Salmo 107:6-7: Smarriti e ritrovati (2) Il GPS di Dio nel deserto della vita “Ma nella loro angoscia gridarono al SIGNORE ed egli li liberò dalle loro tribolazioni. Li condusse per la retta via, perché giungessero a una città da abitare”. Il vagare nel deserto spirituale contemporaneo riflette la profonda ricerca umana di autenticità in un mondo frammentato. Cerchiamo costantemente quella “città da abitare” che solo un incontro genuino con il trascendente può offrire - la Bibbia si riferisce al Signore. J. Mary Luti ci ricorda: “A volte le persone che vagano non sanno quanto siano perdute. Quando se ne accorgono, spesso sono così lontane che nessun aiuto sembra possibile. Afflitte dall’inquietudine tipica dell’Occidente benestante, vagano da un matrimonio all’altro, da una dieta all’altra, da un percorso spirituale all’altro, da una droga all’altra. Per l’anima senza meta, frenetica di appetiti, nulla può soddisfare se non l’amore di Dio che dà fondamento e orie...
Salmo 107:6-7: Smarriti e ritrovati (2)
Il GPS di Dio nel deserto della vita
“Ma nella loro angoscia gridarono al SIGNORE ed egli li liberò dalle loro tribolazioni. Li condusse per la retta via, perché giungessero a una città da abitare”.Il vagare nel deserto spirituale contemporaneo riflette la profonda ricerca umana di autenticità in un mondo frammentato.
Cerchiamo costantemente quella “città da abitare” che solo un incontro genuino con il trascendente può offrire - la Bibbia si riferisce al Signore.
J. Mary Luti ci ricorda: “A volte le persone che vagano non sanno quanto siano perdute. Quando se ne accorgono, spesso sono così lontane che nessun aiuto sembra possibile. Afflitte dall’inquietudine tipica dell’Occidente benestante, vagano da un matrimonio all’altro, da una dieta all’altra, da un percorso spirituale all’altro, da una droga all’altra. Per l’anima senza meta, frenetica di appetiti, nulla può soddisfare se non l’amore di Dio che dà fondamento e orientamento”.
La vera dimora dell’anima non si trova nell’accumulo di esperienze, o possessi, ma nel riconoscere e accogliere la presenza divina che, come per gli Israeliti nel deserto, ci guida “per la retta via” verso il nostro vero rifugio.
Allora gridiamo al Signore!
In questi versetti vediamo: la disperazione degli smarriti, la deliberazione del Signore.
Cominciamo con:
I LA DISPERAZIONE DEGLI SMARRITI
“Ma nella loro angoscia gridarono al SIGNORE ed egli li liberò dalle loro tribolazioni” (v.6).
Come canta Pino Daniele in una delle sue canzoni più intense “Disperazione”, dell’album “Musicante” del 1984:
“Ma po' 'a disperazione
ca te piglia int’o suonno
e te fa scummiglià’
e nce 'a purtammo appriesso
e quacche vòta è doce...”
La disperazione – dice Pino – è come un’ombra che ci sorprende anche nel sonno, ci scompiglia, ci segue giorno dopo giorno.
È un dolore che si annida nell’anima e, a volte, per assurdo, diventa familiare, quasi dolce.
Ma la disperazione non è il punto d’arrivo: è il segnale che abbiamo toccato il fondo... ed è proprio lì che può nascere il grido che salva.
La parola Ebraica per “angoscia” (baṣṣar) è essere in uno stato di intensa difficoltà (cfr. per esempio Genesi 32:7; Giudici 2:15; 10:9; 1 Samuele 30:6; 2 Samuele 13:2; Giobbe 20:22); uno stato oppressivo di avversità, essere confinato, essere imprigionato (cfr. per esempio 2 Samuele 20:3).
A volte questa condizione è usata da altri (cfr. per esempio Salmo 6:7; 7:4; 74:4; Isaia 11:3).
L’immagine è quella di un posto stretto e oppressivo, da qui deriva il senso di angoscia di qualsiasi tipo, come se si fosse schiacciati, o compressi dolorosamente in uno spazio angusto (cfr. per esempio Isaia 49:19-20).
Questo grido salvifico è precisamente ciò che le Sacre Scritture catturano nella potente parola Ebraica tradotta qui con “gridarono” (yiṣʿăqû).
Non è una semplice preghiera formale o un semplice lamento, ma un grido disperato che cerca aiuto, un’invocazione urgente in una circostanza difficile, angosciosa (cfr. per esempio Genesi 41:55; Numeri 12:3; Salmo 107:28); come il grido di angoscia degli Israeliti al Signore per essere liberati dalla schiavitù Egiziana (Numeri 20:16; Deuteronomio 26:7; Neemia 9:27; cfr. per esempio Esodo 2:23-25; 14:10).
È il grido forzato che nasce quando tutte le altre risorse falliscono, una preghiera che emerge dall’estremo limite delle risorse umane, come quelle persone di cui parla questo salmo che erano affamate e assetate nel deserto.
È l’ammissione della propria incapacità e della necessità di dipendere dal Signore.
Applicandolo al deserto interiore ci ritroviamo smarriti, non troviamo la strada per raggiungere la nostra terra promessa, vaghiamo senza riparo, senza pace, senza un luogo dove posare il nostro spirito stanco.
La fame spirituale ci consuma. Nessuna “manna” cade dal cielo per nutrirci. Sentiamo le gambe cedere sotto il peso della disperazione.
Solo quando ogni speranza umana svanisce, quando le forze si consumano, quando ogni risorsa personale si esaurisce, e i sostegni crollano, nasce il vero grido dell’anima.
Non una preghiera di convenienza, ma un’invocazione autentica che emerge dall’abisso.
E proprio in quel momento – nell’istante in cui riconosciamo la nostra totale impotenza - avviene l’incontro.
Il grido disperato attraversa il silenzio dei cieli, e Dio risponde.
Come insegna Giovanni della Croce, nella notte oscura dell’anima la disperazione può essere l’ultima prova prima dell’incontro con Dio.
A volte dobbiamo perderci completamente per essere veramente trovati.
Qui vediamo una verità che resiste nel tempo: molti non pregherebbero mai, se non fossero spinti dalla disperazione estrema, come disse con profonda saggezza Spurgeon: “Non pregarono fino a quando non furono in difficoltà, ma la misericordia è che allora pregarono, e pregarono nel modo giusto, con un grido, e alla persona giusta, sì, al Signore. Non restava loro nient’altro da fare; non potevano aiutare sé stessi, o trovare aiuto negli altri, e quindi gridavano a Dio. Le suppliche che ci vengono imposte da una dura necessità non sono meno accettabili presso Dio; anzi, hanno una prevalenza tanto maggiore, in quanto sono evidentemente sinceri e fanno un potente appello alla pietà divina. Alcuni uomini non pregheranno mai fino a quando non saranno mezzi affamati, e per i loro migliori interessi è molto meglio per loro essere vuoti e deboli piuttosto che essere pieni e coraggiosi. Se la fame ci mette in ginocchio, ci è più utile del banchettare; se la sete ci spinge alla fonte, è meglio delle più profondi sorsi della gioia mondana; e se lo svenimento porta al pianto, è meglio della forza del potente”.
Questa invocazione rivela un aspetto fondamentale della fede Biblica: l’idea che Dio ascolta e risponde al grido degli afflitti non per obbligo legale, ma perché è toccato dal grido di angoscia, come lo sarebbe qualsiasi persona sensibile.
Questa verità, semplice e profonda, attraversa tutta la storia della salvezza: Dio ascolta il grido dell’afflitto. Sempre: dalla liberazione dall’Egitto (Esodo 3:7) alle confessioni che commemorano questa liberazione (Numeri 20:16; Deuteronomio 26:7), fino ai salmi di fiducia individuale (Salmo 22:5; 34:17) e comunitaria (Salmo 107:6,13,19,28).
Il secondo aspetto che troviamo in questi versetti è:
II LA DELIBERAZIONE DEL SIGNORE
“Egli li liberò dalle loro tribolazioni” (v.6).
“Quando l’uomo tocca il fondo della disperazione, scopre che Dio lo stava aspettando lì” (Paul Tillich).
Quando l’uomo tocca il fondo della disperazione, scopre che Dio lo stava aspettando lì!
Il deserto è spesso la scuola di Dio: un luogo senza strade né città, privo di punti di riferimento umani.
Ma proprio lì — dove tutto viene meno — Dio si fa presente come guida e soccorritore.
A volte Dio non ci evita il deserto – ma non ci lascia mai soli nel deserto!
È nel momento in cui crollano le nostre certezze che si apre lo spazio per un incontro autentico con il Signore.
Il deserto Biblico diventa così più di un luogo fisico: è una metafora spirituale, l’arena dove si manifesta la debolezza umana e la potenza redentrice di Dio.
Nel deserto non c’è strada, non c’è città. Ma c’è Dio! È proprio quando le nostre sicurezze e certezze quotidiane vengono meno che possiamo incontrare Dio in modo più profondo.
Il deserto Biblico diventa così non solo un luogo fisico, ma un’esperienza spirituale in cui l’assenza di risorse umane crea lo spazio per un incontro vero con Dio.
“Signore” (Yahweh) è il nome di Dio legato al Suo popolo attraverso il patto; ricorda la Sua relazione speciale con Israele e la Sua fedeltà alle promesse (cfr. per esempio Esodo 3:15; 6:7; Levitico 26:12; Deuteronomio 7:9; Salmi 106:44-45).
Questo nome indica l’auto-esistenza, l’indipendenza, il ruolo del Signore come creatore e sostegno di tutte le cose, nonché la Sua presenza attiva e il Suo intervento per liberare.
La liberazione di Dio non è mai in ritardo, anche se raramente arriva in anticipo!
La redenzione è un’iniziativa di Dio, non una conquista dell’uomo!
L’iniziativa di Dio in questo atto di salvezza è fondamentale, poiché è primariamente un Suo intervento di grazia, non un risultato dello sforzo umano (Esodo 3:8; cfr. per esempio Deuteronomio 7:7-8).
Nel v.8 ci fa capire che questa salvezza è per la bontà del Signore e per i Suoi prodigi in favore degli uomini, ed è per questo che va celebrato.
Non gridano a un Dio generico, o a un’entità cosmica impersonale, ma al Dio della rivelazione, il Dio del patto che libera, infatti “li liberò” (yaṣṣîlēm), cioè “li ha strappati via”, come togliere una preda dalla bocca di un animale, “li ha salvati da un pericolo imminente”, “li ha portati fuori”, suggerendo un intervento attivo e potente.
La strettezza della tua situazione non è un limite per la grandezza del tuo Dio! Infatti, la salvezza non è un consiglio per migliorare la situazione, ma un atto potente e decisivo che cambia radicalmente le circostanze.
Dio non ci dà una mappa migliore nel deserto, ma ci prende in braccio e ci porta fuori dal deserto.
Non si tratta semplicemente di aiutare, ma di separare completamente il popolo dalla loro angoscia, risparmiarlo e portarlo al sicuro dal pericolo e quindi trovandosi così in circostanze più favorevoli.
Questo implica un’azione energica e decisiva da parte di Dio, non un semplice miglioramento graduale della situazione.
Il termine porta con sé l’idea di un’azione di separazione decisiva - Dio interviene per rimuovere il Suo popolo da una situazione di pericolo da cui non avrebbero potuto liberarsi da soli.
La potenza di questo verbo sta nella sua concretezza: Dio non offre solo conforto emotivo o spirituale, ma agisce con potenza nel mondo reale per cambiare radicalmente la situazione del Suo popolo.
È un’azione divina che trasforma la realtà, portando i Suoi dalla morte alla vita, dal pericolo alla sicurezza, dalla disperazione alla speranza.
Quando il salmista usa questo verbo, evoca tutta la storia della salvezza di Israele: l’esodo dall'Egitto, la liberazione dai nemici, il ritorno dall’esilio, momenti in cui Dio ha letteralmente “strappato via” il Suo popolo da situazioni impossibili, dimostrando la Sua fedeltà al patto.
“Dalle loro tribolazioni” (mĕṣûqôtêhem) si riferisce a situazioni di grande afflizione, angoscia, o difficoltà. Richiama situazioni di oppressione estrema, costrizione psicologica, stress, angoscia causata da circostanze esterne.
È come essere spinti in un angolo, senza vie d’uscita.
Indica essere spinti in un angolo, una condizione psicologicamente stressante e terrificante generalmente causata da circostanze esterne.
Come “angoscia” indica una situazione di costrizione e oppressione, infatti la parola viene da una radice (ṣwq) che significa letteralmente “strettezza, ristrettezza”.
Le tribolazioni non sono un segno dell’assenza di Dio, ma l’opportunità per la presenza di Dio!
E infatti, le nostre tribolazioni non sorprendono Dio – sono l’arena dove Lui mostra la Sua potenza!" Ecco perché possiamo affermare con fiducia:
Ciò che ti tiene prigioniero oggi diventerà domani la testimonianza della tua liberazione!
Allora le parole “angoscia” e “tribolazioni” usate insieme in questo versetto, creano un’enfasi sulla gravità della situazione di difficoltà da cui Dio libera.
Nelle tue tribolazioni più profonde, scopri le liberazioni più potenti!
C’è la liberazione per eccellenza, quella operata da Cristo, che ci libera dal peccato e dalla morte. Come Dio ha agito nella storia per Israele, così ha agito in modo supremo nella croce e nella risurrezione (cfr. per esempio Colossesi 1:13; Ebrei 2:14-15).
La potenza salvifica di Dio si è fatta carne in Gesù.
Sulla croce, Dio non ha solo parlato: ha agito. E la Sua azione ha spezzato le catene invisibili del peccato.
Prego che: il tuo grido oggi diventerà il tuo canto domani!
Infine, vediamo:
III LA DIREZIONE DEL SIGNORE
Nel v.7 leggiamo: “Li condusse per la retta via, perché giungessero a una città da abitare”.
Ci sono momenti nella vita in cui ci sentiamo persi nel deserto: senza direzione, senza pace, senza sapere dove stiamo andando. A volte è un deserto fatto di scelte sbagliate, altre volte di sofferenza, confusione o semplice stanchezza.
Ma se ci affidiamo al Signore, Egli non ci lascia vagare senza meta, ma interviene per guidarci verso un luogo di riposo e stabilità.
Nella direzione del Signore, vediamo tre aspetti incoraggianti.
Il primo aspetto è:
A) La strada sicura
“Li condusse per la retta via” (v.7).
“Li condusse” (yadrîkē) è portare, guidare, cioè, far sì che un altro segua una persona o un percorso (cfr. per esempio Salmo 25:5; 119:35).
“Per la retta via” è “nella via retta” (bĕderek yĕšārâ) e contrasta con l’errare precedente.
“Retta” (yĕšārâ) è libero da curve e angoli avvallamenti (cfr. per esempio Ezechiele 1:7; Geremia 31:9), il contrario di ruvido, o accidentato, indica anche “dritto”, “corretto”, “giusto”, indicando non solo una direzione geografica (cfr. per esempio 1 Samuele 6:12), o una via che porta alla destinazione senza deviazioni e perdite di tempo, scorrevole (2 Cronache 32:30; Esdra 8:21; Proverbi 9:15), ma anche un cammino moralmente corretto (cfr. per esempio 1 Samuele 12:23; Neemia 9:13; Esodo 15:26; Deuteronomio 6:18).
“Via” (derek) è un termine che può indicare tanto un cammino fisico quanto una condotta di vita.
Il Signore aveva lo scopo di condurli a una città da abitare, come indicato dalla congiunzione: “Perché” (lā – Genesi 12:2; Salmo 74:3; Isaia 50:20).
Questo quadro parla profondamente a chiunque si senta smarrito nel deserto della vita.
La lezione è chiara: quando non possiamo più trovare la via da soli, il grido a Dio diventa la via d’uscita.
Raleigh ci ricorda: “Quando il Signore è la guida, la via è sicuramente giusta; non dobbiamo mai metterlo in dubbio”.
La via dritta non è solo più efficiente – è l’unica che conduce veramente alla destinazione.
Spurgeon disse: “Ci sono molte vie sbagliate, ma solo una giusta, e in questa nessuno può guidarci se non Dio stesso”.
C’è una molteplicità di vie storte, ma una sola via retta.
Nel labirinto morale del nostro tempo, dove ogni sentiero sembra ugualmente valido, Dio ci offre non una delle tante strade possibili, ma l’unica strada vera. La rettitudine del percorso riflette la rettitudine di Chi lo ha tracciato.
Il cammino è dritto perché il Dio che lo ha creato è dritto – senza ombre, senza inganni, senza compromessi.
In secondo aspetto della direzione del Signore è:
B) Lo scopo salutare
“Perché giungessero a una città da abitare”.
Dio vuole darci il meglio, pensa al bene per noi (cfr. per esempio Geremia 29:11; Matteo 7:7-11; Romani 8:28).
“Città da abitare” (ʿîr môšāb) è l’opposto del deserto, è un luogo di appartenenza, stabilità, sicurezza, comodità e benessere
Notiamo il contrasto drammatico: dall’errare senza meta su vie desolate al camminare su una strada diritta; dalla ricerca infruttuosa di una città all’essere condotti a una città da abitare.
È significativo che il testo non dice che Dio fa apparire magicamente una città nel deserto, ma che li condusse per la strada diritta, perché giungessero a una città.
Anche quando il cammino nel deserto offusca la nostra speranza, il piano divino ci conduce per una strada diritta verso la città da abitare.
Come promette il Signore in Isaia 43:19: “Ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare; non la riconoscerete? Sì, io aprirò una strada nel deserto, farò scorrere dei fiumi nella steppa”.
Questo ci introduce al terzo aspetto della direzione divina:
C) Lo shalom stabile
Sempre nel v.7 troviamo scritto: “Una città da abitare”.
Nello shalom stabile c’è:
(1) Il significato nel contesto
“Città da abitare” si riferisce a un luogo di dimora stabile e permanente, contrapposto al vagare nel deserto; una condizione desiderata di sicurezza, l’antitesi del deserto: ordine invece di caos, comunità invece di isolamento, abbondanza invece di scarsità, stabilità invece di precarietà.
Nel contesto dell’intero Salmo 107, che celebra la liberazione divina da diverse situazioni di pericolo, l’abitare rappresenta il ripristino dell’ordine e della sicurezza dopo il caos e il pericolo.
Nello shalom stabile vediamo:
(2) Il significato teologico
“Abitare” (môšāb) esprime l’ideale di una vita stabile e sicura sotto la benedizione e la protezione di Dio.
Indica un dimorare sicuro che dipende completamente dalla garanzia di Dio.
Gli Israeliti, come spiega Deuteronomio 12:10, potranno “dimorare in sicurezza" solo quando Dio darà loro “pace” dai loro nemici.
Questo “dimorare” diventa sinonimo di “shalom”, di pienezza di vita, ed è sempre un dono divino, mai un’acquisizione puramente umana.
In questo senso “abitare” si riferisce a vivere in armonia con Dio, nel giusto ordine creazionale nella relazione restaurata con Lui.
Allora “abitare” non è semplicemente una condizione geografica, ma esistenziale, morale, spirituale.
Nello shalom stabile c’è:
(3) Il significato valido anche per te
C’è un deserto che riguarda le nostre identità frammentate, le relazioni spezzate, la confusione mentale della nostra epoca cosiddetta “postmoderna”.
In mezzo a questo deserto, la città da abitare è l’integrazione, la coerenza, l’appartenenza autentica.
È ogni luogo dove Dio è al centro e dove le persone trovano sé stesse in relazione con Lui e con gli altri.
È la comunità di fede, la chiesa locale viva e autentica (Atti 2:42-47;1 Tessalonicesi 5:11-14), che diventa un’oasi nel deserto socioculturale, morale, psicologico e spirituale.
Come ci ricorda un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme”.
Ma è anche la Nuova Gerusalemme, alla presenza di Dio, nella felicità eterna (Apocalisse 21:2-4; 22:1-5).
La speranza della “terra promessa” per te! Non è solo un concetto Biblico lontano, ma può essere anche una realtà viva nella tua vita oggi!
Immagina il viaggio di Frodo e Sam nel “Signore degli Anelli” che attraversano terre desolate, ma la speranza di una “casa” e il bene che ancora vale la pena difendere li spinge avanti. “C’è del buono in questo mondo, Padron Frodo. Ed è giusto combattere per esso”, dice Sam nel momento più buio.
Se la tua anima è nel deserto e può sembrare un periodo interminabile, c’è una “Contea” che ti attende, una città promessa.
Questa è la speranza che ci fa sperare e gridare a Dio sapendo che ci dà una “città da abitare”.
Se stai vagando in vie desolate, senza pace, smarrito, insicuro, se stai cercando uno shalom stabile grida a Dio che ti liberi e ti guidi verso la città della Sua pace.
• Il primo passo da fare per trovare questa città da abitare, è ammettere che sei in una situazione bisognosa, angosciante, e quindi che hai bisogno di Dio!
• Il primo passo per uscire dal labirinto è ammettere di esserci dentro e quindi gridare al Signore affinché ti conduca nella città di pace.
• Il primo passo verso la libertà è ammettere la nostra prigionia.
• Il primo passo verso la guarigione è confessare la nostra malattia.
• Il primo passo verso casa è riconoscere che siamo perduti.
La pretesa di autosufficienza è la barriera più grande alla grazia di Dio. Dio non può guidare chi insiste di conoscere già la strada.
Non importa quanto ti sei allontanato, il primo passo verso casa è sempre a portata di piede!
Come il figlio prodigo della parabola di Gesù, che “rientrato in sé” (Luca 15:17) decise: “Mi alzerò e andrò da mio padre” (Luca 15:18).
Un altro aspetto importante da ricordare nel viaggio per ritornare a casa è: abbiamo un GPS spirituale!
La Bibbia è il GPS divino in un mondo di strade interrotte!
In un’epoca in cui i navigatori satellitari guidano le nostre automobili, la Parola di Dio è il navigatore spirituale che non perde mai il segnale e che ci conduce efficacemente.
Ora sicuramente avrai sentito tante storie negative legate al gps. Ma ce n’è una accaduta di recente che adatta alla parola Ebraica detta prima per tribolazione.
Dei turisti sono rimasti intrappolati in un borgo in Sardegna. A tradirli è stata una combinazione letale: un navigatore satellitare poco aggiornato, le strade strette tipiche dei borghi storici italiani e un veicolo di grandi dimensioni per quei vicoli.
Quando i figli d’Israele vagavano nel deserto, avevano la colonna di nube di giorno e la colonna di fuoco di notte (Esodo 13:21-22).
Oggi noi abbiamo qualcosa di ancora più prezioso: la Parola eterna di Dio, che ricalcola costantemente il percorso quando ci allontaniamo dalla via, che ci mostra panoramiche dall'alto quando siamo bloccati nelle valli, che ci ricorda la destinazione finale quando siamo distratti dalle fermate intermedie!
Come ha detto qualcuno: “Le mappe di Google possono aiutarti a navigare le strade del mondo, ma solo la Bibbia può guidarti attraverso il labirinto del cuore umano”, e possiamo aggiungere delle vie mondane.
La “retta via" oggi può significare ritrovare chiarezza morale in un’epoca di relativismo.
La “città da abitare” può rappresentare la comunità di fede autentica in un’epoca di individualismo, o ultimamente la Gerusalemme celeste, la nostra vera patria dopo la morte (cfr. per esempio Filippesi 3:20-21; Ebrei 11:16; Apocalisse 21:1-4) così come descritta nel GPS spirituale della Parola di Dio.
CONCLUSIONE
Mauro Prosperi, atleta italiano nel 1994, si perse nel deserto del Sahara durante una maratona e sopravvisse miracolosamente per 10 giorni prima di trovare salvezza.
Forse anche in questo momento sei perso nel tuo “deserto”, non nel senso fisico, e hai bisogno di trovare una “città dove abitare”.
Il cammino dal deserto alla città non è automatico – passa attraverso il grido di disperazione e richiede il riconoscimento del nostro smarrimento e bisogno di Dio, che ascolta il nostro grido sincero.
Conosci quella storia di Agar, la schiava di Sara, cacciata nel deserto con suo figlio Ismaele e una borraccia vuota? Quando l’acqua finì, pose il bambino sotto un cespuglio e si allontanò perché non voleva vederlo morire. Alzò la voce e pianse (Genesi 21:16).
Fu proprio in quel momento di disperazione totale che Dio udì la voce del ragazzo e un angelo la chiamò, mostrandole un pozzo d’acqua che non aveva visto (Genesi 21:17-19).
Il grido disperato del deserto aveva raggiunto il cielo.
Il cristianesimo non offre semplicemente un’altra mappa per attraversare il deserto – offre un’uscita dal deserto.
Cristo non è venuto solo per migliorare la nostra navigazione spirituale, ma per portarci in una nuova creazione, una nuova città, un nuovo modo di essere.
La Croce non è solo un segnale stradale – è una porta che ci conduce dalla desolazione all’abitazione, dalla morte alla vita.
Non siamo chiamati a vagare, ma a viaggiare! Non siamo destinati a perderci, ma a essere trovati!
Che il Dio della speranza ci riempia di ogni gioia e pace nella fede, affinché possiamo abbondare nella speranza mediante la potenza dello Spirito Santo (Romani 15:13).
Come Israele, anche noi possiamo dire: “Celebro il Signore per la Sua bontà, per i Suoi prodigi a favore mio” (cfr. per esempio Salmo 107:8).