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Luca 4:22: La reazione scioccante

 Luca 4:22: La reazione scioccante Luca 4:22: “Tutti gli rendevano testimonianza, e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, e dicevano: ‘Non è costui il figlio di Giuseppe?’” Avete mai sperimentato quel momento in cui le parole di qualcuno vi hanno lasciato senza fiato, quando qualcosa di familiare si rivela improvvisamente straordinario?  Oggi esploreremo insieme un episodio cruciale nella vita di Gesù, quando tornò nella sua città natale di Nazaret e parlò nella sinagoga.  Un momento di rivelazione che ci mostra come la grazia divina possa manifestarsi nell’ordinario, sfidando le nostre aspettative e categorie. Le reazioni dell’uditorio nella sinagoga di Nazaret rispecchiano spesso il nostro stesso cammino spirituale: dall’iniziale meraviglia al possibile rifiuto.  Ci troviamo anche noi, a volte, a limitare Dio con le nostre aspettative?  A ridurre la potenza della Sua Parola perché proviene da fonti che riteniamo troppo familiar...
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Luca 4:22: La reazione scioccante

 Luca 4:22: La reazione scioccante
Luca 4:22: “Tutti gli rendevano testimonianza, e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, e dicevano: ‘Non è costui il figlio di Giuseppe?’”
Avete mai sperimentato quel momento in cui le parole di qualcuno vi hanno lasciato senza fiato, quando qualcosa di familiare si rivela improvvisamente straordinario? 
Oggi esploreremo insieme un episodio cruciale nella vita di Gesù, quando tornò nella sua città natale di Nazaret e parlò nella sinagoga. 
Un momento di rivelazione che ci mostra come la grazia divina possa manifestarsi nell’ordinario, sfidando le nostre aspettative e categorie.
Le reazioni dell’uditorio nella sinagoga di Nazaret rispecchiano spesso il nostro stesso cammino spirituale: dall’iniziale meraviglia al possibile rifiuto. 
Ci troviamo anche noi, a volte, a limitare Dio con le nostre aspettative? 
A ridurre la potenza della Sua Parola perché proviene da fonti che riteniamo troppo familiari, o ordinarie?
Quando Gesù si alzò a leggere quel giorno, le Sue "parole di grazia" generarono stupore. 
Eppure, quella stessa luce che inizialmente affascinò, presto generò resistenza. Quante volte anche noi, nella nostra vita spirituale, seguiamo lo stesso percorso? Ammiriamo la bellezza di una verità di Dio per poi resistere alle sue implicazioni quando tocca le nostre convinzioni più radicate o richiede un cambiamento autentico. 
Esploriamo insieme questo paradosso e scopriamo cosa possiamo imparare per il nostro cammino di fede.
In Luca 4:16-21, Gesù entra nella sinagoga di Nazaret di sabato, come era sua abitudine. Gli viene dato il rotolo del profeta Isaia, e Gesù legge un passaggio messianico (Isaia 61:1-2) che parla di qualcuno unto dallo Spirito per portare buone notizie ai poveri, proclamare la libertà ai prigionieri, dare la vista ai ciechi e liberare gli oppressi.
Dopo aver letto questo passaggio, Gesù arrotola il libro, lo restituisce e si siede. Poi pronuncia una frase sorprendente: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi udite” (Luca 4:21). 
Con questa affermazione, Gesù sta essenzialmente dichiarando che lui stesso è il Messia promesso di cui parlava Isaia.
Nel v.22 vediamo due aspetti: l’incanto e l’incredulità dell’uditorio.
Cominciamo con:
I L’INCANTO DELL’UDITORIO 
Prima di tutto vediamo:
A) L’attestazione positiva iniziale 
“Tutti gli rendevano testimonianza”.
“Tutti” (pantes) indica proprio tutti quelli che erano presenti nella sinagoga.
“Rendevano testimonianza” (emartyroun – imperfetto attivo indicativo) significa che veramente gli rendevano testimonianza.
Il termine greco originario risale a Omero e si collega etimologicamente all’idea di “richiamare alla mente”, indicando il processo di ricordare consapevolmente un’esperienza vissuta per comunicarla ad altri. 
La parola greca nell’uso non biblico indicava un’affermazione solenne di qualcosa, offrendo un’autenticazione diretta spesso riguardo a questioni gravi, o importanti, fornire prove, confermare informazioni sia in ambito legale, che in generale.
Nel greco la frase è “rendevano testimonianza lui” (emartyroun autō), che è stato interpretato in modi diversi (dativo di svantaggio, o di vantaggio).
Per questo motivo, gli studiosi sono divisi nel senso che alcuni vedono una testimonianza negativa, contro qualcuno (cfr. per esempio Matteo 23:31; Luca 9:5; 22:71; Giovanni 7:7); mentre altri la vedono come testimonianza positiva, cioè, testimoniare a favore di qualcuno, parlare bene di una persona sulla base dell’esperienza personale, con il senso di applaudire, approvare una persona (cfr. per esempio Luca 11:48; 21:13; Giovanni 3:26; 12:17; Atti 6:3; 10:22; 16:2; 22:12; 3 Giovanni 12). 
Ci sono buone ragioni per indicare che si riferisce a una testimonianza nel senso positivo, quindi di un’approvazione generale; infatti, non è scritto “contro” (epi – Luca 9:5), e neanche è sottointeso (cfr. per esempio Matteo 23:31, Luca 22:71) che lascia intendere che abbia fatto opere malvagie (cfr. per esempio Giovanni 7:7).
Un’altra conferma che è positiva è che dopo è scritto che si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, ed erano increduli perché lo conoscevano, era il figlio di Giuseppe.
Dunque, tutte le persone presenti nella sinagoga attestavano positivamente Gesù, testimoniando favorevolmente di Lui.
Quando la Parola di Dio viene veramente proclamata, accende una luce che non può essere ignorata.
La vera predicazione non è solo informazione, ma “un fuoco che si accende nel gelo” suscitando meraviglia e stupore.
Martin Lloyd-Jones, il predicatore gallese, diceva: “La vera predicazione porta sempre a una forma di stupore. Quando la Parola viene proclamata con potenza, il primo effetto è sempre una forma di meraviglia, un’improvvisa consapevolezza che qualcosa di straordinario sta accadendo.”
In secondo luogo, c’è:
B) L’attonimento per le parole di grazia 
“E si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”.
È evidente che Luca non ha riportato la predicazione di Gesù completa del passo di Isaia; ha semplicemente riportato una sintesi del messaggio di Gesù.
Immaginate un deserto arido, e poi improvvisamente una fonte d’acqua fresca che sgorga nel mezzo. 
Così erano le parole di Gesù in mezzo alla predicazione arida del Suo tempo.
Nella sinagoga di Nazaret, tra queste persone è probabile che vi erano amici intimi della famiglia, o vicini di casa, o semplici conoscenti. 
Come i primi raggi dell’alba che irrompono nell’oscurità, le parole di grazia di Gesù portarono una luce che catturò l’attenzione di tutti i presenti nella sinagoga.
Luca riporta che tutti i presenti nella sinagoga dove ha predicato Gesù si meravigliavano (ethaumazon), cioè, erano colpite da ammirazione, o stupore, che altre volte sarà la reazione delle persone ai miracoli di Gesù (Matteo 8:10, 27; 9:8, 33; 15:31; Marco 5:20; Giovanni 7:21), o dei discepoli quando si calmò la tempesta per la presenza di Gesù (Marco 6:51), e ancora di fronte alla Sua autorità (Matteo 21:20; 22:22; Marco 15:5; Giovanni 7:15), o per la Sua conoscenza e parole (Giovanni 7:15).
La stessa reazione la ebbero quei soldati che andarono ad arrestare Gesù, ma tornarono a mani vuote; in Giovanni 7:45-46 è scritto: “Le guardie, dunque, tornarono dai capi dei sacerdoti e dai farisei, i quali dissero loro: ‘Perché non lo avete portato?’  Le guardie risposero: ‘Mai un uomo ha parlato così!’”
Le parole di grazia hanno un potere che genera meraviglia; quando Gesù parlava, persino i soldati mandati ad arrestarlo tornavano a mani vuote dicendo: “Mai un uomo ha parlato così!”
Luca ci dice che le persone si meravigliavano (in senso positivo) delle parole di grazia (tois logois tēs charitos).
La parola greca per “grazia” (charis) nel greco neotestamentario porta con sé il concetto di un dono immeritato, qualcosa che sorprende chi lo riceve, sorprese divine che superano ogni aspettativa.
Il teologo Karl Barth scriveva: “La grazia è sempre sorprendente. È la natura stessa della grazia presentarsi dove non è attesa e operare ciò che non poteva essere previsto.”
Gesù incarnava la grazia di Dio (cfr. per esempio Giovanni 1:14,16,17), nella Sua umanità cresceva in grazia davanti a Dio e agli uomini (Luca 2:52).
Questo significa che, mentre Gesù come uomo cresceva, sviluppava qualità sempre più nobili e profonde che erano apprezzate sia da Dio che dalle persone intorno a Lui. Non si trattava solo di diventare più grande fisicamente, ma di un vero sviluppo spirituale e relazionale.
“Crescere in grazia” significa che Gesù stava maturando nel suo rapporto con Dio e nel Suo modo di relazionarsi con gli altri. 
Le sue parole, azioni e atteggiamenti riflettevano sempre più la bellezza del carattere divino, guadagnandosi così il favore e l’approvazione sia di Dio che degli uomini.
Allora possiamo affermare: “Crescere in grazia” non è solo diventare più grandi fisicamente, ma sviluppare un carattere che rispecchia sempre più la bellezza divina, guadagnando favore sia davanti a Dio che agli uomini.
Questo ci mostra che anche Gesù, pur essendo divino, ha vissuto un autentico percorso di crescita umana, sviluppando progressivamente le Sue qualità e il Suo carattere durante l’infanzia e la giovinezza.
Inoltre, Gesù da adulto, attirava e manifestava la Sua grazia nell’accogliere i bambini (Luca 18:16).
Non si faceva problemi a mangiare con coloro che erano considerati peccatori.
La Sua condotta verso i peccatori contrastava nettamente con l’atteggiamento dei contemporanei (Matteo 21:31; Luca 7:34).
La grazia di Gesù si manifesta nell’accoglienza degli emarginati, un amore che non conosce confini e non si lascia distrarre dalle convenzioni.
La Sua era una prontezza di compassione che incoraggiava gli emarginati ad avvicinarsi a Lui (cfr. per esempio Marco 1:40-41; Matteo 9:36; Luca 7:12-15; 19:5-7).
Aveva un atteggiamento sensibile verso gli affaticati e gli oppressi (Matteo 11:28).
Le persone potevano avvicinarsi a Lui, potevano mangiare e bere con Lui, potevano ascoltare il Suo discorso e fargli domande, e lo trovavano non solo accessibile, ma cordiale e non così occupato con i Suoi piani da non poter occuparsi di un’anima bisognosa, di un caso di angoscia, o perplessità mentale.
Gesù ha insegnato sulla grazia con le Sue parabole, come  quella del “Buon Samaritano” (Luca 10:25-37); della “Pecora Smarrita” (Luca 15:1-7) e del “Figlio Prodigo” (Luca 15:11-31).
Anche sulla croce, nel momento di massima sofferenza, Gesù manifestò la grazia chiedendo al Padre perdono per i Suoi nemici (Luca 23:34); questo è il culmine di una vita cresciuta in grazia.
Dunque, Gesù sapeva che cosa fosse la grazia!
La grazia in questo versetto può riferirsi: 
(1) Al messaggio: al contenuto delle parole (cfr. per esempio Atti 14:3, 26; 20:24,32) 
Gesù aveva proclamato l’anno della grazia del Signore, annunciando buone notizie ai poveri, liberazione ai prigionieri, vista ai ciechi, e libertà agli oppressi (Luca 4:18-19), quindi trovare grazia presso Dio (cfr. per esempio Esodo 33:12- 13,16; Luca 1:30; Atti 7:46; Romani 3:24; 1 Corinzi 15:10; Galati 1:15; Efesini 2:8).
La grazia è il favore di Dio volontario e immeritato che Egli mostra ai peccatori la dove doveva esserci morte, ha portato vita.
Queste erano letteralmente “parole di grazia” nel senso che annunciavano il favore divino, la misericordia e l’intervento salvifico di Dio; quindi, il Suo messaggio riguardava la grazia di Dio salvifica, le Sue opere di grazia, è stata per la grazia che le profezie si sono adempiute.
La grazia può riferirsi:
(2) Al modo in cui Gesù ha presentato il messaggio (cfr. per esempio Salmo 45:2; Ecclesiaste 10:12; Efesini 4:29; Colossesi 4:6). 
La grazia si manifesta nella bellezza delle parole, un’eloquenza che tocca il cuore.
L’espressione si riferisce anche alla bellezza e all’eloquenza con cui Gesù parlava; quindi, non solo la grazia teologica, ma anche la grazia nel senso di eleganza, bellezza e attrattiva, parole persuasive ed eloquenti.
La grazia divina fluisce attraverso parole che incantano e trasformano.
I presenti erano colpiti non solo dal contenuto, ma anche dalla forma del suo discorso.
La grazia non è solo contenuto e forma, può riferirsi:
(3) Alla potenza di Dio che tocca il cuore
Hai mai sperimentato parole che sembravano parlare direttamente al tuo cuore, come se Dio stesso ti stesse parlando? Quella è la potenza della grazia nelle parole.
Si riferisce alle parole dotate della potenza della grazia di Dio. 
In senso più profondo, l’espressione suggerisce che le parole di Gesù erano permeate della grazia divina stessa che hanno avuto un impatto sull’uditorio (cfr. per esempio Luca 2:40; Atti 6:8).
È l’influenza divina presente nelle parole che dà loro un impatto abbastanza tangibile.
La grazia è la potenza di Dio che permea le parole, rendendole strumenti di trasformazione.
La grazia è un incontro con la potenza di Dio, un’esperienza che lascia senza fiato.
John Nolland scrive: “Le persone erano impressionate non perché le parole fossero ‘parole di grazia’ ma perché erano ‘parole di grazia’”.
Non erano semplicemente parole sulla grazia, ma parole che portavano e trasmettevano la grazia di Dio ai presenti, manifestando la potenza salvifica di Dio.
La grazia non è solo un messaggio, è la potenza di Dio che trasforma la morte in vita.
La reazione del pubblico può quindi essere stata causata dalla potenza del messaggio di Gesù.
Il popolo considerava le parole di Gesù come piene della grazia di Dio, cioè della Sua potenza mentre presentava il messaggio di salvezza.
Le persone erano stupite dalle parole rivestite della potenza della grazia di Dio. 
Comunque la guardiamo, quella di Gesù era grazia disarmante e irresistibile. 
Le Sue parole erano la manifestazione vivente della grazia divina.
In secondo luogo, vediamo:
II L’INCREDULITÀ DELL’UDITORIO 
“Non è costui il figlio di Giuseppe?”
Quando Gesù predicava a Nazaret, la Sua città natale, le persone lo identificavano principalmente per la Sua identità, famiglia e professione terrena (cfr. per esempio Matteo 13:55), non riuscendo a riconoscere la Sua natura Messianica e divina nonostante le Sue parole straordinarie e le Sue opere.
Non ha fatto così il filosofo e scrittore Lewis quando si è convertito.
C.S. Lewis raccontava di come, dopo la sua conversione, un amico gli chiese se davvero credesse che l’universo fosse stato creato da un falegname Ebreo. Lewis rispose: “Ciò che mi ha convinto non è stata la sua professione, ma le sue parole e le sue opere”. 
“Non è costui il figlio di Giuseppe?” è stato interpretato in quattro modi diversi.
Vediamo:
A) Le interpretazioni
La prima interpretazione è che questa domanda:
(1) Esprime la loro sorpresa - incredulità positiva
Significa la piacevole sorpresa e ammirazione della folla. 
Questa è un’affermazione positiva, che indica che le persone erano contente che un uomo come Gesù fosse uno di loro. 
Erano stupite che un uomo della loro città natale potesse parlare in quel modo.
“Non è costui il figlio di Giuseppe?” non esprime in questo momento ostilità, indignazione, o incredulità negativa, ma una sorpresa genuina che comunque facevano fatica ad accettare.
Secondo David Garland: “Quando qualcuno viene identificato come il figlio di suo padre nell’Antico Testamento, non si intende mai sminuire lo status dell’individuo” (cfr. per esempio Isaia 1:1; 2:1; 13:1; 20:2; 22:20; 36:3, 22; 37:2, 21; 38:1; Geremia 1:1; 36:4, 8, 32; 45:1; Ezechiele 1:3; Osea 1:1; Gioele 1:1; Giona 1:1; Sofonia 1:1; Zaccaria 1:1).
L’ostilità aperta delle persone nella sinagoga (v.29) emergerà solo dopo che Gesù sfida le loro aspettative da come vediamo nei vv.23-28, ma prima di questo, la loro incredulità è positiva meglio compresa come stupore, o perplessità piuttosto che come rifiuto.
Questo ci mostra un principio importante: prima del rifiuto c’è sempre un momento di riconoscimento. 
Anche chi alla fine respingerà Gesù, o la verità, inizialmente percepisce qualcosa di straordinario in Lui.
La seconda interpretazione è che questa domanda:
(2) Esprime la loro incredulità negativa in modo sprezzante
Secondo questa interpretazione “non” (ouchi) è più forte di un semplice “non”, esprime incredulità negativa.
Alcuni vedono nella domanda: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”, qualcosa di negativo, nel senso che non potendo sminuire il messaggio di Gesù, sminuirono la Sua persona ricordando che era figlio di Giuseppe.
Si chiedevano come quello che loro conoscevano potesse affermare di essere il compimento di Isaia, il Messia, o un profeta.
Non è costui il figlio di Giuseppe, che tutti conosciamo, si aspetta davvero che noi crediamo che lui sia un profeta?
Così, secondo questa interpretazione, “non è costui il figlio di Giuseppe?” era un’affermazione sprezzante che tentava di allontanare Cristo dalla persona che affermava di essere, cioè il Messia, per ristabilirlo a nient’altro che un semplice essere umano non migliore di loro, semplicemente un ragazzo di Nazaret! 
Quindi non è che nessuno!
La terza interpretazione è che questa domanda:
(3) Esprime il loro rifiuto delle affermazioni, o della persona di Gesù
In relazione ai versetti seguenti, questa è un’affermazione negativa. 
Le parole passano dalla sorpresa all’indignazione e all’ostilità.
Questo segnala la svolta della folla verso l’incredulità poiché non possono credere che Gesù sia il Messia nonostante le Sue parole attraenti. 
Guardavano dall’alto in basso qualcuno con cui erano così familiari e si chiedevano perché pensasse di essere così grande. 
La loro reazione positiva iniziale si è trasformata in critiche. 
Senza esserne probabilmente consapevoli, nei loro cuori covavano invidia verso di Lui e resistenza al proposito di Dio.
Oppure si meravigliavano delle Sue parole è una risposta positiva all’abilità retorica, ma non alle Sue affermazioni.
È una reazione simile che potrebbe avere un forte avversario politico, o ideologico: “È un oratore efficace, ma non accetto il suo punto di vista”.
Lo scetticismo sostiene che le affermazioni di Gesù sono eccessive per un Ebreo della Galilea (cfr. per esempio Giovanni 7:41; 8:41), lo pensava anche Natanaele che rispose a Filippo, quando questi gli disse che aveva trovato colui che hanno scritto Mosè e i profeti, Natanaele rispose: “Può forse venire qualcosa di buono da Nazaret?” (Giovanni 1:46).
Infine, l’ultima interpretazione è che questa domanda:
(4) Esprime diverse reazioni
Indica che erano stupiti che il figlio di Giuseppe fosse diventato un oratore così bravo e, allo stesso tempo, mostra la loro indignazione il fatto che Egli aveva la presunzione di parlare come un profeta, o che affermasse di essere il Messia.
Comunque noi in questa vicenda, vediamo:
B) Le descrizioni
Cosa descrive la reazione della gente nella sinagoga?
Prima di tutto vediamo:
(1) Il paradosso della familiarità
La familiarità può essere una prigione, o un velo. “Non è costui il figlio di Giuseppe?” è una domanda che ci ricorda come le nostre percezioni limitate possano oscurare la verità.
La frase “il figlio di Giuseppe” rappresenta la categoria dell’ordinario, del familiare, contrapposta all’eccezionalità delle parole appena pronunciate da Gesù.
Gli abitanti di Nazaret riconoscono Gesù come il figlio del falegname locale, una persona che hanno visto crescere tra loro, e questo crea in loro una tensione tra la conoscenza che avevano di Lui con la straordinarietà delle Sue parole.
Da un lato, c’è un riconoscimento genuino dell’eloquenza e della saggezza di Gesù; dall’altro, c’è una difficoltà nel riconciliare questo con la Sua origine familiare e umile che conoscono bene. 
La familiarità genera disprezzo solo quando manca l’umiltà di riconoscere che l’ordinario può contenere lo straordinario.
Questa tensione non è ancora rifiuto aperto, ma rappresenta ciò che Fitzmyer chiama “il paradosso della rivelazione nell’ordinario”.
Così, sebbene la folla fosse rimasta colpita dalle Sue parole e dalle Sue affermazioni, rimaneva scettica sul fatto che Gesù fosse Colui che poteva portare tale salvezza.
Allora questa domanda è l’espressione di una tensione tra la conoscenza che avevano di Gesù e quello che hanno sentito in quel momento, che prepara il terreno per il successivo rifiuto. 
È l’inizio di un processo di incredulità che si trasformerà in ostilità aperta solo quando Gesù sfiderà direttamente le loro aspettative religiose nazionalistiche.
È difficile accettare qualcosa di familiare come straordinario.
Il senso della domanda è: “Come può qualcuno che conosciamo da sempre, cresciuto tra noi, parlare con tale autorità e grazia?”
Chi avrebbe mai pensato che un giorno il figlio di Giuseppe sarebbe diventato il profeta di Dio?
La folla ammirava le parole di Gesù, o ne era stupite, ma fino a un certo punto, volevano vedere i segni miracolosi che aveva fatto a Capernaum (v.23) e non ascoltare solo belle parole!
La tensione nella domanda “non è costui il figlio di Giuseppe?”, è emblematica della “cecità familiare”, la difficoltà di riconoscere lo straordinario in ciò che ci è familiare. 
È assurdo credere che un falegname locale che possa essere una figura di tipo messianico. 
“Quanto sono inclini gli uomini a disprezzare i più alti privilegi quando ne hanno familiarità” (J.C. Ryle).
Come può un uomo comune fare tali affermazioni? La familiarità genera disprezzo!
William Hendriksen scriveva: “La familiarità portava disprezzo. Il fatto stesso che la gente di Nazaret conoscesse così bene la famiglia di Gesù fece sì che lo guardassero dall’alto in basso. Chi pensava di essere? Se voleva che credessero alle sue affermazioni, avrebbe dovuto dimostrare la sua grandezza compiendo qui a Nazaret – meglio ancora, proprio qui nella sinagoga? – un miracolo simile a quelli che si diceva avesse operato altrove.”
Infatti, dirà dopo nei vv.23-24: "Certo, voi mi citerete questo proverbio: 'Medico, cura te stesso; fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!' Ma egli disse: In verità vi dico che nessun profeta è ben accetto nella sua patria."
Il cardinale Carlo Maria Martini commentava: "L’incarnazione è sempre uno scandalo per la mente umana. Che Dio scelga di manifestarsi attraverso l’ordinario, il quotidiano, è la sfida più grande alla nostra fede".
La meraviglia iniziale deve trasformarsi in fede autentica, altrimenti si deteriora in resistenza e rifiuto.
Dio può manifestarsi attraverso l’ordinario, il quotidiano, ed è proprio questa la sfida più grande alla nostra fede.
Le parole di grazia di Gesù erano come un’acqua fresca in un deserto arido. 
Tutti la riconoscono come vitale e preziosa, ma alcuni, per paura, o incredulità, esitano a berla, anche mentre ammirano la sua limpidezza.
Durante una grave siccità in un villaggio africano, un missionario racconta che, quando finalmente piovve, gli abitanti danzarono sotto l’acqua, meravigliati. 
Ma alcuni anziani, spaventati da tanta abbondanza dopo la scarsità, si rifugiarono nelle loro capanne. 
La grazia, come quella pioggia, spesso ci trova impreparati nella sua abbondanza.
Oppure come trovare un diamante grezzo nel proprio giardino e rifiutarsi di credere che sia autentico proprio perché l’abbiamo trovato in un luogo così comune. 
Oppure è come un grande compositore che sceglie di esibirsi in un piccolo caffè di quartiere invece che in una sala da concerto. Alcuni clienti abituali potrebbero dire: “Ma non è quello che viene sempre qui a bere il caffè? Come può essere un grande musicista?”
Oppure come quando scopriamo che il compagno di banco di scuola è diventato un famoso scienziato, o un calciatore, o un attore famoso, e non riusciamo a crederci.
Quindi per la gente che era presente nella sinagoga la familiarità che avevano di Gesù è stato un problema.
La familiarità diventa un velo che nasconde il tesoro che abbiamo davanti agli occhi.
Il teologo Romano Guardini scrive: “La familiarità può essere il più grande ostacolo alla rivelazione”. 
La difficoltà che queste persone hanno incontrato non era che Gesù è troppo estraneo, ma paradossalmente che è troppo familiare.
Il più grande ostacolo alla rivelazione non è che Dio sia troppo estraneo, ma paradossalmente che sia troppo familiare nella Sua manifestazione.
Fu solo quando Gesù continuò a insegnare che si rivoltarono contro di Lui.
Fu in seguito, quando capirono il significato del Suo messaggio, che passarono dalla meraviglia alla furia.
Quando Gesù parlò nella sinagoga di Nazareth, la gente inizialmente si meravigliò delle Sue parole, lo conoscevano così bene, ma solo come un falegname. Ma poi, quando iniziò a condividere verità più profonde, il loro stupore si trasformò in scetticismo. 
Spesso limitiamo Dio con le nostre aspettative. Ricorda, Dio può usare chiunque, anche gli umili in mezzo a noi!
In secondo luogo, vediamo:
(2) La progressione psicologica
Questa domanda riflette un’incredulità che nasce proprio dallo stupore iniziale. 
La reazione delle persone nella sinagoga passa attraverso diverse fasi, che potremmo descrivere come una progressione psicologica.
Prima di tutto troviamo:
(a) Uno stupore, o ammirazione genuina
Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati dalle parole di grazia. 
Questo stupore positivo rappresenta il primo stadio della loro risposta alle parole di Gesù.
Poi c’è:
(b) Un distanziamento psicologico
"Non è costui il figlio di Giuseppe?" non è ancora ostilità piena, ma rappresenta uno sforzo di ridimensionare ciò che hanno appena ascoltato ricordando a sé stessi la familiarità dell’oratore.
E ancora troviamo:
(c) Una protezione emotiva
La domanda: "Non è costui il figlio di Giuseppe?" rivela la tendenza umana a voler categorizzare e contenere l’esperienza religiosa entro parametri conosciuti e gestibili. 
Questa domanda non mostra tanto un’espressione di dubbio intellettuale, quanto un tentativo di protezione emotiva contro le implicazioni della predicazione di Gesù.
Come anche:
(d) Una resistenza all’accettazione
“Non è costui il figlio di Giuseppe?" rivela la nostra tendenza a voler categorizzare e contenere l’esperienza divina entro parametri conosciuti e gestibili.
Questa domanda mostra l’incapacità umana di accettare la rivelazione divina quando essa arriva in forme ordinarie, o inattese.
Familiarizzare Gesù chiamandolo “figlio di Giuseppe” è un modo per evitare di confrontarsi con la pienezza delle Sue affermazioni Messianiche.
Infine, nella progressione psicologica troviamo:
(e) Un’ostilità aperta
Lo stupore può trasformarsi in scetticismo quando la verità sfida le nostre aspettative. Ciò che ammiriamo può diventare ciò che respingiamo.
Solo quando Gesù porta alla luce questa dinamica, sfidando il loro senso di privilegio religioso nei versetti successivi, la situazione degenera in ostilità manifesta (vv. 28-29).
Quando Gesù risponde nei versetti successivi, non sta reagendo a ostilità già manifestata, ma sta affrontando quella tendenza a ridimensionare la Sua persona e il Suo messaggio.
La Sua provocazione dei vv.23-28, in modo particolare la citazione dei profeti Elia ed Eliseo è un tentativo di spezzare questa tendenza ad addomesticare Dio.
CONCLUSIONE
(1) Non lasciare che il familiare sia un ostacolo ad accogliere la verità di Dio
La storia di Gesù nella sinagoga di Nazaret ci ricorda una verità fondamentale: la familiarità può diventare il più grande ostacolo alla rivelazione divina. 
Quando pensiamo di conoscere già tutto, rischiamo di perdere la meraviglia davanti alla grazia di Dio.
Le parole di grazia di Gesù continuano a risuonare anche oggi, in un mondo saturo di parole vuote e slogan. 
Esse portano lo stesso potere trasformativo, la stessa capacità di generare stupore. 
Ma come risponderai tu? Con la meraviglia che si trasforma in fede autentica o con il distanziamento che porta al rifiuto?
(2) Ricorda che Dio non è addomesticabile
Dio non può essere confinato nelle nostre categorie umane. 
Spesso il nostro maggiore ostacolo non è l’incomprensibilità di Dio, ma la nostra tendenza a voler addomesticare e limitare Dio entro categorie che ci risultano comode e familiari.
Dio non è addomesticabile! 
Smettiamo di confinare il divino nelle nostre categorie. Lasciamo che la sua potenza ci sorprenda, ci trasformi.
(3) Dio si manifesta nell’ordinario
La Sua grazia disarmante e irresistibile continua a manifestarsi nei luoghi più inaspettati, attraverso le persone più ordinarie. 
La domanda che dobbiamo porci non è: "Non è costui il figlio di Giuseppe?", ma "Sono pronto ad accogliere la rivelazione di Dio, anche quando arriva da persone o in forme familiari che non mi aspetto?".
Dio continua a parlarci attraverso l’ordinario. L’eccezionale si nasconde nell’ordinario.
Agostino diceva: "Dio è più intimo a me di quanto io lo sia a me stesso."
Dio è così vicino, così intrinsecamente presente nella nostra realtà quotidiana, che rischiamo di non vederlo proprio perché non guardiamo abbastanza da vicino con gli occhi della fede.
Il vero cammino di fede non consiste nel cercare il divino solo nell’insolito, o nello spettacolare, ma nell’affinare lo sguardo per riconoscere la gloria di Dio che si nasconde - e insieme si rivela - nel tessuto stesso della nostra vita quotidiana. 
La vera sfida di fede non è credere nell’incredibile, ma riconoscere lo straordinario nel quotidiano, il divino nell’umano, l’eterno nel temporale.
Spesso cerchiamo il divino in esperienze straordinarie, ma come abbiamo visto, Dio si rivela nel quotidiano.
Si rivela nella Bibbia che leggiamo da anni, ma che improvvisamente illumina la nostra situazione attuale.
Si rivela nelle persone che diventano strumenti di grazia inaspettata.
Si rivela nei luoghi comuni. 
(4) Attenzione ai pregiudizi
Ciascuno di noi incontra i suoi “figli di Giuseppe”: persone, messaggi o situazioni che sottovalutiamo perché troppo familiari: 
Un parente, o un amico che ci dà una parola che non riusciamo ad accogliere.
Una verità di fede che abbiamo sentito tante volte da diventare scontata.
Un talento personale che non riconosciamo perché è sempre stato parte di noi.
La fede è un atto di coraggio: abbandoniamo le nostre resistenze e i nostri pregiudizi. Crediamo che Dio può usare chiunque, anche noi.
Che possiamo essere aperti a riconoscere le parole di grazia secondo la Bibbia quando le ascoltiamo, dovunque ci troviamo, da chi le ascoltiamo, a lasciarci trasformare dalla loro potenza, e a non permettere che la familiarità diventi un velo che nasconde il tesoro che abbiamo davanti. 
Questa settimana, ti invito a identificare lo straordinario nell’ordinario, e un “figlio di Giuseppe” nella tua vita – una persona o una verità familiare che potresti star sottovalutando – e chiedi a Dio nuovi occhi per vedere la Sua gloria che potrebbe essere nascosta proprio lì, nell’ordinario che hai davanti ogni giorno, e ringrazia Dio per Lui e che possa essere uno strumento potente nelle Sue mani!

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Dai frutti si riconosce l’albero (Matteo 7:16-20). Dai frutti si riconoscono i falsi profeti. Come fai a sapere se qualcuno è un falso profeta? C'è un modo per identificarlo? La risposta è "sì".  Il modo con il quale possiamo discernere un falso profeta, e quindi anche un falso credente è dai suoi frutti.  Infatti, anche se questo paragrafo è dedicato principalmente agli avvertimenti circa i falsi profeti, è anche una prova per tutti i veri credenti! Gesù al v. 15 esorta il suo uditorio, e quindi anche noi a guardarsi dai falsi profeti i quali vengono in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Ora ci dice che i falsi profeti si riconosceranno dai loro frutti. Noi vediamo tre aspetti riguardo i frutti: i frutti sono secondo la specie di albero, dimostrano la qualità dell’albero, segnano il destino dell’albero.

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