizzata da una profonda oscurità perché è stata conquistata dalla violenza.
“I luoghi tenebrosi” suggeriscono angoscia, terrore, cordoglio, perplessità e confusione (cfr. per esempio Salmo 18:28; 35:6; 107:10, 14).
Il loro numero era così grande, e il loro carattere era così feroce e bellicoso, che il popolo d’Israele poteva trovare salvezza e sicurezza solo in Dio; e, pertanto, Asaf lo supplica affinché intervenisse in loro favore.
La parola Ebraica tradotta con “covi” (nĕʾôt) è interessante perché può avere diversi significati.
1) Come terreno da pascolo, cioè uno spazio aperto di terra adatto al pascolo di bestiame (cfr. per esempio 2 Samuele 7:8; 1 Cronache 17:7 Isaia 65:10; Geremia 23:3; 49:19-20; 50:19, 44-45; Ezechiele 25:5; 34:14; Osea 9:13).
2) Come dimora, abitazione, cioè una costruzione di vario tipo (cfr. per esempio Esodo 15:13; Proverbi 24:15).
3) Come patria, il paese, o l'area nativa di una persona (cfr. per esempio Salmo 79:7).
4) Come città, un centro abitato (cfr. per esempio Isaia 27:10).
5) Come rifugio, tana, cioè un luogo in cui vive un animale (cfr. per esempio Isaia 34:13; 35:7).
6) Come dimora, residenza, casa, cioè il luogo in cui vive un essere umano, con un'attenzione allo spazio come luogo (cfr. per esempio Isaia 32:18; 33:20; Osea 9:13).
Certo che, se si riferisse al pascolo, l'espressione "pascoli di violenza" sarebbe davvero sorprendente perché offrirebbe un contrasto con i "pascoli verdeggianti" dove Dio fa riposare (Salmo 23:2), con i "pascoli di pace" (Geremia 25:37).
Comunque sia, i luoghi tenebrosi della terra sono pieni di covi, di pascoli, o di dimore di violenza, nel senso che sono dominati dalla violenza.
Anche Ezechiele (Ezechiele 7:23; 8:17) e Michea (Michea 6:12) ne parlavano.
Riferendosi alla terra invasa d’Israele, o alla città di Gerusalemme, il senso potrebbe essere che i "covi di violenza riempiono la terra così tanto che è diventata una terra di luoghi oscuri".
Questo versetto:
Ci ricorda che possiamo essere audaci nelle nostre preghiere, esortando rispettosamente Dio ad agire.
Sottolinea l'importanza di basare le nostre richieste sulle promesse di Dio (il patto).
Ci incoraggia a essere specifici nel descrivere le situazioni per le quali chiediamo l'intervento di Dio.
CONCLUSIONE
Questo salmo ci insegna diverse lezioni importanti.
1) Dobbiamo continuare a supplicare Dio anche quando non percepiamo la Sua presenza in una situazione disperata
I salmi sono pieni di lamenti a Dio che vanno dalla malattia personale e dal conflitto alle crisi nazionali.
Questo salmo riguarda la catastrofe più grave che la nazione ha dovuto sopportare, l'invasione della terra e la distruzione del tempio.
Ma ciò che ha reso la situazione peggiore è che la popolazione, quindi anche Asaf, avevano l’impressione che Dio li avesse proprio abbandonati!
Questo salmo è un grido di Asaf di fede quando sembra che tutto sia perduto e la speranza stia svanendo.
È una supplicazione di fede affinché Dio possa intervenire a cambiare la brutta circostanza.
2) Dobbiamo supplicare Dio ricordandogli i nostri problemi tenendo presente il Suo onore
Il salmista ricorda al Signore che il Suo nome è stato disprezzato; quindi, ci teneva alla Sua gloria.
Così, sia nella nostra vita di tutti i giorni, come anche nelle preghiere, tutto deve mirare alla gloria di Dio!
3) Dobbiamo supplicare Dio ricordandogli le Sue promesse
Senza profeti (Salmo 74:9), le persone erano disperate; potevano solo riversare il loro dolore a Dio, ricordando le Sue gesta potenti (Salmo 74:13-17) e supplicarlo di liberarli e rinnovare le promesse del patto, chiedendogli di perdonare.
4) Dobbiamo supplicare Dio ricordando che non ci accoglie per i nostri meriti
Oggi, la nostra speranza nella preghiera non è ancorata al nostro valore o merito, ma alla grazia salvifica di Dio in Cristo.
Ci avviciniamo con fiducia a un trono di grazia grazie all'opera del nostro mediatore, Gesù Cristo (cfr. per esempio Giovanni 14:6; 1 Timoteo 2:5; Ebrei 4:16; 7:22-25; 8:6).
In Cristo abbiamo pieno accesso a Dio; siamo invitati ad avvicinarci e a trovare la grazia e l'aiuto di cui abbiamo così profondamente bisogno.
Anche quando la nostra condizione disperata è dovuta al nostro peccato e fallimento, Dio si diletta a correre in soccorso di un popolo umile che si pente.
La pazienza di Dio è grande! E il braccio della Sua misericordia è lungo!
Non c'è profondità di peccato in cui possiamo trovarci dove Dio non possa raggiungerci e ristabilirci.