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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

La parabola del giudice ingiusto e della vedova insistente (Luca 18:1-5).

La parabola del giudice ingiusto e della vedova insistente 
(Luca 18:1-5). 
Un soggetto di preghiera spesso trascurato è la preghiera per il ritorno del Signore Gesù Cristo (cfr. Apocalisse 22:20).

Questa è la preghiera che sempre dovremmo fare, ed è il senso di questa parabola.

Questa parabola non dovrebbe essere separata dal discorso della fine dei tempi che Gesù aveva fatto precedentemente (Luca 17:20-37). 

Così, secondo il contesto, questa parabola non riguarda semplicemente il modo in cui si dovrebbe pregare, ma si riferisce direttamente alla preghiera perché il Signore venga e faccia giustizia.

Il senso lo troviamo in 2 Tessalonicesi 1:6-10 dove Paolo allude alla sofferenza dei cristiani e attende con ansia quel giorno quando il Signore Gesù ritornerà dal cielo con i suoi angeli in un fuoco fiammeggiante per fare vendetta (ekdikēsis- giustizia come Luca 18:7-8) di coloro che non conoscono Dio e di coloro che non obbediscono al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. 

In Apocalisse 6:10, i martiri gridano da sotto l'altare, supplicando il Signore di giudicare e vendicare il loro sangue (cfr. Apocalisse 19:2), una supplica per la giustizia finale.


Questa parabola assicura agli ascoltatori che il Signore prende nota della loro afflizione e agirà rapidamente per rendergli giustizia, ma avverte anche che devono rimanere fedeli quando ritornerà per salvarli.
Partiamo con il considerare lo:
I SCOPO DELLA PARABOLA (v.1). Lo scopo della parabola è scritto chiaramente nel v.1: “Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi”.

Gesù con questa parabola voleva che i Suoi discepoli dovevano perseverare nella preghiera.

Infatti “loro” (autois), dal contesto vediamo che si riferisce ai discepoli di Gesù (Luca 17:22), anche se è possibile che ci fossero presenti anche i farisei (Luca 17:20-21; 18:9).

Come dicevo nell’introduzione, questa parabola è legata al precedente discorso sulla fine dei tempi (Luca 17:22-37), e quindi al ritorno di Gesù Cristo  (cfr. anche v.8).

Queste parole presuppongono implicitamente che nei giorni futuri i discepoli di Gesù Cristo avranno  problemi (Luca 21:12-19,35-36). 

La preghiera è necessaria perché c’è un intervallo di tempo prima del giorno del ritorno di Gesù Cristo, un intervallo caratterizzato da periodi difficili, giorni segnati dalla persecuzione. 

I cristiani devono entrare nel regno di Dio attraverso molte persecuzioni (Luca 17:22, 33; 21:12-19; Giovanni 15:18-20; Atti 14:22; Filippesi 1:29).

Il punto di Gesù, allora è: i credenti devono continuamente pregare e non scoraggiarsi in mezzo alle tribolazioni che avranno mentre aspettano il Suo ritorno.

Quindi vediamo in primo luogo:
A)Il dovere della preghiera (v.1).
Il v. 1 dice: “Dovevano pregare”.
“Dovevano” (dein – presente attivo infinitivo) indica una cosa necessaria, importante, qualcosa che non va trascurata, che è inevitabile (cfr. Luca 15:32; Atti 5:29; 20:35).

“Pregare” (proseuchesthai – presente medio o passivo infinitivo) indica “parlare con Dio”, “invocare Dio”.

Certamente nella vita ci sono molte cose che dobbiamo fare, ma una cosa che non dobbiamo mai trascurare e perderci d’animo è la preghiera.

La preghiera non è un'opzione, è una cosa necessaria, una cosa che dobbiamo fare assolutamente!

La preghiera deve essere preminente nella nostra vita!

Anche Paolo lo ricorderà per esempio in 1 Tessalonicesi 5:17: “Non cessate mai di pregare”. (cfr. Efesini 6:18).

In secondo luogo consideriamo:
B) La dedicazione nella preghiera. (v.1).
“Dovevano pregare sempre”.
“Sempre” parla della dedizione alla preghiera.

“Sempre” (pantote) non significa pregare in ogni momento senza una pausa, si riferisce a essere costanti, perseveranti, a non essere tentati di fermarsi quando la risposta non arriva, quando è in ritardo. 

Significa non arrendersi quando la preghiera sembra senza risposta.

Dobbiamo sempre pregare senza cedere (Isaia 62:6-7).

“Sempre” include il fatto che dobbiamo pregare sia nei momenti belli che in quelli brutti. 

Dovremmo pregare sia quando siamo nella prosperità sia nella sofferenza.

Noi dobbiamo essere dedicati alla preghiera indipendentemente dalla situazione che stiamo vivendo.

“Sempre”, dunque significa, avere continuamente uno spirito di preghiera, pronti a pregare in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza!

Quindi vediamo:
C) La determinazione nella preghiera.
“E non stancarsi”.

Lo stanchezza è un problema sempre presente nella propria vita di preghiera.

“Stancarsi” (ekkakein - presente attivo infinitivo) è “perdere il cuore”, “essere debole” “essere scoraggiato” “perdersi d’animo”, con il senso di essere stanco e perdere la speranza (2 Corinzi 4:1,16; Galati 6:9; Efesini 3:13; 2 Tessalonicesi 3:13).

“Stancarsi” significa tralasciare la preghiera per effetto dello scoraggiamento.  

Pregare può essere scoraggiante quando: le richieste di giustizia sono inascoltate (v.3), quando le risposte sono ritardate (vv.4,7), quando si piange giorno e notte (v.7). 

In questo contesto, la preghiera è una lotta esistenziale, continua e sempre presente contro lo scoraggiamento.

Charles H. Spurgeon riguardo lo scoraggiamento disse: “Si insinua nel mio cuore e mi fa andare pesantemente al mio lavoro ... È terribilmente indebolente”.

Uno degli ostacoli alla preghiera è lo scoraggiamento, e non penso sia sbagliato dire anche che sia uno strumento del diavolo, infatti farà di tutto per farci perdere la fede ( cfr. 1 Tessalonicesi 3:5; 1 Pietro 5:8-9).

Il diavolo, secondo una leggenda, una volta pubblicizzava i suoi strumenti in vendita all'asta pubblica. Quando i potenziali compratori si sono riuniti, c'era uno strumento dalla forma strana etichettato come “Non in vendita”. Alla domanda di spiegare perché questo non fosse in vendita, il diavolo rispose: “Posso dare gli altri miei strumenti, ma questo non posso darlo. È lo strumento più utile che ho. Si chiama scoraggiamento e con esso posso aprirmi la strada anche in quei cuori inaccessibili. Quando riesco a mettere questo strumento nel cuore di un uomo, la via è aperta per piantare qualsiasi cosa io desidero”.

Allora “non stancarsi” indica:
(1)La costanza.
Significa “non arrendersi” ed esprime l'aspettativa che Dio risponderà.

Quindi “non stancarsi” si riferisce che i discepoli non devono smettere di credere che Dio risponderà, e così non devono rinunciare a pregare.

È necessario continuare a pregare nonostante la risposta ritarda ad arrivare.

Il discepolo di Gesù deve continuare a guardare a Dio sicuro che Egli adempirà le Sue promesse. 

È necessario continuare a pregare nonostante le difficoltà, i problemi, del tempo presente, nonostante Gesù Cristo è continuamente disonorato, disprezzato e rifiutato, e la Parola di Dio è attaccata, criticata e negata.

È necessario continuare a pregare nonostante le pressioni della vita ci fanno desiderare di rinunciare alla nostra fede cristiana. 

È necessario continuare a pregare quando le altre persone ci spingono ad abbandonare a seguire il Signore.

È necessario continuare a pregare anche quando la pura e semplice ingiustizia ci circonda.

Per che cosa dobbiamo pregare? Vediamo:
(2) Il contenuto.

Come ho detto nell’introduzione, noi secondo questa parabola, siamo chiamati a pregare in modo particolare per il ritorno del Figlio dell'uomo, di Gesù e che Dio faccia giustizia come ci fanno capire i vv. 7-8. (Per preghiere simili Luca 11:2; 22:42; Atti 4:25-30; 12:5).

I discepoli di Gesù Cristo vivono la loro fede in un mondo ostile, desidereranno che Dio faccia giustizia e che Gesù ritorni presto (Luca 17:22; 18:7-8).

La preghiera, allora deve essere in connessione con il desiderio del ritorno di Gesù Cristo e della giustizia che recherebbe.

Il punto è che nel mezzo della persecuzione (cfr. Luca 17:22-37), il discepolo non deve smettere di pregare per il ritorno di Gesù Cristo, il Figliol dell’uomo e della giustizia che porterà.
Fino alla seconda venuta di Gesù, i cristiani non devono stancarsi e smettere di pregare (cfr. Luca 21:36), soprattutto per il Suo ritorno (cfr. Luca 11:2; 1 Corinzi 16:22; Apocalisse 6:9-10; 22:20).

Quando i discepoli affrontano la persecuzione e il martirio per la loro fede, quando le situazioni sono davvero così difficili, saranno particolarmente ansiosi di vedere i giorni del Figlio dell'uomo (Luca 17:22) e potrebbero cadere nello scoraggiamento quando non vedono nessuna liberazione, allora è importante continuare a pregare!

Quindi lo scopo della parabola è particolarmente orientato verso la necessità di una fede tenace e piena di speranza in mezzo alla persecuzione.

Lo scopo di Gesù è incoraggiare i discepoli a pregare fino al ritorno di Gesù e non abbandonare la speranza.

Quindi si parla anche di:
(3) Consacrazione.
“Dovevano pregare sempre e non stancarsi” potrebbe essere un riferimento alla fede, alla fedeltà.

Il discepolo è sfidato a non essere uno di quelli che si scoraggia e non ha più la fede quando ritornerà il Figlio dell'uomo.

“Stancarsi” potrebbe essere l’opposto di fede, quindi di fedeltà, secondo quello che leggiamo nel v.8.

Così, in questo senso, la preoccupazione di Gesù è che i Suoi discepoli non comincino a comportarsi in modo remissivo.

Allora la preghiera a cui si riferisce Gesù in questo contesto è anche l’antidoto allo spirito remissivo nel discepolato.

Quindi “pregare” in questo contesto, è  un modo di dire avere sempre una fede dinamica in Dio.

Nelle circostanze più disperate, i discepoli devono continuare a chiedere ostinatamente e intensamente e a non desistere mai. 

Non devono rilassarsi, o scoraggiarsi in mezzo alle difficoltà, lasciandosi andare, interrompendo la perseveranza prima di raggiungere il proprio obiettivo; rinunciare piuttosto che continuare la lotta. 

Quindi, sul piano morale, l'esortazione è di superare la letargia, e l'angoscia nella tribolazione!
Non bisogna cedere mai, ma al contrario, i discepoli devono superare la fatica e continuare senza cedere, o diventare morbidi, fiacchi.

“Stancarsi” può esprimere l'idea di arrivare a un punto d’insuccesso, e in secondo luogo assume implicitamente  la conseguenza dello scoraggiamento, della disperazione, della stanchezza.

Consideriamo ora: 
II LA STORIA DELLA PARABOLA (vv.2-5). 

C’è un:
A) Responsabile della giustizia.
Nel v.2 leggiamo: “In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno”.

“Giudice” (kritḗs) qui si riferisce a un uomo di spicco di una piccola città, nominato per giudicare, e non si riferisce  a un funzionario di un sistema giudiziario organizzato.

Il giudice era probabilmente ebreo e un uomo potente, un membro dell'élite urbana e avrebbe una posizione d'onore, dal momento che i Romani permettevano agli ebrei di gestire molti dei loro affari legali. 

Secondo alcuni studiosi, molto probabilmente questo giudice non presiedeva un tribunale religioso, ma civile. 

Non governava sulle questioni significative della legge dell'Antico Testamento, ma sull'applicazione della legge agli affari della vita quotidiana (cfr. Matteo 5:25; Luca 12:14). 

Comunque era sempre un impegno molto serio davanti a Dio.

A questo giudice mancavano principi morali e umani.
Non era interessato al primo comandamento, ad amare Dio, e nemmeno al secondo comandamento, ad amare il suo prossimo (cfr. Luca 10:27).

Albert Barnes scriveva: “Questo giudice non ha avuto rispetto per Dio, e di conseguenza nessun rispetto per i diritti dell'uomo. Queste due cose vanno insieme. Non ci si può aspettare che chi non ha riguardo per Dio ne abbia per l'uomo”.

Non solo era immorale, ma era anche a suo agio in questa condizione come vediamo nel v.4.

La descrizione di Luca del giudice ricorda la descrizione dello storico ebreo Giuseppe riguardo il re siriano di nome Jehoiakim (o Joakeimos, sesto secolo a.C.) diceva di lui che non era “Né riverente verso Dio né gentile verso l'uomo”.

Quindi vediamo che il giudice era:
(1) Irreligioso. (vv.2,4).
“Non temeva Dio” (v.2).

Il giudice non era un capo religioso e nemmeno una persona religiosa, è scritto che “non temeva Dio”, e questo significa che non onorava, non mostrava riverenza, non aveva rispetto (phoboumenos – presente medio o passivo participio) per Dio.

Questo giudice era un uomo senza Dio, irreligioso,  senza scrupoli religiosi, non rispettava  i comandi di Dio. 

C’è un nesso tra essere timorati di Dio e osservare i comandamenti, come se il timore del Signore fosse il presupposto per l’osservanza dei comandamenti di Dio (Deuteronomio 5:29; 8:6; 10:12; 13:4; 31:12); 

Ciò che è importante per questa parabola, è  che temere il Signore è il contrario dell’ingiustizia (Levitico 25:17, 36,43) e la base per formulare una sentenza saggia (Salmo 111:10). 

Un giudice che non teme Dio non può giudicare rettamente!

Ogni Israelita doveva temere Dio (Levitico 19:14,32; Deuteronomio 6:13; 14:23; 17:13; 19:20); quindi anche i giudici, possiamo dire soprattutto i giudici.

Un giudice che deve giudicare secondo giustizia è quello che crede, afferma e pratica la legge di Dio (Deuteronomio 1:16; 16:18-20; cfr. Zaccaria 7:9).


Quando Giosafat nominò giudici in tutte le città di Giuda, una delle caratteristiche che dovevano avere era il timore del Signore (2 Cronache 19:7-9), ma questa caratteristica non era presente nel giudice di questa parabola!

Purtroppo, i giudici erano spesso corrotti, infatti attraverso il profeta Amos, Dio ammonisce la corruzione nei tribunali (Amos 5:10-15).

Il giudice era anche:
(2) Irrispettoso.
“E non aveva rispetto per nessuno”(v.2).

Non avendo timore di Dio, non aveva di conseguenza rispetto per le persone.

“Non aveva rispetto” (entrepomenos - presente passivo participio) significa “essere messo alla vergogna” (cfr. 2 Tessalonicesi 3:14; Tito 2:8).

La cultura mediorientale di allora era basata sulla vergogna e sull'onore. 
Le persone cercavano di fare ciò che avrebbe portato loro l'onore in pubblico, ed evitavano a ogni costo di fare qualsiasi cosa che potesse portare loro vergogna pubblica. 

Quindi, il punto è che questo giudice era spudorato, non si vergognava davanti le persone, era incapace di provare vergogna, si comportava indifferentemente secondo ciò che la gente pensava potesse essere giusto, quindi anche in modo immorale.

Se la gente gli avesse detto per un comportamento immorale, ingiusto: “Vergognati!”, a lui non interessava, perché lui non provava vergogna, non aveva timore di Dio!
Tutti le critiche, o gli appelli alla giustizia, gli scivolavano addosso!

Dal contesto, comunque può essere anche, o legato a questo, che il giudice non rispettava le persone (Luca 20:13), non gli prestava attenzione, non aveva riguardo verso di loro, e poteva anche esserci disprezzo per chi comparisse davanti a lui.

Questo giudice, era insensibile ai problemi delle persone, non gli importava niente dei loro diritti, non aveva compassione per nessuno come anche per questa vedova.

Questo giudice non era altro che un egoista, senza amore per Dio e il prossimo, i buoni sentimenti erano a lui estranei.

Alcuni studiosi pensano che erano anche corrotti, nel senso che prendevano mazzette e quindi senza di queste non si muovevano.

Da una persona così immorale ricevere una giustizia era impossibile anche per una povera e indifesa vedova.

Il giudice ingiusto è in netto contrasto con il Signore: perché non ama le persone e non è santo!

C’è quindi:
B) La richiesta di una vedova (vv.3-5).
Nel v.3 è scritto: “E in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: ‘Rendimi giustizia sul mio avversario’”.

Vediamo prima di tutto:
(1) La condizione della vedova.
Il secondo personaggio della storia è una vedova. 

Non doveva essere molto vecchia, poiché in questa cultura le donne si sposavano a tredici, o quattordici anni e le vedove erano spesso piuttosto giovani. 

In un'epoca in cui i servizi sociali dipendevano quasi esclusivamente dalla carità delle persone, le vedove, gli orfani, i malati, e i bisognosi erano esposti a un'esistenza sociale molto precaria.

La vedova in quella società, aveva molte difficoltà. 

(a) Come donna non era permesso di parlare in tribunale.

(2) Non aveva un marito, o dei parenti maschi che potevano parlare per lei.
In Israele il legame di una donna con la comunità dipendeva in gran parte da un membro della famiglia maschio, un padre nel caso di una figlia, un marito nel caso di una moglie, un figlio nel caso di una mamma. 

Questa vedova non aveva un maschio per difendere la sua causa, lasciandola particolarmente indifesa e vulnerabile.

Infatti:
(3) Le vedove erano una parte della società oppressa e spesso sfruttata.
La vedovanza simboleggiava lo stato ultimo di vulnerabilità, di privazione e di bisogno, erano spesso disprezzate e in preda all'uomo senza principi.

Le vedove più ricche a volte erano spesso truffate da uomini avidi e astuti, persino anche dai capi religiosi (Matteo 23:14).

(4) Di solito essere vedove significava essere povere. 
Quindi questa donna, probabilmente, non aveva così i soldi con i quali avrebbe potuto pagare una tangente per risolvere la sua causa, visto che c’era anche molta corruzione.

Questa vedova sembra che non avesse nessuna influenza sociale e lotta  contro un sistema giudiziario corrotto.

Passiamo ora a considerare:
(2) La petizione della vedova (v.3).
Nel v.3 è scritto:”La quale andava da lui e diceva: ‘Rendimi giustizia sul mio avversario’”.

Noi non conosciamo la natura del problema di questa donna, ma c’era qualcosa di grande che appesantiva il suo cuore.

“Rendimi giustizia sul mio avversario”, è un linguaggio legale.

La vedova implora al giudice i suoi diritti.

È una richiesta forte, perché non chiede per favore, ma gli ordina (rendimi giustizia – ekdikēson - aoristo attivo imperativo), quindi era una situazione davvero drammatica.

Chiede giustizia, di agire in suo favore, o di punire la controparte, l’accusato.

Il senso di questo discorso è fare appello alla giustizia contro qualcuno che l'ha danneggiata (avversario – antidikou), un avversario in senso legale, con cui si è in causa, che l’aveva trattata ingiustamente.

Probabilmente era una questione di soldi, forse era stata derubata di quel poco che aveva, o forse  non aveva ottenuto la sua parte legittima della proprietà di suo marito, o forse è stata sfrattata dalla sua casa, o forse voleva che venisse punito l’autore di un reato contro di lei  (Atti 7: 24; 2 Corinzi 10:6; Apocalisse 6:10; 19:2).

Comunque voleva quello che le era dovuto, o un pagamento, o un appello alla vendetta, o la protezione contro le azioni illegali del suo avversario, o dai suoi attacchi. 

Comunque sia, l'attenzione è rivolta a ricevere ciò che le era dovuto.

Voleva una decisione giusta ed è implicito che il diritto fosse dalla sua parte. 

Vediamo:
(3) La determinazione della vedova (vv.3,5).
Nel v.3 leggiamo:”La quale andava da lui”.

Quindi ecco una vedova indifesa contro un giudice irreligioso e irrispettoso che sceglie di ignorarla, sembra che abbia poche speranze di ottenere la giustizia che cerca, quindi usa l'unica arma che ha: la persistenza. 

La vedova non aveva altra arma che la propria determinazione: l’andare e il ritornare con insistenza.

La sua persistenza indica che la sua situazione finanziaria era disperata e che lei avesse ciò che era suo di diritto.

 “Andava” (ērcheto - imperfetto medio, o passive indicativo) indica che andava ripetutamente (tempo imperfetto nel greco con valore iterativo), quindi i suoi appelli erano ripetuti.
La donna indifesa e impotente si appellava al giudice ripetutamente per avere giustizia.

La disperazione della vedova la rendeva così determinata, insistente da andare costantemente dal giudice per chiedergli giustizia.

Questo è confermato anche dal v.5 dove troviamo scritto le parole del giudice:”Continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa”.

Vediamo allora:
C)La reazione del giudice (vv.4-5).

C’è:
(1)Una prima risposta negativa (v.4). 
Nel v.4 leggiamo: “Egli per qualche tempo non volle farlo”.
Il filosofo greco Plutarco racconta di una povera vecchia che supplicò per avere giustizia, Filippo di Macedonia, padre di Alessandro Magno, senza avere successo. 
Quando Filippo disse alla donna che non aveva tempo per lei, la donna esplose: “Allora smetti di essere re!” Stupito, Filippo ascoltò il suo caso, e anche quello degli altri.

Come ho detto prima, questo giudice non era interessato alla giustizia ed era senza compassione verso la vedova, non era commosso dalla sua sofferenza, e non gli importava niente di cosa poteva pensare il popolo.

Manson riguardo il giudice dice: "Né le leggi di Dio né l'opinione pubblica possono agitare la sua coscienza". 

Secondo la Bibbia le vedove dovevano essere trattate con giustizia e misericordia, e quindi qualsiasi giudice timorato di Dio lo avrebbe fatto(cfr. Esodo 22:22-24; Deuteronomio 24:17; 27:19; Salmo 68:5; Isaia 1:17,23; Geremia 7:6;22:3; 1 Timoteo 5:3,16; Giacomo 1:27), ma questo giudice non lo era  e quindi non l’aiutò per un po' di tempo.

“Non volle farlo” (ouk ēthelen - imperfetto indicativo attivo) indica secondo il tempo imperfetto nel greco che il giudice ha continuato a rifiutare la richiesta della vedova.

Ogni volta che questa donna veniva a chiedere giustizia, il giudice rifiutava di aiutarla.

Dal contesto “per qualche tempo” sembra un tempo lungo.

La reazione del giudice andava di pari passo con la ripetuta venuta e richiesta della vedova.

Il giudice non ha voluto prendere una decisione, non ha fatto niente, non ha reso giustizia alla vedova, il motivo non ci viene detto, se non che era irreligioso e irrispettoso verso le persone, senza compassione.

Troviamo: 
(2)Una seconda risposta positiva (vv.4-5).
Nei vv. 4-5 è scritto: “Ma poi disse fra sé: ‘Pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa’”.

Dopo aver temporeggiato per un po’, il giudice ragionando poi acconsente, cambia idea.

“Disse fra sé” riflette un modo dire ebraico per indicare una riflessione e una determinazione interiore ad agire (cfr. Luca 12:17).

Il giudice pur riconoscendo, forse anche con orgoglio, la sua reputazione d’irreligioso e irrispettoso, cambia idea dopo l’insistenza della vedova: ora vuole rendergli giustizia.

Questo giudice era come gli israeliti ai tempi di Geremia che non si vergognavano dei loro peccati!  (Geremia 8:12).

“Continua a importunarmi” (parechein moi kopon) è “mi causa, o mi crea problemi”, o “mi dà fastidio, continua a tormentarmi”. (cfr. Luca 11:7).

Secondo il giudice, la vedova stava causando problemi a lui per il suo persistente tentativo di ottenere giustizia. 

Stava distruggendo la sua comodità e pace personale.

“Venendo a insistere” (erchomenē presente medio o passivo participio)  indica un’azione costante.

Come abbiamo già visto al v.3, la vedova andava ripetutamente per  persuadere il giudice a farle giustizia, così “venendo a insistere” indica un’azione ripetuta e come ho detto prima anche abbastanza a lungo, infatti il giudice comincia a stancarsi.

I motivi per cui farà giustizia alla vedova non sono stati per motivi nobili e morali, ma sono stati egoistici, e sono due: 1)la vedova continua a importunarlo, e 2)venendo a insistere, finirà per rompergli la testa.
“Finisca” (telos) può indicare:  “alla fine”, cioè la vedova venendo sempre, con la sua persistente richiesta alla fine gli romperà la testa.

Oppure può avere il significato di “completamente, totalmente, assolutamente”, nel senso dell’azione della vedova.

“Per rompermi la testa” (hupōpiazē me)  “è colpire sotto gli occhi”, o “fare un occhio nero”.
Raffigura una faccia gonfia, o sfigurata, colpita da pugni, piena di lividi e macchie nere e blu.
(hupōpiazē – presente attivo congiuntivo). 

Il senso primario di questo verbo è quello di colpire in faccia come nel pugilato tanto renderlo stanco, indebolito.
Il verbo deve essere considerato figurativamente per indicare che la sua ripetuta venuta lo lascia malconcio e contuso emotivamente.

Con la sua persistenza la vedova lo poteva infastidire e stressare grandemente, logorare emotivamente.

La sua costante venuta distruggerebbe la tranquillità mentale del giudice e la sua pazienza.

Esasperato e logorato dalle continue richieste implacabili di questa donna il giudice cederà, gli farà giustizia.

Così la costante richiesta della vedova ha avuto successo. 

Quindi, anche se il giudice era così spietato e ingiusto, alla fine decide di rivendicare la sua causa; non perché il suo atteggiamento cambiò moralmente, ma perché era stanco e  terrorizzato che la vedova avrebbe continuato a tormentarlo con la sua persistenza e lo avrebbe privato della sua tranquillità.

Ecco l'esempio che la preghiera dei discepoli dovrebbe imitare: una preghiera incessante e Dio certamente farà giustizia come dirà nei vv.7-8.

Questo è ciò che vuole insegnare la parabola!

CONCLUSIONE
Anche se questa parabola primariamente vuole incoraggiarci a pregare che Gesù ritorni presto e quindi che faccia giustizia; questa parabola ci esorta a pregare sempre e a rimanere fedeli al Signore, e a non scoraggiarci anche quando siamo sotto pressione, sotto le varie prove.

Siamo d’accordo con François Fenelon quando dice: “Il tempo trascorso nella preghiera non viene mai sprecato”.

La preghiera dovrebbe essere la chiave del giorno, dobbiamo iniziare la giornata pregando e deve essere la serratura della sera, dobbiamo chiudere la giornata sempre pregando.

La preghiera non è la cosa minima che possiamo fare, ma è una delle cose più importanti, se non la più importante, insieme alla meditazione e allo studio della Bibbia, che Dio ci dato e vuole che pratichiamo.

John Blanchard afferma: “Abbiamo bisogno di più cristiani per i quali la preghiera è la prima risorsa, non l'ultima”.

La preghiera è l’ esercizio della nostra fede, ci fa capire la natura della nostra fede, è una prova della nostra devozione a Dio.

“La misura di ogni cristiano è la sua vita di preghiera” disse Vance Havner.

Il cristiano troverà sempre uno spazio di tempo durante la giornata per pregare anche se la giornata è piena d’impegni!




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