Luca 4:23-24: La provocazione sconcertante Durante la Seconda Guerra Mondiale, un prezioso dipinto di Rembrandt fu nascosto in una semplice fattoria olandese. Anni dopo, quando un esperto d’arte lo identificò, i contadini che avevano vissuto accanto ad esso per anni rimasero scioccati. “Ma era solo un vecchio quadro nella stanza degli ospiti”, dissero. Avevano guardato un capolavoro ogni giorno senza riconoscerne il valore. Questa storia ci introduce perfettamente all’incontro di Gesù nella sinagoga di Nazaret. I suoi concittadini avevano il Figlio di Dio in mezzo a loro, eppure vedevano solo “il figlio di Giuseppe”. La familiarità aveva offuscato la loro visione, impedendo loro di riconoscere il Messia che camminava tra loro. Nel brano di oggi, Luca 4:23-24, assistiamo a uno dei momenti più intensi del ministero terreno di Gesù. Dopo aver letto dalla Scrittura e aver dichiarato che quelle parole profetiche si stavano adempiendo in Lui, Gesù lancia una prov...
Luca 4:23-24: La provocazione sconcertante
Durante la Seconda Guerra Mondiale, un prezioso dipinto di Rembrandt fu nascosto in una semplice fattoria olandese. Anni dopo, quando un esperto d’arte lo identificò, i contadini che avevano vissuto accanto ad esso per anni rimasero scioccati. “Ma era solo un vecchio quadro nella stanza degli ospiti”, dissero. Avevano guardato un capolavoro ogni giorno senza riconoscerne il valore.
Questa storia ci introduce perfettamente all’incontro di Gesù nella sinagoga di Nazaret.
I suoi concittadini avevano il Figlio di Dio in mezzo a loro, eppure vedevano solo “il figlio di Giuseppe”.
La familiarità aveva offuscato la loro visione, impedendo loro di riconoscere il Messia che camminava tra loro.
Nel brano di oggi, Luca 4:23-24, assistiamo a uno dei momenti più intensi del ministero terreno di Gesù. Dopo aver letto dalla Scrittura e aver dichiarato che quelle parole profetiche si stavano adempiendo in Lui, Gesù lancia una provocazione che coglie tutti di sorpresa: "Certo, voi mi citerete questo proverbio: 'Medico, cura te stesso; fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!'"
Questa non era una semplice intuizione, ma una lettura profonda dei cuori umani che lo circondavano; la reazione che seguì confermò quanto Gesù avesse colto nel segno.
Oggi esploreremo questa provocazione nei suoi tre aspetti fondamentali: il suo scopo, la sua specificità e la sua solidità.
Attraverso questo messaggio, scopriremo non solo la saggezza di Gesù nel trattare con i cuori induriti, ma anche quanto facilmente noi stessi possiamo cadere nella trappola di voler plasmare Dio secondo le nostre aspettative, piuttosto che lasciarci trasformare dalla Sua verità.
Preghiamo che lo Spirito Santo apra i nostri cuori mentre ci immergiamo in questo passaggio che ci sfida a vedere Gesù non come vorremmo che fosse, ma come veramente è.
Partiamo con:
I LO SCOPO DELLA PROVOCAZIONE DI GESÙ (v.23)
v.23: “Certo, voi mi citerete questo proverbio: ‘Medico, cura te stesso; fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!’”
L’intero v.23 esprime ciò che l’uditorio di Gesù stava pensando realmente, ma che non osavano dire apertamente.
Queste persone non cercavano veramente di accogliere la Sua persona e il Suo messaggio, ma piuttosto volevano vedere dei segni spettacolari.
Dopo aver letto le Scritture, Gesù anticipa e smaschera l’incredulità dei Suoi concittadini con una provocazione.
Non lo fa per accendere un conflitto, ma come strumento pedagogico, come strumento di rivelazione spirituale.
Gesù aveva un approccio distintivo nel trattare con le persone religiose e presuntuose. Non temeva di confrontarsi direttamente con i loro errori e di mettere il dito sulla piaga delle loro mancanze spirituali. Il Suo messaggio era sempre chiaro e diretto, senza compromessi o giri di parole per rendere più accettabile la verità. Non cercava di addolcire il peccato o di coltivare un falso ottimismo, ma per amore verso di loro era disposto a sconvolgerli con la verità, anche quando questo poteva risultare scioccante.
E Agostino aggiunge profondità a questa osservazione quando dice: “Amano la verità quando li illumina, ma odiano la verità quando li accusa”.
La provocazione serviva a quattro scopi:
A) Svelare atteggiamenti nascosti
Gesù porta alla luce i pensieri inespressi dei Suoi concittadini, mostrando come fossero più interessati ai miracoli che alla Sua persona e al Suo messaggio spirituale.
La provocazione non era uno scontro sterile, ma “un bisturi” che incide il velo dell’apparenza per rivelare la verità nascosta nel cuore umano, trasformando la resistenza in opportunità di cammino verso la comprensione autentica.
B) Sfidare le aspettative limitate
I Suoi concittadini lo vedevano solo come “il figlio del falegname” (v.22) e non riuscivano a vedere oltre questa familiarità.
La provocazione cercava di scuotere questa visione ristretta.
C) Insegnare una verità spirituale più ampia
Attraverso questa provocazione, Gesù introduce l’idea che la Sua missione andava oltre i confini di Nazaret e d’Israele, anticipando l’universalità del Suo messaggio, come farà dopo citando gli esempi di Elia ed Eliseo (vv.25-26).
In questo senso, Gesù stava sfidando le loro convinzioni limitate per aprire i loro occhi a una comprensione più profonda della Sua missione.
D) Stimolare una riflessione più profonda
Invece di assecondare la richiesta di miracoli come spettacolo, Gesù vuole che le persone riflettano sulla vera natura della fede, che non deve dipendere da segni straordinari.
Consideriamo ora:
II LA SPECIFICITÀ DELLA PROVOCAZIONE (v.23)
Nel v.23 leggiamo: “Ed egli disse loro: ‘Certo, voi mi citerete questo proverbio: ‘Medico, cura te stesso”.
Nella specificità della provocazione c’è:
A) La predizione del proverbio
“Medico, cura te stesso”, è una citazione proverbiale.
“Certo” (pantōs - avverbio) è un’affermazione forte (cfr. per esempio Atti 28:4, 1 Corinzi 9:10), indica “sicuramente”, “senza dubbio”.
Questo proverbio attraversa i secoli per interrogarci: siamo disposti ad accettare Dio alle Sue condizioni, o pretendiamo che si manifesti secondo le nostre aspettative e priorità?
Gesù è sicuro che il proverbio che citerà esprime i sentimenti della gente verso di Lui.
“Tu dirai” (dirai a me - ereite moi) indica ciò che Gesù aveva visto nella loro mente (cfr. per esempio Romani 9:19; 11:19; 1 Corinzi 15:35); sapeva ciò che quelle persone nella sinagoga di Nazaret pensavano veramente: stava leggendo la loro mente collettiva!
Ha fatto “una risonanza magnetica” della loro mente e ha visto i loro sentimenti nascosti e cosa gli avrebbero infine detto, ha visto ciò che era invisibile agli altri, ciò che era nascosto nel loro intimo e che nessuno sapeva.
Allo stesso modo, Egli conosce anche tutti noi oggi; una realtà che dovrebbe farci riflettere e purificarci.
Gesù cita questo proverbio per quattro ragioni principali:
(1) Per anticipare lo scetticismo locale
Gesù prevedeva che i Suoi concittadini avrebbero usato questo modo di dire per sfidarlo, suggerendo che, se davvero aveva capacità miracolose, doveva prima usarli per Sé Stesso, o per la Sua gente.
Questo ci porta alla seconda ragione:
(2) Per rivelare un’aspettativa egocentrica e gelosa
Il proverbio, nel contesto, mostra come i Nazareni si aspettassero un trattamento privilegiato: “Fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!” (v.23).
La folla della sinagoga, ritenevano di avere un diritto speciale ai miracoli di Gesù per il semplice fatto di essere di Nazaret.
Non è da escludere che sia presente un elemento di gelosia regionale.
La terza ragione è:
(3) Per sottolineare un paradosso della fede
Il proverbio evidenzia come le persone tendano a richiedere prove tangibili prima di credere, mentre la vera fede non dovrebbe basarsi sui segni, anche se hanno avuto un’importanza notevole, ma sulla fiducia nella parola di Dio.
Infine, la quarta ragione:
(4) Per preparare il discorso successivo
Citando questo proverbio, Gesù sta preparando il terreno per il messaggio più ampio che seguirà, in cui spiegherà che la Sua missione trascende i legami familiari e territoriali.
In che cosa consiste “medico, cura te stesso?” Vediamo:
B) Il punto del proverbio
Il proverbio: “Medico, cura te stesso” (v.23) rappresenta un principio sapienziale diffuso nel mondo antico, riscontrabile nella letteratura greca e in diverse culture.
Philip Graham Ryken commenta così: “A quei tempi la medicina era una scienza piuttosto approssimativa, se mai poteva essere chiamata scienza. Le persone guardavano ai medici con una buona dose di scetticismo. Quando i professionisti medici proponevano un rimedio, i loro pazienti chiedevano una sorta di rassicurazione che avrebbe effettivamente funzionato. Se questo sembrava dubbio (come spesso accadeva), dicevano: ‘Medico, guarisci te stesso’. In altre parole, ‘Prima di toccare il mio corpo, o farmi bere qualcosa di cattivo, fammi vedere che lo provi prima tu!’”
La frase che segue il proverbio ne chiarisce immediatamente l’intento: “Fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!”(v.23).
Abbiamo tre interpretazioni principali del proverbio.
Cominciamo con la prima interpretazione che chiamerò:
(1) L’interpretazione della priorità
Il proverbio suggerisce che un benefattore sensato dovrebbe iniziare dalle sue immediate vicinanze.
Poiché Gesù è originario di Nazaret, gli abitanti si aspettano che Egli compia prima i miracoli a cominciare da Sé Stesso, o nella Sua città natale.
Un uomo che afferma di essere in grado di guarire le persone, quindi di essere il Messia, dovrebbe essere in grado di dimostrare la Sua affermazione guarendo Sé Stesso, che può essere inteso sia per la Sua persona come anche dei Suoi concittadini.
Un uomo comune - il figlio di Giuseppe - che dice di essere il profeta della salvezza messianica secondo il messaggio predicato Gesù dal libro di Isaia sul Messia applicandolo a Sé Stesso (Isaia 61:1-2; Luca 4:16-22) facendo capire che fosse arrivata (cfr. per esempio Luca 7:21-22), non può vantarsi in questo modo fino a quando non dimostra la Sua pretesa facendo nella Sua città natale i miracoli che ha fatto a Capernaum.
Secondo questa lettura, gli abitanti stanno dicendo: “Prima di beneficiare gli stranieri a Capernaum, perché non fai del bene a Te Stesso e la Tua gente? Ti crederemo e ti seguiremo se farai le cose a modo nostro".
Spurgeon diceva: “Senza dubbio hanno sostenuto: ‘È un uomo di Nazaret, e naturalmente ha il dovere di aiutare Nazaret’. Si consideravano in qualche modo i suoi padroni, che potevano comandare i suoi poteri a loro discrezione.”
Gesù aveva capito che è facile dubitare della potenza e dell’opera di Dio tra coloro che ci sono più familiari.
Era più facile per quelli di Nazaret dubitare o rifiutare Gesù perché sembrava loro così normale e familiare.
Come dicevo in un’altra predicazione: “La familiarità genera disprezzo”.
Più pensi di conoscere una persona, più è difficile accettare quella persona come fuori dall’ordinario.
La familiarità con il divino può diventare il più grande ostacolo alla rivelazione; proprio come i Nazareni che videro solo “il figlio di Giuseppe” al posto del Messia, anche noi rischiamo di perdere il sacro nascosto nell’ordinario, nel familiare.
Thabiti Anyabwile dice:”La familiarità genera disprezzo. Per loro sarà sempre ‘il figlio di Giuseppe’. Vedete, carissimi, è disonorare Gesù chiamarlo qualcosa di inferiore di quello che è realmente. I musulmani dicono di onorare Gesù come un grande profeta, ma lo disonorano negando che sia il Figlio di Dio. Gli indù dicono di onorare Gesù adorandolo come uno delle migliaia di dèi, ma lo disonorano non vedendo che è l'unico vero Dio e che tutti gli altri sono idoli. Alcune persone pensano di onorare Gesù dicendo: ‘Egli è un buon insegnante di morale’, ma lo disonorano rifiutando di vedere che è il Salvatore del mondo”.
Per onorare Gesù, devi riceverlo così com’è realmente: il Messia e Figlio di Dio che solo salva i peccatori dall’ira di Dio e rende giusti quegli stessi peccatori agli occhi di Dio.
Vediamo ora la seconda interpretazione:
(2) L’interpretazione della legittimità
Il senso secondo questa interpretazione è: “Ora, chi ti credi di essere? Dacci le tue credenziali. Tu professi di essere il Messia. Tu hai operato miracoli a Capernaum. Tu professi di essere in grado di liberarci dalle nostre malattie, dai nostri peccati, dalle nostre afflizioni. Mostra di avere il potere, di essere degno della nostra fiducia, operando miracoli qui, come hai fatto a Capernaum".
La richiesta di fare segni persisterà per tutto il Suo ministero (cfr. per esempio Matteo 12:38; 16:1–4; Luca 4:3; 11:16; 22:64; 23:8, 35–37).
A Gesù viene chiesto di dimostrare le Sue affermazioni messianiche con segni miracolosi, in modo che possa essere creduto.
È secondo la mentalità: "Ciò che tu affermi, ora producilo, dimostralo con i fatti!"
Tuttavia, Gesù non era venuto a Nazaret per fare uno spettacolo per i Suoi concittadini.
Gesù non era venuto a Nazaret per fare uno spettacolo di miracoli, ma per suscitare fede nella Sua parola e nella Sua persona (cfr. per esempio Matteo 12:39; Giovanni 4:48), una verità che sfida ancora oggi il nostro desiderio di prove anziché di fede.
Gli abitanti di Nazaret esitano a credere che Lui fosse il Messia perché vogliono prove.
Il proverbio è citato con ironia, nel senso che si beffavano di Gesù (cfr. per esempio Luca 23:35), non appariva così grandioso (cfr. per esempio Luca 2:7; 9:58); e significa “fingi di salvare l’umanità dalla sua miseria, ma prima inizi salvando te stesso dalle Tue miserie”.
Oppure: "Chi credi di essere per offrirci ciò che non hai per te stesso?"
Anche se sotto forma di richiesta, è una risposta offensiva che mette in discussione la Sua autorità.
Non implica che Gesù fosse malato e necessitasse di guarigione fisica, ma piuttosto che dovrebbe “guarire” la Sua reputazione dimostrando con i miracoli di essere davvero il Messia.
Allora l’idea è che avrebbe beneficiato a Sé Stesso riguardo la Sua reputazione operando miracoli nella Sua città natale.
In questo senso, gli abitanti stanno dicendo: "Prima di pretendere di essere il salvatore degli altri, affinché ti crediamo dimostra chi sei veramente qui tra noi che ti conosciamo".
Le persone della sinagoga ritenevano che Gesù, prima di presentarsi come Colui che poteva migliorare la condizione degli altri, dovesse dimostrare di essere l’adempimento della profezia di Isaia facendo a Nazaret gli stessi miracoli di guarigione che aveva compiuto a Capernaum.
La frase sui miracoli di Capernaum è una cinica richiesta di dissipare l’impressione che Egli fosse solo il figlio di Giuseppe.
Quando gli abitanti di Nazaret pensano: “Medico, cura te stesso. Fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!”, stanno sollevando una questione fondamentale di integrità morale e autenticità, in altre parole pensano che Gesù sia un ipocrita.
Questa accusa implicita di ipocrisia tocca tre aspetti, esaminiamoli brevemente.
• Il primo aspetto è: l’incoerenza tra parole e azioni
"Tu proclami la salvezza agli altri, ma non la offri ai tuoi! Come possiamo credere alle Tue parole se le Tue azioni mostrano favoritismo verso estranei?”
• Il secondo aspetto è: la pretesa di autorità senza legittimazione locale
“Pretendi di essere il Messia, ma rifiuti di legittimare questa pretesa proprio qui dove sei cresciuto e conosciuto. Che tipo di autorità è questa che evita il controllo più diretto?”
• Il terzo aspetto è: il doppio standard nell’applicare la misericordia
“A Capernaum hai operato prodigi, mentre qui, dove sei cresciuto, non mostri lo stesso potere. Questa disparità di trattamento non rivela da parte Tua una forma di ipocrisia?”
E allora in questo senso, la sfida non è semplicemente solo “dimostraci chi sei”, ma anche “dimostraci che sei autentico, che la Tua pretesa messianica non sia una facciata, che non stai applicando un doppio standard tra noi e gli altri”.
Molte persone hanno lo stesso atteggiamento oggi.
Forse hanno sentito dire che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e Salvatore del mondo, che è morto sulla croce per i peccati ed è risorto con la potenza della vita eterna. Sono quasi disposti a crederci.
Eppure, sentono di aver bisogno di qualcosa di più della semplice predicazione del Vangelo.
Vogliono un qualche tipo di prova.
Se solo Dio risolvesse i loro problemi finanziari, o desse loro la relazione che sperano di avere nella vita, o togliesse loro il dolore.
Se solo avesse parlato con loro, avrebbero creduto in Lui.
Infine, la terza interpretazione è:
(3) L’interpretazione della complessità
Il proverbio non ha un’unica interpretazione, ma contiene simultaneamente più livelli di significato che si completano a vicenda.
Da un lato, suggerisce il principio che un benefattore dovrebbe iniziare dalle sue immediate vicinanze.
Gli abitanti di Nazaret si aspettano che Gesù, prima di beneficare gli stranieri a Capernaum, mostri la stessa benevolenza verso la sua gente.
Contemporaneamente, il proverbio sfida l’autorità messianica di Gesù, chiedendogli di dimostrare con i miracoli di essere veramente chi afferma di essere.
Non implica che fosse malato, ma che dovesse “guarire” la Sua reputazione e legittimare la Sua identità proprio lì, tra coloro che lo conoscevano come “il figlio di Giuseppe”.
Comunque sia, la vera intenzione della provocazione è che gli abitanti di Nazaret stanno simultaneamente chiedendo un trattamento privilegiato in quanto concittadini e sfidando l’identità messianica di Gesù.
La loro richiesta di miracoli diventa sia una pretesa di priorità: "Pensa prima a noi”, sia una condizione per accettare la Sua autorità: “Dimostraci chi sei veramente”.
Questo proverbio ci sfida ancora oggi. Come gli abitanti di Nazaret, anche noi possiamo:
• Pretendere che Dio agisca secondo le nostre condizioni.
• Lasciare che la familiarità con Gesù offuschi la Sua vera identità.
• Mettere alla prova Dio anziché fidarci di Lui.
Il proverbio “Medico, cura te stesso” arriva fino ai nostri giorni per interrogarci: siamo disposti ad accettare Dio alle Sue condizioni, o pretendiamo che si manifesti secondo le nostre aspettative e priorità?
Infine, in questi versetti troviamo:
III LA SOLIDITÀ DELLA PROVOCAZIONE (vv.23-24)
v.23: “Certo, voi mi citerete questo proverbio: ‘Medico, cura te stesso; fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!’”
Ciò che Gesù affermava non era per sentito dire, o per interpretazione, o per semplice intuizione!
Gesù vedeva oltre le parole non dette, leggendo i cuori e i pensieri nascosti.
Gesù conosceva i pensieri di quelle persone nella sinagoga, era onnisciente (cfr. per esempio Matteo 9:4; 12:25; Marco 2:8; Luca 5:21-22; 6:7–8; 7:36–50; 9:47; Giovanni 2:24-25), che oltre a essere una caratteristica di un profeta dotato di Spirito Santo (per esempio 1 Samuele 9:19-20; 2 Re 5:26; 6:12; Atti 5:3-4), è una caratteristica della natura divina che aveva Gesù: l’onniscienza (cfr. per esempio 1 Samuele 16:7, 1 Re 8:39).
Nella solidità della provocazione c’è:
A) La previsione della richiesta di segni in riferimento a Cafarnao
Sempre nel v.23 leggiamo: “Fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!”
I concittadini di Gesù pensavano: “Fai a casa tua ciò che hai fatto altrove!”
La Sua reputazione di guaritore lo aveva preceduto e aveva creato un’aspettativa naturale di guarigioni anche a Nazaret.
La gente era a conoscenza dei miracoli di Gesù (Matteo 13:54; Marco 6:2), probabilmente si riferiva a miracoli non registrati compiuti da Gesù durante il breve periodo che trascorse a Capernaum (Giovanni 2:12) dopo il Suo miracolo a Cana.
Luca 4:14 implica che Gesù compì opere potenti mentre andava in giro a insegnare nelle sinagoghe.
La verità divina è spesso distorta da cuori che cercano conferme piuttosto che conversione.
La ragione per cui Cristo menzionò il proverbio era per dire alla folla della sinagoga che la stavano pervertendo a modo loro applicandolo a Lui.
Le persone malvagie pervertono sempre la verità per opporsi alla verità!
Ciò che spinse i connazionali di Cristo a pervertire l’uso di questo proverbio fu la loro incredulità in Cristo come Messia d’Israele.
Il modo per credere che era il Messia era che Egli facesse i miracoli e a Nazaret non ne aveva fatti.
Poiché non aveva operato miracoli simili a Nazaret, la gente di Nazaret non gli avrebbe creduto.
E se non avesse fatto miracoli a Nazaret, la Sua città natale, allora, secondo loro, era come un medico che non poteva guarire sé stesso.
Nella solidità della provocazione c’è:
B) La comprensione delle aspettative popolari
E ancora è scritto nel v. 24: “Ma egli disse: ‘In verità vi dico che nessun profeta è ben accetto nella sua patria’”.
“In verità vi dico” (amēn legō), una formula che spesso usa per dare particolare enfasi a un insegnamento, come un’affermazione ultima di autorità, di Gesù Cristo, l’amen, è l’inizio di una dichiarazione solenne che serve ad attirare l’attenzione e sottolinea che le parole che seguiranno sono importanti (cfr. per esempio Matteo 6:5,16; Marco 10:15, 29; 11:23; Luca 12:37; 13:35; Giovanni 3:3, 5, 11; 5:19, 24-25).
William Hendriksen scriveva a riguardo: “Ovunque ricorra questa parola, introduce un’affermazione che esprime non solo una verità, o un fatto, ma un fatto importante, una verità solenne, che è generalmente in conflitto con l’opinione popolare, o che almeno suscita una certa sorpresa, o deve essere sottolineata.”
Il punto è sottolineare la verità e la validità dei detti attraverso il Suo stesso riconoscimento di essi.
Quando Gesù dice “Amen”, sta mettendo il sigillo dell’eternità su parole che il tempo non potrà mai cancellare.
Introducendo le sue parole con “amen”, Gesù le etichettò come certe e affidabili. Le sostenne e le rese vincolanti per Sé Stesso e per i Suoi ascoltatori. Sono un’espressione della Sua maestà e autorità.
Riconoscendo la Sua parola, Gesù la afferma nella Sua vita e quindi la rende una pretesa per gli altri.
Alcuni studiosi pensano che questa frase di Gesù non fosse un proverbio, un detto sapienziale già esistente, ma nel momento in cui Gesù lo pronunciò lo divenne e cominciò a essere usato.
Mentre altri studiosi dicono che considerando che Gesù pronunci il detto senza spiegarlo, suggerisce che potesse essere un’espressione già familiare ai Suoi ascoltatori; probabilmente, era un altro detto sapienziale già esistente che Gesù ha ripreso e applicato alla Sua situazione.
In questo uso del proverbio, Gesù confuta l’uso improprio del detto del medico.
L’uso che fecero di quella parabola nell’accusare Cristo di ipocrisia era semplicemente la prova che un profeta non era accettato nella Sua patria, in questo caso la città di Nazaret.
La familiarità con il sacro non garantisce il riconoscimento della messianicità.
Quando Gesù vide l’incredulità della gente della sinagoga di Nazaret, descrisse la situazione con un proverbio che afferma che un profeta non è accettato (Marco 6:4, Matteo 13:57, Giovanni 4:44) né onorato nella sua città natale.
Cristo aveva vissuto quasi trent’anni nella città di Nazaret, quindi era un ragazzo di Nazaret e non sarebbe stato ben accettato.
Questo era il grande problema di Nazaret, ed era la causa di molto disprezzo per Cristo.
Gesù continua poi affermando che, come profeta, si aspettava un’accoglienza ostile dalla Sua città natale; un profeta non viene mai onorato nel suo luogo nativo.
Dicendo: “Nessun profeta è ben accetto nella sua patria”, ci fa capire che Gesù era consapevole della sua chiamata e missione profetica (Luca 13:33).
Gesù stesso rivendicò il titolo di profeta (cfr. per esempio Matteo 13:57; Marco 6:4; Giovanni 4:44), affermando di essere inviato per trasmettere il messaggio di Dio all'umanità (cfr. per esempio Giovanni 8:26; 12:49–50).
C’è un gioco di parole con Luca 4:19 dove si parla dell’anno accettevole del Signore, ma Gesù non fu accettato dal Suo popolo!
Il problema non è mai la mancanza di prove divine, ma la durezza di cuori umani non disposti a credere!
Gesù non svolse il Suo ministero nella Sua città natale perché la gente gli resisteva, anzi lo rifiutava (cfr. per esempio Matteo 13:58; Marco 6:1-6; Ebrei 11:6).
Quindi la questione non era la mancanza di prove, ma la durezza di un cuore incredulo!
Con cuori così, non ci sarebbero mai stati abbastanza miracoli da soddisfarli affinché credessero in Lui! (Giovanni 12:37); addirittura altrove, il Suo potere miracoloso era attribuito a Satana (Matteo 12:24).
Joel B. Green ci ricorda: “Gesù non potrà svolgere la sua missione nella sua città natale, perché la sua stessa gente, lungi dall’abbracciare la sua identità e la sua missione, gli resiste.”
Avendo udito Gesù parlare, la gente si aspetta che ora Egli continuasse a compiere miracoli, ma in realtà, poiché non hanno creduto, Gesù non farà opere potenti.
Questo rifiuto non ha colto di sorpresa Gesù.
Il rifiuto del Messia non fu un incidente della storia, ma rispecchiava un modello profetico.
Nell’usare questo proverbio, Gesù si identificò come un profeta, e sapeva benissimo che i profeti con le loro esortazioni e avvertimenti non erano accolti calorosamente.
Gesù usò questo detto per indicare che stava ricevendo la sorte dei profeti: il rifiuto e la persecuzione fino alla morte (cfr. per esempio 2 Cronache 36:16; Neemia 9:26; Geremia 1:19; 20:2; Matteo 5:11-12; Luca 11:47–50; 13:34; Giovanni 1:11; Atti 7:52).
Gesù qui prefigura il destino che incontrerà: la morte in croce.
CONCLUSIONE
La sinagoga di Nazaret non era solo un edificio di pietra in una piccola città della Galilea, era uno specchio che rifletteva una condizione umana universale: la tendenza a limitare Dio alle nostre aspettative, e a rifiutarlo quando non le soddisfa!
Abbiamo esplorato oggi la provocazione sconcertante di Gesù nella sinagoga di Nazaret attraverso il suo scopo, la sua specificità e la sua solidità.
Come il prezioso dipinto di Rembrandt nascosto in quella fattoria olandese, anche Gesù camminava in mezzo ai Suoi concittadini senza essere riconosciuto per chi realmente era.
La provocazione di Gesù: "Medico, cura te stesso" non era un semplice scontro verbale, ma un potente strumento pedagogico che svelava gli atteggiamenti nascosti, sfidava le aspettative limitate e insegnava una verità spirituale più profonda.
Attraverso questa provocazione, il Signore ha messo in luce la vera condizione dei cuori umani che Lo circondavano.
Che lezione possiamo trarre oggi da questo episodio? Proprio come gli abitanti di Nazaret, anche noi rischiamo di:
1) Pretendere che Dio agisca secondo le nostre condizioni piuttosto che accettarlo per chi è.
2) Permettere che la familiarità con le cose spirituali offuschi la nostra percezione della grandezza di Cristo.
3) Cercare segni e miracoli invece di affidarci con fede alla Sua Parola.
Ricordiamoci che “la familiarità genera disprezzo”.
Quante volte, come Nazaret, guardiamo il Figlio di Dio ogni giorno senza riconoscerne il valore?
Quante volte leggiamo la Sua Parola, parliamo di Lui, cantiamo di Lui, eppure non Lo vediamo veramente?
Il rifiuto che Gesù ha sperimentato a Nazaret non è stato un incidente della storia, ma parte del Suo cammino profetico che Lo avrebbe portato alla croce.
In questo rifiuto, però, si cela anche la meraviglia della grazia divina: Cristo continua ad amarci anche quando non Lo riconosciamo, anche quando Lo mettiamo alla prova, anche quando Lo rifiutiamo.
La provocazione di Gesù ci raggiunge ancora oggi e ci interroga: siamo disposti a riceverLo così com’è veramente - il Messia e Figlio di Dio che salva i peccatori - o vogliamo plasmarlo secondo le nostre aspettative?
Preghiamo che lo Spirito Santo apra i nostri occhi per vedere oltre la familiarità, oltre le nostre aspettative limitate.
Chiediamo la grazia di riconoscere il capolavoro divino che abbiamo davanti, non “il figlio di Giuseppe”, ma il Figlio di Dio, il nostro Salvatore.
Che possiamo accoglierLo non secondo le nostre condizioni, ma come Egli veramente è, perché solo così potremo sperimentare la pienezza della Sua salvezza e della Sua grazia.