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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Cause della preghiera inefficace (2) La disobbedienza (1 Giovanni 3:21-22).

Cause della preghiera inefficace (2) La disobbedienza (1 Giovanni 3:21-22).
L'esploratore spagnolo Cortez nel 1519 sbarcò a Vera Cruz con una piccola forza di settecento uomini per iniziare la sua conquista del Messico. La leggenda ci dice che ha intenzionalmente dato fuoco alla sua flotta di undici navi. Presumibilmente, i suoi uomini sulla riva osservarono il loro unico mezzo andare a picco nel Golfo del Messico. Ora avevano solo una direzione per spostarsi: in avanti verso l'interno messicano per affrontare qualunque cosa si trovava davanti a loro senza fuggire.

La Bibbia ci chiama a questo tipo di risolutezza: l'impegno assoluto per Dio nell’obbedienza e  nel fare ciò che è gradito a Lui comportandoci come autentici cristiani.

Il nostro comportamento condizionerà l’esaudimento delle preghiere.

In questi versetti il primo aspetto che troviamo è:
I LA CONFIDANZA (v.21)
Nel v.21 leggiamo: “Carissimi, se il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio”.

In questo versetto troviamo:
A)Una consolazione 
Giovanni chiama i destinatari della lettera “carissimi” (agapētoi), cioè “amati” (cfr. 1 Giovanni 2:7; 3:2; 4:1, 7,11).

“Carissimi”, esprime l'amore personale di Giovanni per i suoi lettori e con questa parola vuole incoraggiarli per ciò che ha detto poco prima e che poteva aver causato loro preoccupazione.
Giovanni vuole rassicurare i destinatari della lettera.

Giovanni non vuole che i cristiani dimorino nell'ansia e nel dubbio, ma vuole che siano certi della loro relazione con Dio e quindi che si avvicinino a Lui con fiducia.

Il motivo di questa rassicurazione si trova nel v.20 dov’è scritto: “Poiché se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”.

Davanti a Dio, i nostri cuori spesso ci condannano come un giudice fa con qualcuno che ha commesso un reato.

Dal contesto, “il reato”, il peccato è la mancanza di amore pratico per i bisogni dei membri della chiesa.

L’amore per i fratelli è una prova che siamo passati dalla morte alla vita (v.14).

Siamo chiamati a seguire l’esempio di Gesù di dare la nostra vita per i fratelli (v.16)

Se abbiamo l’amore di Dio in noi, se siamo della verità, cioè di Dio, se vogliamo rendere più sicuri i nostri cuori davanti a Lui, ameremo i membri della chiesa non a parole, ma con i fatti e in verità aiutando il fratello nel bisogno (vv.16-18).

Ora Giovanni e anche noi, sappiamo che in questo manchiamo, falliamo, non amiamo di un amore perfetto, e quindi il nostro “cuore” (kardia), ci dichiara colpevoli (kataginōskē), ma Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.

Giovanni c’incoraggia ad affrontare le nostre mancanze davanti la grandezza di Dio.

Quando i nostri cuori inevitabilmente ci condannano perché non siamo perfetti ad amare gli altri, dobbiamo ricordare che Dio è più grande dei nostri cuori, nel senso di perdonare, nel senso che è misericordioso.

Inoltre Dio conosce ogni cosa, cioè conosce che siamo Suoi figli per Sua volontà (1 Giovanni 3:1-2) attraverso la fede in Gesù (Giovanni 1:12-13). 

Dio conosce i nostri peccati e conosce anche la Sua opera di espiazione in Gesù Cristo (Romani 8:31-34) e quindi del Suo perdono.
Dio non solo conosce i nostri peccati, ma anche il nostro cordoglio per i peccati  (1 Giovanni 1:8-2:2).

Dio conosce che il nostro amore è genuino anche quando, per debolezza della nostra natura peccaminosa, non raggiungiamo il Suo standard. 

Dio conosce il nostro amore anche se non è perfetto, conosce i nostri desideri per Lui, la nostra sincerità, le nostre buone intenzioni, e buone motivazioni.

Non ci scuseremo di alcun peccato, ma neppure ci accuseremo inutilmente (cfr. 1 Corinzi 4:3-5).

Il v.21 ci parla di:
B)Comunione 
“Se il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio”.

Se i nostri cuori non ci condannano, perché evidentemente abbiamo fatto ciò che Dio voleva, possiamo avere ancora più fiducia alla presenza di Dio rispetto a quando ci avviciniamo a Lui consapevoli del Suo perdono perché abbiamo peccato.

Il cristiano che segue il modello di amore di Gesù Cristo, che ama nella pratica i fratelli, non è condannato né dal proprio cuore né da Dio.

Il dubbio non c’è quando i credenti camminano nell’obbedienza, perché il cuore non li condanna, così che l'insicurezza e la paura lasciano il posto alla sicurezza e alla fiducia davanti a Dio, di entrare nella Sua presenza (Efesini 3:12; Ebrei 10:19; cfr. 2 Corinzi 3:4; 1 Timoteo 3:13), e di fare le nostre richieste a Dio liberamente.

Avere fiducia in Dio dipende dal nostro cuore se è a proprio agio davanti a lui.

È difficile avvicinarsi a qualcuno quando sappiamo che abbiamo sbagliato, tanto meno chiedergli qualcosa. 

Così a volte non abbiamo voglia di pregare perché abbiamo commesso un peccato.

Non c'è niente di più bello di stare alla presenza di Dio e di chiedergli liberamente ciò che desideriamo.

Ma quando abbiamo la sensazione che Dio non è contento di noi, è terribile!
Non abbiamo nemmeno voglia di pregare.

Giovanni dopo aver parlato della sventura di aver un cuore che ci condanna, ora passa a considerare la benedizione che proviene da un cuore che non condanna. 

La benedizione è la comunione con Dio, libera e senza restrizioni.

“Abbiamo fiducia” letteralmente è: “fiducia noi abbiamo” (parrhēsian echomen), dove fiducia è in enfasi.

Mentre il verbo “abbiamo” (echomen- presente attivo indicativo) indica la realtà, un asserzione di fatto, quindi colui che non è condannato dal suo  cuore, dalla sua coscienza ha veramente fiducia  davanti a Dio.

La parola “fiducia” (parrhēsian) significa letteralmente “schiettezza”, “franchezza”, “parlare liberamente”, o “libertà di parlare”, “audacia”, quindi “non aver paura”, “non vergognarsi”.

Questa parola in greco, descrive il privilegio di andare davanti a qualcuno di importanza, potere e autorità e sentirsi libero di esprimere i propri pensieri, desideri e richieste.

Quindi “fiducia” si riferiva alla libertà di parola. 

Descriveva normalmente una persona che parlava di ciò che pensava e lo faceva in modo diretto e con grande sicurezza. 

Ora dobbiamo pensare che ai tempi del Nuovo Testamento, la libertà di parola era limitata e le persone che la violavano venivano punite. 

Quando una persona era così audace, schietta nel mostrare i propri pensieri, spesso incontrava resistenza, ostilità e opposizione: non era accettabile che una persona parlasse così liberamente.

La stessa parola Giovanni la usa al capitolo due quando si parla del ritorno di Gesù Cristo dov’è scritto: ”E ora, figlioli, rimanete in lui affinché, quand'egli apparirà, possiamo aver fiducia e alla sua venuta non siamo costretti a ritirarci da lui, coperti di vergogna” (Giovanni 2:28; cfr. 1 Giovanni 4:17).

Anche l’autore dell’epistola agli Ebrei dopo aver parlato che abbiamo un grande sommo sacerdote, Gesù il Figlio di Dio che simpatizza con noi nelle nostre debolezze, incoraggia: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportune” (Ebrei 4:16).  

Così anche in Ebrei 10:19 è scritto: “Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù….” 

Efesini 3:12 dice che in Gesù Cristo: “Abbiamo la libertà di accostarci a Dio, con piena fiducia, mediante la fede in lui”.

Molti di noi, conoscono cristiani che pregano liberamente, in modo audace davanti a Dio, pregano come se le loro preghiere siano già state esaudite!
Questa non è arroganza! 

“Abbiamo fiducia davanti a Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui”, non ci parla di  arroganza, ma è un sentimento di fede, sicurezza e calma alla presenza di Dio.

Un figlio di Dio ha la libertà di andare alla Sua presenza, di suo Padre e di presentargli qualsiasi preghiera e avere la certezza che sarà ascoltato in virtù di una giusta relazione con Lui che nasce e continua attraverso Gesù Cristo (cfr. 1 Giovanni 2:22,24,27,28; 3:1-2).

Westcott scriveva: “Il concetto espresso qui riguarda l’audacia del figlio che si presenta al Padre, e non l’audacia dell’accusato che si presenta al giudice”.

Così non è una libertà impropria, ma quella che il Padre stesso, nella sua natura, rende possibile attraverso la mediazione di Gesù Cristo (Giovanni 14:6; Romani 8:33-34; 1 Timoteo 2:5).

Il senso di “davanti a Dio” (pros to theon) è quello di un incontro amichevole, personale, relazionale e intimo con Dio, lo stare alla Sua presenza. 

La stessa costruzione la troviamo in Giovanni 1:1 dove è scritto: “La parola era con Dio”.

Cosa s’intende allora con “abbiamo fiducia davanti a Dio?

Significa andare liberamente alla presenza di Dio e sentirsi liberi di esprimere i propri pensieri e i propri desideri a Dio senza paura, o vergogna  in preghiera.

Possiamo essere sicuri che Dio ascolterà le nostre preghiere, quindi vediamo:
II LA CERTEZZA (v.22) 
Il v.22 dice: “E qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui”.

“E” (kai)  indica  la conseguenza del fatto che il nostro cuore non ci accusa, il senso è: “Se i nostri cuori non ci accusano, allora abbiamo fiducia davanti a Dio e riceviamo ciò che chiediamo”.

Oppure spiega in quale senso abbiamo fiducia:  “Se i nostri cuori non ci accusano, andiamo con fiducia davanti a Dio per chiedere ciò che vogliamo, con il risultato che lo riceviamo”. 

Dunque, la nostra comunione fiduciosa con Dio è accompagnata da una garanzia di preghiera esaudita.

Allora vediamo prima di tutto:
A)La richiesta
“E qualunque cosa chiediamo”.

“Chiediamo” (aitōmen - presente attivo congiuntivo)indica una richiesta, quindi una preghiera (cfr. Matteo 6:8; 7:7-11; 18:19; 21:22; Marco 11:24; Luca 11:9-13; Giovanni 4:10; 14:13-14; 15:7,16; 16:23-26) a Dio (da lui), infatti è la parola più usata nel Nuovo Testamento per la preghiera.

La parola greca (aiteō) implica il senso di pregare con urgenza, essere irremovibili nel richiedere assistenza per soddisfare bisogni tangibili, come cibo, alloggio, denaro e così via. 

La parola (aiteō) esprime anche l'idea che chi chiede abbia la piena aspettativa di ricevere ciò che è stato fermamente richiesto.

Questa persona può insistere, o chiedere che una certa necessità sia soddisfatta, ma si avvicina al suo superiore con rispetto e onore mentre fa la sua richiesta molto audacemente. 

Quindi il chiedere, anche insistentemente a Dio, non fa fatto con arroganza, o scortesemente, ma con rispetto!

Il tempo presente indica un'azione abituale, o un’azione, un’esperienza in corso, oppure indica che l'affermazione fa parte di una regola generale, vera in ogni momento.

“Qualunque cosa” (ho) può essere interpretata  come una promessa generale per qualsiasi cosa che chiediamo a Dio, in un senso illimitato sia per i contenuti che per le occasioni delle nostre richieste, oppure come nessuna area è esclusa dalla risposta di Dio. 

Ma dobbiamo sottolineare che Dio non dà ciò che è male ai Suoi figli, ma solo ciò che è buono (agathos), cioè utile, di beneficio (Matteo 7:7–11). 

Quindi, anche nella promessa di "qualunque cosa", esiste la condizione intesa di essere ciò che è buono.

William Jenkyn (1613–1685) diceva: “Quanto è buono Dio a negarci misericordie in misericordia!”

Dio a volte, non ci dà tutto quello che desideriamo perché non è di beneficio per noi!

Inoltre dobbiamo anche sottolineare che la libertà di entrare alla presenza di Dio e chiedere a Lui liberamente non significa che abbiamo la licenza di comandare a Dio di agire, di metterci allo stesso livello di Dio, non cancella la distinzione tra la trascendenza di Dio e la nostra umanità. 

La nostra fiducia riposa nella Sua misericordia e amore.

Consideriamo ora:
B)Il ricevimento
“La riceviamo da lui”.

“Riceviamo” (lambanomen- presente attivo indicativo) è prendere, afferrare, ricevere.

Il tempo presente indica un'azione abituale, o una regola generale. 

Comunica la certezza che le loro preghiere riceveranno risposta e ogni possibile tipo di desiderio sarà ascoltato. (Vedi anche Matteo 18:20; Giovanni 9:31; 14:12–14; 15:7,14-17; 16:23–24, 26–27; Giacomo 5:16).

Come già detto, “da lui” si riferisce chiaramente a Dio Padre come la fonte di queste preghiere esaudite. 

Quindi, è chiaro che l’esaudimento delle preghiere non sono circostanze fortuite, ma provengono da Dio come Sua specifica risposta.

La stessa combinazione di fiducia e di richieste esaudite si trova in 1 Giovanni 5:14-15 dove troviamo scritto: “Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce.  Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di aver le cose che gli abbiamo chieste”.

E questo ci fa capire, che non solo dobbiamo aspettarci ciò che veramente è utile, di beneficio per noi, ma che  la promessa che “qualunque cosa chiediamo”, non significa che Dio ci darà tutto quello che desideriamo, o che dobbiamo imporre la nostra volontà, Dio ci darà solo quello che è secondo la Sua volontà.

A riguardo John Stott scriveva: “La preghiera non è una escogitazione di comodo per imporre la nostra volontà a Dio, o per piegare la Sua volontà alla nostra, ma il modo prescritto per subordinare la nostra volontà alla Sua. La preghiera è il mezzo con cui cerchiamo la volontà di Dio, la facciamo nostra e ci mettiamo nella Sua stessa linea”.

“E qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui”, ancora, non significa che la preghiera esaudita sia meccanica, o magica, ma Dio ci darà tutto quello che è utile per noi e secondo la Sua volontà! 

Pertanto quando preghiamo Dio per qualcosa, dobbiamo avere in mente che Dio ci darà quello che per noi è davvero di utilità, di beneficio, e dobbiamo chiedere ciò che piace a Lui, che è secondo la Sua volontà!

Come Gesù nel Getsemani, possiamo fare le nostre richieste a Dio, ma le nostre preghiere devono concludersi con: “Sia fatta la tua volontà”  (Luca 22:42).

Comunque vada, dobbiamo essere sempre riconoscenti a Dio considerando la Sua saggezza come ci ricorda William Culbertson che diceva: “Continua a pregare, ma sii grato che le risposte di Dio siano più sagge delle tue preghiere!”

Infine troviamo:
III LE CONDIZIONI (v.22)
Sempre il v.22 dice: “Perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che gli è gradito”.

“Perché” (hoti) indica il motivo per cui riceveremo ciò che chiediamo: perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che gli è gradito. 

Dio esaudisce la preghiera quando ci sono determinate condizioni.

Le condizioni sono comunemente associate alle promesse della preghiera esaudita come troviamo in altre parti della Bibbia: per esempio pregare nel nome di Gesù (Giovanni 16:23-24), non avere motivi egoistici, (Giacomo 4:2-3); non avere motivazioni impuri (Salmo 66:18); avere fede (Marco 11:24; Giacomo 1:5-7); e così via.

Dio promette di esaudire le preghiere a determinate condizioni, e questo non significa che la libertà andare in sua presenza e parlare con Lui liberamente siano sulla base del nostro merito, ma è sempre per la Sua grazia!

Noi qui troviamo due condizioni: l’obbedienza e l’operare come piace a Dio.

La prima condizione è correlata:
A)Ad obbedire.
Se possiamo pregare Dio liberamente ed avere la certezza che esaudisce le nostre preghiere è perché osserviamo i Suoi comandamenti. 

Altrove, nella Bibbia troviamo un legame tra la preghiera dei giusti, o di coloro che seguono la giustizia di Dio e la reattività di Dio (Giobbe 27:9; Salmo 34:15; 66:18; 109:7; 145:19; Proverbi 15:8,29; 21:27; 28:9; Isaia 1:15; 1 Pietro 3:7; 1 Giovanni 3: 21–22). 

Dio non ascolta la preghiera dei disobbedienti come è accaduto al popolo d’Israele nell’Antico Testamento! (Deuteronomio 1:43-45; Zaccaria 7:13; cfr. Proverbi 1:28-31).

Molte persone, anche cristiani, a volte dimenticano la semplice verità che Dio è contento, apprezza quando gli obbediamo.

Proprio come un padre terreno è felice per un figlio, o una figlia ubbidiente, così anche il nostro Padre celeste è contento quando lo onoriamo con la nostra obbedienza (cfr. Malachia 1:6, 3:16). 

John Stott scriveva: “Nelle parole di Giovanni, però, non vi è implicita l’idea che Dio ode e risponde alle nostre preghiere semplicemente per la ragione soggettiva che abbiamo una coscienza pulita e un cuore che non condanna. La ragione è oggettiva e morale: perché osserviamo i Suoi comandamenti e facciamo le cose che gli sono grate”.

A volte una persona si può sentire a posto con la coscienza, ma in definitiva ciò che conta e se osserviamo i Suoi comandamenti e facciamo le cose che a Dio piacciono.

Nel greco la frase è: ”I suoi comandamenti osserviamo”.

Hiebert D. Edmond afferma a riguardo: “I suoi comandamenti posti davanti al verbo, indicano le direttive di Dio, piuttosto che i nostri desideri, come la considerazione principale nel dirigere il corso delle nostre vite”.

Dio, i Suoi comandamenti, sono più importanti dei nostri desideri!

“Osserviamo” (tēroumen presente attivo indicativo) indica un’azione reale continuativa, l'osservanza abituale dei comandamenti di Dio.

Significa “osservare attentamente”, “prestare attenzione”, “mantenere un impegno”, “persistere nell'obbedienza”. 
Questa parola è usata in Matteo 19:17 dove troviamo scritto quando Gesù  rispose al giovane ricco: “Perché m'interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”.

Gesù vuole che osserviamo i comandamenti di Dio! (cfr. Giovanni 14:15,21; 15:10,14,17)

In 1 Giovanni 2:3 l’apostolo aveva affermato: “Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti”.

Chi ha sperimentato Dio veramente nella propria vita, osserverà i Suoi comandamenti!

“Comandamenti” (entolas) nel greco classico erano le  istruzioni impartite da una persona di alto livello sociale a un subordinato, si  riferivano  principalmente ai comandi di un re, un sovrano o un leader militare.

Nella traduzione greca  dei Settanta, la parola greca (entolē) usata qui per comandamenti, è molto importante nel Deuteronomio e si riferiscono ai comandamenti di Dio, cioè le Sue leggi, statuti e ordinanze (per esempio Deuteronomio 4:2; 6:1,2; ), che devono essere osservati attentamente (Deuteronomio 4:40; 6:17; 7: 9; 8:1).

Nella letteratura di Giovanni osservare i comandamenti è una parte essenziale del patto e i benefici di far parte del popolo di Dio e di essere figli di Dio sono intimamente collegati (i benefici non vedere mai la morte - Giovanni 8:51; ricevere lo Spirito Santo - Giovanni 14:15-16; essere la dimora del Padre e del Figlio - Giovanni 14:23;  rimanere nell’amore di Gesù - Giovanni 15:10), 
Ora nel v.23 vediamo che Giovanni per i comandamenti mette enfasi sul credere in Gesù Cristo, e di amarci gli uni gli altri.

William Barclay scriveva: ”Non possiamo avere l'uno senza l'altro. Non può esistere una teologia cristiana senza un'etica cristiana; e ugualmente non può esistere un'etica cristiana senza una teologia cristiana. La nostra convinzione non è vera convinzione a meno che non sia tradotta in azione; e la nostra azione non ha né autorità né forza a meno che non sia basata sulla convinzione.
Non possiamo iniziare la vita cristiana finché non accettiamo Gesù Cristo per quello che è; e non l'abbiamo accettato nel vero senso del termine fino a quando il nostro atteggiamento verso gli altri è uguale al suo stesso atteggiamento di amore”.

Dobbiamo fare attenzione a non obbedire ai comandi di Dio per essere ricompensati da Lui, come uno scambio: “Io osservo i tuoi comandamenti, e tu Dio mi dai ciò che ti chiedo”.

Tale pensiero è escluso, perché  Giovanni sta pensando al rapporto tra il Padre e i Suoi figli (1 Giovanni 3:1), dove sono esclusi tutti i pensieri del nostro fare per ottenere vantaggi da Dio!  

Il cristiano obbedisce a Dio con un cuore allegro e gratitudine che viene dall’amore (Giovanni 14:15), e non da ambizione egoistica, oppure orgoglio che sono proprie dei legalisti che vogliono piacere a Dio con i loro sforzi.

Non si riferisce a cercare l’accettazione di Dio, ma a chi è già stato accettato, non è come un servitore sotto pressione, ma come un figlio che dimora sempre nella casa del padre. 

Così se non c’è un impegno da parte nostra all’obbedienza a Dio, vuol dire che non gli apparteniamo!!

Troviamo molto facile chiamare Gesù Signore, e ci possono pure piacere i Suoi insegnamenti, ma non facciamo  le cose che dice di fare, questa è una contraddizione (cfr. Luca 6:46).

La seconda condizione correlata:
B) All’operare. 
Leggiamo ancora nel v.22: “E facciamo ciò che gli è gradito”.

La traduzione delle Paoline è più precisa riguardo all’originale greco: “E qualunque cosa gli chiediamo, la riceviamo da lui, poiché noi osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che è gradito davanti a lui”.
Noi qui vediamo la determinazione a fare sempre ciò che piace a Dio.

Nel greco è: “Ciò che gli è gradito davanti lui facciamo”.

“Facciamo” (poioumen –presente attivo indicativo) indica un’azione reale continuativa, abituale.

“Ciò che gli è gradito” (ta aresta) indica ciò che a Dio piace, che Dio approva. 

Fare ciò che è gradito a Dio  presuppone una certa conoscenza di Dio e della Sua volontà, come anche l’intimità, essere in contatto con il cuore di Dio.

Non possiamo fare ciò che è gradito a Dio se non lo conosciamo e se non abbiamo una certa comunione intima con Lui.
Alcuni studiosi pensano che osservare i comandamenti di Dio e ciò che gli è gradito siano due modi diversi per dire la stessa cosa.

Indica che osservare i comandamenti di Dio è ciò che gli piace.

Mentre altri studiosi credono dicono che siano due condizioni diverse.
Secondo questa interpretazione, i comandamenti sono dichiarazioni esplicite a cui obbedire; le cose che gli piacciono sono più di questo, sono comprese tutte le azioni che gli piacciono, e tutto ciò che è noto per essere in armonia con la Sua volontà.

“Ciò che gli è gradito” sono quegli atti spontanei motivati dall'amore e dal desiderio di onorarlo al di là dei comandi specifici di Dio. 

“Davanti a lui” (enōpion autou) è in riferimento a Dio e quindi alla Sua presenza, considerazione, o vista.

Così  dobbiamo fare le cose che sono piacevoli ai Suoi occhi.

Troviamo uno sfondo di questo pensiero nel Vangelo di Giovanni. 

In Giovanni 8:29 leggiamo: “E colui che mi ha mandato è con me; egli non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli piacciono”. (vedi anche Giovanni 15:10).

Gesù uomo aveva l’approvazione di Dio perché faceva sempre le cose che piacevano al Padre.

Nelle nostre azioni che piacciono a Dio dimostriamo che la volontà di Dio è la nostra volontà; c’identifichiamo con Lui e desideriamo fare la Sua volontà, e quando preghiamo, la nostra volontà non cambia. 

Dobbiamo fare nostra la preghiera dell’autore dell’epistola agli Ebrei: “ Or il Dio della pace che in virtù del sangue del patto eterno ha fatto risalire dai morti il grande pastore delle pecore, il nostro Signore Gesù,  vi renda perfetti in ogni bene, affinché facciate la sua volontà, e operi in voi ciò che è gradito davanti a lui, per mezzo di Gesù Cristo; a lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen”. (Ebrei 13:20-21).

Tozer diceva: “Abbiamo urgentemente bisogno di un nuovo tipo di riforma in tutte le nostre chiese cristiane: una riforma che ci farà non solo accettare la volontà di Dio, ma anche cercarla attivamente e adorarla! ...
La riforma di cui abbiamo bisogno ora può essere meglio descritta in termini di perfezione spirituale, che ridotta alla sua forma più semplice non è altro e non meno che fare la volontà di Dio! Questo ci svelerebbe tutti al punto del nostro bisogno, non importa quanto crediamo di essere nella dottrina e non importa quanto grandi siano le nostre reputazioni.
Desidero il rinnovamento positivo e genuino che verrebbe se la volontà di Dio potesse essere totalmente realizzata nella nostra vita. Tutto ciò che non è spirituale fuggirebbe, e tutto ciò che non è cristiano svanirebbe, e tutto ciò che non è secondo il Nuovo Testamento sarebbe respinto ...
Osserviamo volontariamente e attivamente i comandamenti di Dio, apportando cambiamenti positivi nella nostra vita come può indicare Dio per mettere in armonia l'intera vita con il Nuovo Testamento?”

Il credente desidera compiacere Dio e dargli gloria con l’obbedienza e in ogni modo, in qualsiasi cosa fa! (1 Corinzi 10:31). 

Tale atteggiamento garantisce risposte alla preghiera, una preghiera secondo come vuole Dio.

Il potere nella preghiera, allora, non dipende dal tono della nostra voce, se è pacata, o scoppiettante.

Il potere nella preghiera non dipende dal volume della voce, se sussurriamo, o se gridiamo. 

Il potere nella preghiera dipende dal fatto che siamo in grado di andare liberamente alla presenza di Dio grazie a Gesù Cristo e di pregare liberamente sapendo che Dio è contento di noi! 

Dio è contento quando osserviamo i Suoi comandamenti, quando siamo persone che amiamo gli altri con i fatti!

CONCLUSIONE
Dio si manifesta a coloro che gli sono obbedienti (Giovanni 14:15-24), e questa sarà la differenza tra una vita cristiana nominale e religiosa, una vita cristiana vera, spirituale e radiosa con la luce del Suo volto che splende su di noi.

Per molti cristiani Dio è poco più di un'idea, o nella migliore delle ipotesi un ideale; ma non è un dato di fatto!

Milioni di cristiani professanti parlano come se Dio fosse reale e agiscono come se non lo fosse.

Ma sono le nostre azioni che in definitiva ci fanno capire chi siamo veramente, se siamo veramente figli di Dio, se facciamo veramente parte del popolo di Dio!

Dio ci fa la grazia in Gesù Cristo di entrare liberamente alla Sua presenza e di chiedergli liberamente, con audacia ciò che desideriamo.

Dio si diletta di ascoltare le nostre preghiere e di esaudirle se sono di beneficio per noi e se sono secondo la Sua volontà.

Ma ci sono delle condizioni: l’obbedienza ai Suoi comandamenti e il fare ciò gli piace.

Il figlio di Dio, che obbedisce e fa ciò che piace a Dio, non solo ha la benedizione di avere accesso a Dio liberamente in preghiera, ma ha una seconda benedizione, la certezza che Dio ascolta e risponde alla preghiera.
Anche se può avere la sua importanza, l'intensità della preghiera (Giacomo 5:17) non è un criterio della sua efficacia. 

Un uomo può prostrarsi davanti a Dio e piangere, ma non avere  nessuna intenzione  di obbedire ai comandamenti di Dio, questa persona non sarà esaudita!

Possiamo pregare quanto vogliamo per un risveglio, per qualsiasi altro soggetto di preghiera, ma Dio vuole da noi l’obbedienza e che facciamo ciò che gli è gradito!

Allora dobbiamo pregare: “Signore, aiutami a obbedire ai tuoi comandamenti e a fare ciò che ti piace”.



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