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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Salmo 74:1-3: Perché?

 Salmo 74:1-3: Perché?
La tragedia umana continua a generare domande da sempre nella storia dell’umanità.
Davanti certe situazioni tragiche, credenti e non credenti si sono chiesti e si chiedono, il perché.
 
La vita cristiana, dunque è fatta anche di domande, come vediamo nei vv.1 e 10-11.
Di solito le domande che facciamo a Dio non sono fatte quando le cose vanno bene, ma quando abbiamo problemi, quando soffriamo, quando non vediamo vie di uscite e Dio non risponde alle nostre preghiere.

Allora chiediamo a Dio: “Perché sta capitando tutto questo a me? Perché non rispondi? Perché mi hai abbandonato?”

Oppure chiediamo al Signore: “Fino a quando durerà questa storia? Fino a quando mi farai soffrire?”

Ora come diceva Timothy Keller: "La fede non elimina le domande. Ma la fede sa a Chi rivolgerle".

La fede non implica una rinuncia al pensiero critico, o alla ricerca di risposte, ma consapevoli che li possa dare solo Dio, ci rivolgiamo a Lui.

Il Salmo 74 è un potente lamento, un grido di dolore rivolto a Dio in un momento di profonda crisi e sofferenza.
È un canto che esprime la desolazione di un popolo che ha visto il suo santuario profanato e la sua terra devastata.

Come vediamo in tanti salmi nella Bibbia, il lamento è un aspetto normale del rapporto con Dio.
Permette ai credenti di esprimere le loro emozioni più profonde a Dio, anche quando sono confuse e angosciate.

Il salmista lamenta la distruzione e la profanazione del santuario per mano dei nemici. 
I nemici non sono specificati, ma molto probabilmente la devastazione è dovuta all'invasione dei Babilonesi nel 586 a.C. (2 Re 25:8–17).

Questo salmo appartiene al periodo successivo alla distruzione della nazione d’Israele. 
L'Assiria conquistò il regno settentrionale nel 722 a.C. e Babilonia il regno meridionale durante gli anni 605-586 a.C. 
Il popolo fu portato prigioniero in terre straniere e il tempio di Gerusalemme fu distrutto (2 Re 25:8-17). 
La distruzione di Gerusalemme nel 586 a.C. e l'esilio di Giuda che ne seguì generarono un grande trauma sia in termini politici che religiosi.

“La comunità dell'alleanza dell'Antico Testamento aveva perso i tre grandi segni della propria identità religiosa: la terra, il re davidico e il tempio, le prove visibili della salvezza che Dio aveva operato per loro in passato, il suo governo nel presente e la sua presenza tra il suo popolo. La rimozione di queste conferme esterne dell'attiva fedeltà di Yahweh al suo popolo causò una crisi di fede comunitaria molto simile alla crisi di fede individuale affrontata da Asaf nel Salmo 73” (Jamie A. Grant).

Così con il centro della loro vita religiosa, il tempio, profanato e distrutto, il popolo crede che Dio si sia allontanato, gli anni amari dell’esilio in Babilonia, lo portano a dubitare della fedeltà di Dio.

Questo salmo è stato scritto da Asaf.

Vediamo allora:
I LA PERPLESSITÀ PER IL PROBLEMA (vv.1) 
Molti credenti oggi, non sperimentano il tipo di problema che i Giudei dovettero sperimentare quando i Babilonesi invasero la Giudea e portarono distruzione, ma certamente tutti viviamo problemi più o meno difficili.

Sebbene come cristiani non abbiamo mai avuto questa stessa esperienza, molti di noi hanno avuto esperienze che ci hanno devastato lasciandoci in "terribili rovine" e siamo rimasti dolorosamente perplessi sul perché Dio non stesse facendo nulla a riguardo.

Il salmista esprime un forte disagio e un senso di ingiustizia di fronte alla devastazione del santuario e all'oppressione del popolo. 

È come se stesse presentando un reclamo formale a Dio, chiedendo una spiegazione per il suo apparente abbandono.

Questo passo riflette l'oscurità, l'insicurezza, l'incertezza, la perplessità che il popolo di Dio aveva durante il periodo dell'esilio.

Ciò che era più importante per loro, sia in termini di identità nazionale che di pratica della loro fede, era stato rimosso e distrutto.
A quel tempo sembrava davvero che il Signore avesse voltato le spalle al Suo popolo.

Il salmista è perplesso per le azioni di Dio riguardo a Gerusalemme e inizia la sua supplica con una lamentela chiedendogli umilmente il perché.

Questo è umanamente comprensibile, quando l’afflizione è pesante e ancora non si vede via di uscita nel silenzio assordante di Dio!

Quando una persona si sente abbandonata da Dio per così tanto tempo, è una situazione difficile da sopportare, allora si chiede: "Dove è Dio in tutto questo?".

Questa domanda ha tormentato (e lo farà ancora) i credenti per secoli, mettendo alla prova la loro fede e la loro comprensione del carattere divino.

In primo luogo, nella perplessità del salmista vediamo:
A) Il rigetto del Signore 
Nel v. 1 Asaf prega: “O Dio, perché ci hai respinti per sempre?”

Ancora una volta voglio sottolineare che è profondamente umano porsi domande esistenziali di fronte alla sofferenza, soprattutto quando questa sembra ingiustificata e prolungata, cosa che comunque per Dio non esiste perché fa sempre la cosa giusta! (cfr. per esempio Deuteronomio 32:4).

Il salmista, come molti altri, tenta di conciliare la fede in un Dio buono e onnipotente con l'esistenza del male e della sofferenza.

Il salmista ci mostra che anche persone profondamente devote possono attraversare momenti di dubbio e di sfiducia.

Non è l’unica volta che troviamo un linguaggio simile nei Salmi (cfr. per esempio simile Salmo 10:1; 22:1; 43:2; 44:23–24; 79:5; 88:14).

Asaf rifiutava di accettare che le attuali circostanze del popolo di Dio potessero essere attribuite alla semplice volontà della politica internazionale di quel giorno. 

Certo sono stati i Babilonesi a invadere e a distruggere Gerusalemme e saccheggiare il tempio, ma il salmista era ben consapevole che in ultima analisi Dio aveva il controllo di tutti e tutto (cfr. per esempio Salmo 33:10-11; 47; 97; Daniele 4:17,34-35), ecco perché il salmista si rivolge a Dio in questo modo, con una nota accusatoria. 

Riguardo la domanda “perché” lo studioso Walter Brueggmann scrive: “Questa domanda nasce da circostanze di sofferenza che sono insensate, specialmente in una fede in cui ci si aspetta che Yahweh sia attento e disponibile. Questa domanda non chiede a Yahweh di fornire ragioni o giustificazioni per l'inattività e la negligenza. La forma interrogativa funziona, piuttosto, come un'accusa contro Yahweh, che non è riuscito a essere il vero sé di Yahweh. L'accusa è che Yahweh, che ha promesso di essere presente e nel cui carattere stesso è essere presente, è notevolmente assente. E quando Yahweh è assente, accadono cose brutte”.

“Respinti” è un'azione che implica lasciarlo a se stesso, come se un pastore lasciasse senza provviste e senza protezione il suo gregge (vedi per esempio il ruolo del pastore come descritto nel Salmo 23).

Come potrebbe un pastore fare questo? (cfr. per esempio Giovanni 10:11–15)

Ma la domanda non riguarda semplicemente solo il rigetto, ma che il Signore, secondo Asaf, lo faccia per sempre (cfr. per esempio Lamentazioni 5:20). 
Il salmista, come tanti anche oggi, ha erroneamente concluso che Dio abbia rigettato, rifiutato (respinti - zānaḥ - qal perfetto attivo – cfr. per esempio Salmo 43:2; 60:1; 77:7; 88:14; Zaccaria 10:6) per sempre del Suo popolo.

Il rapporto tra Dio e l'uomo non è sempre lineare e comprensibile. 

La Bibbia ci presenta un Dio che è al tempo stesso immanente, amorevole e giusto, ma anche misterioso e trascendente (cfr. per esempio Isaia 55:8-9), un Dio che si nasconde (Isaia 45:15).

Il silenzio di Dio non è la Sua assenza, ma la Sua presenza in un modo che non comprendiamo ancora!

Dio, dunque, sembra averli respinti perché non ha cambiato la condizione tragica in cui si trovavano i Giudei; infatti, l'aggiunta di "per sempre" (nēṣaḥ) indica che in questo Dio è implacabile, il rigetto continua e sembra infinito, senza fine, permanente, cioè, è insopportabilmente lungo!

Ma quella condizione era sola temporanea di castigo, il Signore non respinge per sempre (cfr. per esempio Lamentazioni 3:31), infatti è durata settant’anni (Daniele 9:1-2).

Così il salmista interpreta erroneamente un castigo temporaneo come un rifiuto permanente.

In secondo luogo, nella perplessità del salmista vediamo:
B) La rabbia del Signore
Sempre nel v.1 leggiamo: “Perché arde l'ira tua contro il gregge del tuo pascolo?”

Nell'antico Medio Oriente, una delle principali responsabilità del pastore era quella di proteggere il gregge dai suoi nemici naturali (per esempio, lupi, orsi, leoni). 

La metafora del pastore e del gregge parla di cura, protezione e guida (cfr. per esempio Salmo 23:1; 100:3; 80:1). 

In netto contrasto, tuttavia, il popolo ha sperimentato il rigetto e l'ira divina, ma non la cura, la protezione e la guida.

Il divino pastore ha lasciato il Suo gregge indifeso e vulnerabile “ai predatori”, il che sembra in contrasto con il Suo carattere. 

Il Signore non si era preso cura del Suo popolo, non lo ha protetto dai nemici, non perché fosse incapace, ma perché lo ha punito! 

Era stata la giusta punizione attiva del Signore a condurli all'esilio piuttosto che il potere relativo dell’esercito Babilonese che certamente Dio ha usato per realizzare la Sua punizione! (cfr. per esempio 2 Cronache 36:11-21; Geremia 25:1-14; Lamentazioni 1-4; Ezechiele 33:30-33).

La distruzione di Gerusalemme e del tempio, come anche l'esilio in Babilonia, è stato il risultato del continuo fallimento del popolo nel rispondere alla correzione di Dio, ecco perché il salmista parla qui dell’ira di Dio!

I nemici di Giuda sono diventati gli strumenti del Signore Dio nell'attuazione dei suoi Scopi per il Suo popolo.

Come nota Ross: "Dio li aveva continuamente avvertiti del giudizio a venire, e quando si rifiutarono di cambiare, usò i Babilonesi contro di loro. Il giudizio fu il risultato della sua rabbia per la loro persistente ribellione". 

Una città devastata, Gerusalemme, da un oppressore straniero, i Babilonesi, è il simbolo del rifiuto e dell'abbandono da parte di Dio delle sue pecore, Israele.

Nel v.1 “arde l’ira tua” (yeʿăšan ʾappĕkā) raffigura l'ira di Dio come fumo che esce dalle Sue narici (cfr. per esempio Salmo 18:8). 

Invece di prendersi cura del Suo popolo come un pastore premuroso e protettivo con il Suo gregge, e di scacciare i nemici che li minacciano, il Signore non solo ha lasciato il Suo gregge in pericolo, ma ha persino inviato contro di loro il “fumo della sua ira”.

Asaf si chiede il perché Dio era arrabbiato con il Suo popolo, non c'è ammissione che i peccati del popolo possano essere stati la ragione dell'ira di Dio, ma noi sappiamo che era il peccato (cfr. per esempio Esodo 32:1-10; Isaia 1:2-20; 2:6-8; 59:1-2; Geremia 7:1-20).

Come avviene anche oggi, Asaf aveva difficoltà nel comprendere l’ira di Dio verso il peccato.

La preghiera di Asaf è un'espressione emotiva di perplessità che c’è ancora oggi in molte persone quando vedono un futuro senza speranza e trovano difficile che Dio li abbia abbandonati al loro destino, ignorando a volte che è a causa dei loro peccati!

Ma l’ira è una caratteristica di Dio, come lo è il Suo amore, la Sua fedeltà, immutabilità e così via!

La Bibbia parla più volte dell'ira di Dio (cfr. per esempio Numeri 11:33; 2 Re 22:13; Giovanni 3:36; Romani 1:18-28; Efesini 5:6; Colossesi 3: 6; Ebrei 3:11; 4: 3; Apocalisse 14:10,19; 15:1,7; 16:1; 19:15).

Un Dio che ama il bene inevitabilmente odia il male! E ce lo fa capire!

L'amore di Dio per ciò che è santo e giusto lo porta inevitabilmente a odiare il peccato, e ad agire contro di esso!

Wayne Grudem scrive: “Può sorprenderci scoprire con quale frequenza la Bibbia parla dell'ira di Dio. Tuttavia, se Dio ama tutto ciò che è giusto e buono, e tutto ciò che è conforme al suo carattere morale, allora non dovrebbe sorprendere che odierebbe tutto ciò che è contrario al suo carattere morale”.

L'ira divina non è un sentimento arbitrario, imprevedibile, ignobile, impersonale, ma una conseguenza logica della Sua natura santa e giusta; una necessaria risposta al male!

James I. Packer scriveva: “L’ira di Dio è, in realtà, una giusta e necessaria reazione a un oggettivo male morale. Dio si adira soltanto quando è necessario adirarsi. Perfino tra gli uomini esiste una cosiddetta giusta indignazione, benché sia forse rara da trovare. Ma l’indignazione di Dio è sempre giusta. Un Dio che si compiacesse tanto del male quanto del bene, sarebbe un buon Dio? Un Dio che non reagisse al male nel Suo mondo sarebbe un Dio moralmente perfetto? Sicuramente no. Ma è proprio questa reazione contraria al male, la quale è una componente necessaria della perfezione morale, che la Bibbia ha in vista quando parla dell’ira di Dio”.

In secondo luogo consideriamo ora:
II LA PREGHIERA PER IL PROBLEMA (vv.2-3) 
Dopo aver parlato della sua perplessità, il salmista implora Dio per ricevere aiuto. 

Prima di tutto vediamo:
A) L’imperativo “ricordati” (vv.2-3)
Nei v.2-3 leggiamo: “Ricordati del tuo popolo che acquistasti nei tempi antichi,
che riscattasti perché fosse la tribù di tua proprietà;
ricordati del monte Sion, di cui hai fatto la tua dimora! Dirigi i tuoi passi verso le rovine eterne; il nemico ha tutto devastato nel tuo santuario”.

Sembra strano che un uomo ordini a Dio qualcosa, in questo caso di ricordare e di dirigere i Suoi passi verso le rovine di Gerusalemme.

L'imperativo “ricordati” (zĕkōr – Qal imperativo attivo) sottolinea l'urgenza della situazione e la richiesta pressante del salmista. 

Non è una semplice richiesta, ma un appello accorato affinché Dio agisca immediatamente!

L'uso dell'imperativo evidenzia la familiarità e l'intimità del rapporto tra il salmista e Dio.
Asaf parlava direttamente a Dio, esprimendo i suoi sentimenti e le sue richieste in modo aperto e sincero.

E poi ancora dicendo a Dio “ricordati”, è come se in Dio ci fosse la possibilità di dimenticare, e di dirigere i Suoi passi verso le rovine eterne del tempio devastato e distrutto dai nemici come se Dio non lo sapesse! 
Il che è impossibile, visto che Dio è onnisciente e onnipresente.

Inoltre, in Esodo leggiamo che il Signore non dimentica, ma ricorda il Suo patto con i patriarchi e il Suo popolo e, sulla base di quel ricordo, opera intenzionalmente per la loro liberazione dalla schiavitù Egiziana (cfr. per esempio Esodo 2:24; 6:5).

La richiesta a ricordare il Suo popolo e la devastazione del tempio, non è altro la richiesta per una potente risposta alla preghiera, un appello a Dio ad agire subito (cfr. per esempio 1 Samuele 1:11–20). 

Quindi la chiamata del salmista a "ricordare" è in realtà un appello affinché Dio ascolti e risponda alle preghiere che seguono ancora nei versetti successivi di questo salmo.

Che cosa Dio deve ricordare?
(1) Dio deve ricordare che il popolo è Suo (v.2)
Il salmista chiede al Signore di ricordare la relazione di grazia che ha con il Suo popolo. 

“Acquistasti” (qānîtā -qal perfetto attivo) è usato per transazioni commerciali, comprare beni con lo scambio di denaro beni barattati (cfr. per esempio Genesi 25:10; 47:20; Levitico 25:14; Neemia 5:8), è usato come in questo passo, con Dio come soggetto per indicare il Suo acquisto del Suo popolo, redimendolo (Esodo 15:16; Isaia 11:11).

La parola Ebraica può avere qui il significato anche di “creati” (cfr. per esempio 
Genesi 4:1; 14:19,22; Salmo 139:13; Proverbi 8:22), e quindi si riferisce al tempo in cui Dio formò gli Israeliti come Sua nazione (cfr. per esempio Deuteronomio 32:6).

“Nei tempi antichi” (qedem) si riferisce ai tempi dalla liberazione dall’Egitto (cfr. per esempio Esodo 15:13,16).

Il promemoria che i Giudei erano il Suo popolo acquistato nei tempi antichi, ha lo scopo di richiamare alla mente di Dio la lunga storia che c’è tra Lui e il Suo popolo.

L'implicazione è che ci sono responsabilità che accompagnano tali legami di lunga data.

“Riscattasti” (gāʾaltā -qal perfetto attivo) è “ricomprare dalla schiavitù", “acquistare la libertà”, ricordando la schiavitù del popolo in Egitto. 
L’idea è quella di portare in salvo, concepito come redimere qualcosa. 

Lo scopo è affinché Israele potesse essere un popolo di Sua proprietà (naḥlātekā).

Quindi Dio ha comprato liberando Israele dalla schiavitù Egiziana (cfr. per esempio Esodo 20:2), affinché potesse essere di Sua proprietà, cioè il Suo popolo (cfr. per esempio Deuteronomio 4:20; 9:26, 29; Salmo 28:9; Geremia 10:16; 51:19).

Qui si sottolinea l'idea che gl’Israeliti erano un popolo speciale, un possesso di Dio. 

Il salmista sta quindi chiedendo al Signore di ricordare come ha fatto di Israele il Suo popolo, sperando che agisca in conformità con il Suo piano originale, nonostante il fatto che meritassero questo giudizio.

La combinazione di "acquistasti" e "riscattasti" risuona il linguaggio del Cantico di Mosè (Esodo 15:13, 16, 17), un canto che celebra l'opera salvifica del Signore nel liberare il Suo popolo dalla schiavitù Egiziana.

A proposito Jamie A. Grant scrive: “Non è un caso che il salmista scelga questa terminologia per ricordare a Dio la sua relazione con il suo popolo. Yahweh ha già liberato Israele dalla prigionia straniera con grandi segni del suo potere una volta, e la chiamata del salmista a ricordare è una preghiera affinché lo faccia di nuovo”.

Il linguaggio "acquistasti" e "riscattasti" ci parla della grazia e fedeltà di Dio nell'esodo basati sul patto con i patriarchi (cfr. per esempio Esodo 2:24).

Quindi, il Salmo 74 è una supplica per il rinnovo di questa grazia e fedeltà immeritata! 

Asaf implora pietà di fronte alla continua sofferenza e confusione che il popolo stava vivendo!

E ancora:
(2) Dio deve ricordare che ha scelto di abitare in mezzo al Suo popolo sul monte Sion (v.3 - cfr. per esempio 2 Samuele 7:12-13; 1 Re 6:12-13).
L'intento e lo scopo dell'azione salvifica del Signore erano di fare d’Israele un popolo per Lui con il Suo santuario dove sarebbe stato presente.

Il monte Sion era il luogo santo di Dio (Salmo 2:6) dove si trovava la città e il tempio di Gerusalemme, considerato la dimora di Dio sulla terra (cfr. per esempio Salmo 132:5, 7).

Gerusalemme e il tempio ora sono in rovina; ma il salmista si appella a Dio affinché ricordi che era la Sua dimora prescelta…L’abbandonerà ora completamente?

L'imperativo a Dio di "ricordarsi" di Sion sottolinea l'importanza di questo luogo sacro e la sofferenza del popolo di Dio da quando il tempio fu distrutto dai nemici.

È una richiesta che il Signore risolva questa tensione per i Suoi adoratori che non possono più adorare come voleva Lui a causa delle circostanze dell'esilio e del tempio distrutto.

“Nella liberazione dell'esodo, Yahweh non si è semplicemente creato un popolo, ma ha effettivamente formato una comunità di adorazione. La preghiera del salmista si basa sul fatto che ora sono una comunità di adorazione derubata del loro luogo di culto” (Jamie A. Grant).

Nei vv.3 e 11, vediamo:
B) L’invocazione
Nel v.3 è scritto sempre con un imperativo: “Dirigi i tuoi passi verso le rovine eterne; il nemico ha tutto devastato nel tuo santuario”.

Queste parole indicano la richiesta al Dio assente – secondo Asaf - a tornare alla Sua precedente dimora per ispezionare le rovine.

La speranza di Asaf è che Dio sarà spinto a mostrare compassione e che la Sua ira si scatenerà contro il nemico che ha fatto questo.

“Dirigi i tuoi passi” è un altro appello diretto e urgente a Dio, è un altro imperativo, e ha il senso di “alza i tuoi passi”, infatti la parola Ebraica per “dirigi” qui (hārîmâ) è “alzare”, “sollevare” (cfr. per esempio Genesi 7:17; 14:22; Salmo 107:25; 110:7).

“Dio è rappresentato come se si fosse ritirato e fosse partito lontano; quindi, è pregato di tornare senza indugio, per vedere le desolazioni di lunga durata della città un tempo altamente favorita" (Horne).

L’invocazione del v.3 è un'invocazione diretta a Dio, una supplica affinché Egli ponga la Sua attenzione sulle rovine del santuario, un luogo sacro che è di Dio ormai profanato e distrutto. 

Questa espressione all’imperativo è una figura audace per Dio a "camminare vivacemente", per così dire, di venire rapidamente a vedere le rovine e iniziare ad agire.

Il salmista chiede a Dio di agire con prontezza e determinazione, di muoversi per venire a vedere la situazione drammatica in cui si trova il popolo di Dio, il suo desiderio è di soccorrerlo.

Non era una situazione destinata a passare presto, sembrava essere completa e permanente come indicato dalla parola “eterne”.

La parola "eterne" (nēṣaḥ) è la stessa di “sempre” del v.1, sottolinea, in modo iperbolico, la gravità della situazione; le rovine sembrano destinate a durare per molto tempo, un segno indelebile della devastazione subita.

Con “il nemico ha tutto devastato nel tuo santuario”, si evidenzia l'azione distruttrice del nemico (cfr. per esempio Isaia 63:18), che ha invaso e saccheggiato tutto, completamente (kāl) il luogo più santo per il popolo d’Israele.

“Ha devastato” (hēraʿ) è “danneggiare”, “causare danni”, “fare disastri”, “fare male”. 

Spesso significa male nel senso di una calamità che è dolorosa e distruttiva, avversità. 

Questa parola include tutti i "cattivi" trattamenti degli altri che causano dolore, sofferenza, danno, o problemi (cfr. per esempio Genesi 43:6; Numeri 11:11; Deuteronomio 26:6; Rut 1:21; Salmo 44:2; 105:15).

Dove c'era una vita prospera - il bene - ora c'è la devastazione - il male; dove c'era la gioia, ora c'è dolore nel popolo e nella dimora di Dio; quindi la necessità che Dio faccia qualcosa è urgente.

Il santuario (cfr. per esempio 1 Re 8:8; Salmo 20:2; 60:6; 150:1; Malachia 2:11), in questo contesto è il tempio (cfr. per esempio 1 Re 6:16; 8:8) simbolo della presenza di Dio (cfr. per esempio 1 Re 8:29), è stato profanato, sottolineando la profondità dell'offesa subita.

Ricordando a Dio il luogo sacro profanato, il salmista vuole toccare una corda sensibile nella divinità. 

Questo è il santuario in cui il Signore dimorava (v. 2), quindi distruggendo il tempio il nemico ha di fatto attaccato il Signore stesso. 

L'implicazione è che il Signore abbia così una motivazione, un interesse personale nel contrastare l'effetto della calamità.

È come dire: "Guarda cosa hanno fatto al luogo che Tu hai scelto, al posto dove la Tua presenza era più evidente, non puoi rimanere indifferente a questo!". 

In questo modo, il salmista cerca di suscitare in Dio un sentimento di indignazione e di desiderio di ristabilire la giustizia.

CONCLUSIONE
Abbiamo iniziato questo messaggio chiedendoci, come il salmista Asaf, "Perché?". 
Abbiamo detto che di fronte alle tragedie della vita, è naturale porre questa domanda. 
Il Salmo 74 ci offre uno sguardo autentico sulla lotta interiore di un uomo che si sente abbandonato da Dio. 
Asaf, come molti di noi, ha provato rabbia, confusione e frustrazione.

La domanda "Perché?" non ha sempre una risposta facile. 
Spesso, la sofferenza rimane un mistero; tuttavia, la fede ci invita a portare le nostre domande a Dio, sapendo che Egli è un Dio sovrano. 

Come abbiamo visto, il lamento è una preghiera valida, un modo per esprimere la nostra vulnerabilità e la nostra dipendenza da Dio.

Ma c'è di più nel Salmo 74. 
Oltre al lamento, troviamo anche una profonda fiducia nella fedeltà grazia e misericordia di Dio. 
Nonostante il dolore e la confusione, Asaf continua a rivolgersi al Dio sovrano che può cambiare le circostanze.

Così nei vv.1-3, come in tutto il salmo vediamo che Asaf ci insegna a vedere tutto il mondo teologicamente, cioè tutto ciò che ci accade personalmente o accade universalmente, non solo le gioie, ma anche la sofferenza sono sotto il controllo della mano di Dio!

Il salmista guarda oltre le circostanze esteriori della vita per vedere la mano di Dio all'opera negli eventi che lui e i suoi simili stavano vivendo. 

Asaf non si è bloccato sulla potenza distruttiva degli eserciti di Babilonia, o sulla debolezza politica di Giuda, ma si rendeva conto che gli eventi vissuti dell’invasione, della distruzione e dell’esilio, avevano una causa teologica piuttosto che geopolitica, era per il giudizio di Dio che ha usato i Babilonesi ad attuarlo!

Non dovremmo pensare che l'ira di Dio contro il Suo popolo sia qualcosa limitato all'Antico Testamento, perché questo avviene anche nel Nuovo Testamento, anche per la chiesa (cfr. per esempio Atti 5:1-11; 1 Corinzi 11:27-32; Ebrei 11:4-11; 1 Pietro 4:12-19).
  
Non dobbiamo illuderci che Dio oggi non operi più in questo modo! 

Dio è in controllo di tutti e di tutto, della luce come delle tenebre, del benessere come delle avversità dice Isaia 45:7!

Nelle tenebre, nell’avversità sempre Isaia ci ricorda a confidare in Dio e ad appoggiarci su di Lui (Isaia 50:10).

Allora ai tuoi perché, puoi aggiungere questa preghiera: "Signore, non capisco perché stia accadendo questo. Mi sento abbandonato. Aiutami a fidarmi di Te anche quando non vedo una via d'uscita".

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