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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

La pecora smarrita (Luca 15:4-7).

La pecora smarrita (Luca 15:4-7) 
Chiunque abbia perso qualcosa, sa quanto sia esasperante cercarla e non trovarla. 

Ancora più esasperante è perdere la strada e l’indirizzo.

Nicolas Bardyaev disse: “ Il problema dell'uomo deriva dal fatto che non solo ha perso la strada, ma ha perso l'indirizzo”.

Questa parabola della pecora smarrita, ha catturato l'attenzione di molti artisti nel corso dei secoli.

È chiaro che con la pecora perduta s’identifica il peccatore, mentre colui che la cerca, il pastore è Gesù Cristo.


In questa parabola vediamo:
I LO SMARRIMENTO DELLA PECORA.
Al v.4 leggiamo: ”Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova?”

È una domanda retorica con la risposta ovvia: chiunque lascerebbe il gregge per cercare la pecora smarrita!
Qualsiasi buon pastore premuroso farebbe così!!

L'immagine del pastore e del suo gregge è usata nell'Antico Testamento per rappresentare la cura di Dio per il Suo popolo: Israele (per esempio Dio Salmo 23:1-4; 80:1; Isaia 40:11; Ezechiele 34:11-16; Giovanni 10:11-16).

Questa parabola Gesù l’ha detta perché i farisei e gli scribi lo criticavano perché accoglieva i pubblicani e i peccatori e mangiava con loro.

Quindi la domanda retorica è indirizzata a loro perché non solo non hanno cercato i peccatori e non si curavano di loro, ma criticavano anche Gesù perché li accoglieva per recuperarli!

Indubbiamente, l’uditorio di Gesù capiva bene di cosa stesse parlando, visto e considerato che in Israele si praticava molto la pastorizia, e Gesù fa appello alla loro esperienza di pastori, un mestiere che i capi religiosi disprezzavano.
I pastori era al fondo della scala sociale ed erano considerati ignoranti e irreligiosi. 

Il gregge che contava un centinaio di pecore, appartenente a un solo proprietario, indica che era modestamente ricco, il gregge medio era dai venti ai duecento capi.

Ogni sera il numero delle pecore era contata, perché le pecore si allontanavano facilmente e si perdevano, così contando le pecore, il pastore si accorge che delle cento ne manca una.

I numeri “novantanove” e “una” sono un modo ovvio di creare un contrasto tra la grande maggioranza e una piccola parte del tutto, mette in risalto in risalto l’interesse del pastore per la singola pecora.

La pecora perduta si trova in pericolo, e questo spinge il pastore a mobilitare tutta la sua attenzione e le sue energie su questa, preoccupato la va a cercare!

Il fatto che il pastore lasci le novantanove non deve essere valutato come disinteresse, o imprudenza, può darsi che le abbia lasciate in custodia un servo (1 Samuele 17:20), o di qualcuno, o in un recinto, o in una grotta al sicuro come dice lo studioso Joachim Jeremias scrive: “Tutti i conoscitori della Palestina sono concordi nell’attestare che è quasi affatto impossibile che un pastore abbandoni semplicemente il proprio gregge al suo destino. Se deve andare alla ricerca di una bestia sperduta, egli affida il gregge ai pastori che condividono con lui lo stesso recinto (Luca 2:8; Giovanni 10:4 s.), oppure lo sospinge dentro una grotta”.

Oppure li ha lasciati in un posto al sicuro senza pericoli, infatti “deserto” potrebbe indicare un luogo disabitato e aperto adatto al pascolo dove non ci sono animali pericolosi, o persone malintenzionati.
       
Comunque ciò che Gesù vuole sottolineare è la condotta premurosa del pastore a favore della perduta; la pecora smarrita ha ricevuto un'attenzione speciale su tutte le altre pecore che erano al sicuro.
In questa parabola il punto è l’impegno, l’amore e la preoccupazione rivolta all'unica pecora: nel contesto del perdere e del trovare, l'una è temporaneamente più importante delle novantanove in relazione al quale non vi è alcun particolare bisogno, o problema, sono al sicuro.

Il pastore è preoccupato di recuperare la pecora perduta tanto da lasciare le novantanove!

L'implicazione che "una" sia più importante di "novantanove", mette in evidenza l'emozione che si prova per una perdita; il valore di qualcosa diventa più intenso quando si perde, quando perdiamo qualcosa capiamo veramente quando sia importante!

Con questo Gesù vuole affermare che chi si è perso deve essere salvato, recuperato, non respinto come facevano i farisei e gli scribi con i pubblicani e i peccatori!

Il riferimento allora è a Gesù il Buon Pastore che si prende cura del Suo gregge come leggiamo in Ezechiele 34:11-16, cosa che non hanno fatto i capi religiosi! (Ezechiele 34:1-4).

L'enfasi sia in Luca sia in Ezechiele 34 è sulla radicale determinazione di Dio, che non è semplicemente solo d’intraprendere la ricerca, ma anche di completarla, di cercarla finché non trova la perduta! (Luca 15:4).
Quindi il pastore è determinato a cercare la perduta finché non la ritrova!
Qui vediamo anche la pazienza e la costanza del Pastore che ricerca il peccatore perduto!

Ma vogliamo vedere:
A) Le ragioni dello smarrimento.
Le cause del perché le pecore, quindi i peccatori si allontanano dal pastore sono diverse, ma possiamo fare tre considerazioni.

La prima considerazione è: 
(1) Una mancanza di devozione. 
Le pecore, i peccatori, devono seguire il pastore; quando si perdono è perché non guardano più il pastore e quando questi li chiama, non sempre prestano attenzione alle sue chiamate, ma s’incamminano per la propria strada.

Così è per l'umanità e il Sommo Divino Pastore; coloro che non guardano a Lui e ignorano la Sua parola si perdono nelle vie di questo mondo peccaminoso.

Chi è devoto a Gesù Cristo, chi non cammina seguendo Lui, si perde!

C’è una seconda ragione del perché una persona si perde:
(2) Una mancanza di disciplina. 
Le pecore possono perdersi per mancanza di disciplina, per esempio possono uscire dal recinto, o si allontanano dal gregge e dal pastore prendendo altre vie distratti da qualcosa.

Così anche una persona si allontana dalla strada giusta per mancanza di disciplina distratti da altro.

Per evitare di essere distratti, bisogna avere molta disciplina per continuare sulla strada giusta.

Dobbiamo “tenere gli occhi fissi” su Gesù, il nostro pastore e fidarci di Lui dovunque ci conduca.

È importante una vita di santificazione, di pratica delle discipline spirituali per rimanere incollati nel seguire Gesù Cristo.

Le discipline spirituali sono per esempio: la lettura, la meditazione, lo studio e la pratica della bibbia; la preghiera, la comunione fraterna, e così via.

Infine un’altra ragione è:
(3) Una mancanza di discernimento.
Le pecore per la loro stupidità si trovano costantemente in situazioni terribili. 

Alcune persone sono allo stesso modo! 
Le persone che sono lontane dal Signore vivono vite che spesso sono semplicemente stupide (Geremia 5: 4).

Le pecore non hanno il senso di orientamento, se una pecora si allontana dal resto del gregge, sarà difficile, se non impossibile, ritrovare la strada del ritorno. 
Senza l'aiuto del pastore, la pecora smarrita non riesce a trovare la strada per tornare al gregge.
Le pecore possono essere così prese nel loro mangiare che non prestano attenzione a dove sono e di conseguenza si allontanano da dove avrebbero dovuto essere perdendosi.

Così le persone che non seguono il Pastore Gesù, non hanno semplicemente alcun senso di orientamento spirituale nelle loro vite. 

Queste persone sono prese dai loro affari, dal materialismo, dai loro hobbies e da tante altre cose, anche buone, e non hanno tempo per Dio. 

Queste persone non hanno il buon senso di considerare che Dio è la cosa più importante della vita e pertanto a Lui dobbiamo dare la priorità su tutto e vivere questa vita in relazione a Lui!

Oppure molte persone si perdono perché non conoscono, o rifiutano la buona, perfetta e gradita volontà di Dio (Romani 12:1-2).

La conoscenza della verità di Dio è importante per non essere sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina e perderci nell’errore (Efesini 4:11-15).

Consideriamo ora:
B) La rovina dello smarrimento.
Per prima cosa vediamo:
(1) Il significato della parola perdere.
(a) La parola perdere implica peregrinare.
La parola “perdere” (apollumi) dei vv.4 e 6 indica allontanarsi dal gregge, quindi vagare.

In Isaia 53:6 è scritto: “Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti”.

Come le pecore, i peccatori si sono allontanati da Dio, smarriti, vagano lontano da Dio, ognuno segue la propria via, i propri interessi.

Tim Keller scrive: “Peccato è cercare di stabilire un senso del sé perseguendo le cose che danno significato, scopo e felicità alla nostra vita anziché al nostro rapporto con Dio”.

Noi siamo stati creati da Dio per Dio, per glorificarlo e per amarlo per trovare in Lui la nostra vera identità, felicità; questo è il Suo progetto e quando non lo facciamo, quando vaghiamo lontano da Gesù Cristo, da una filosofia all’altra, pecchiamo, andiamo fuori strada! 

Quando ci allontaniamo dalla strada giusta delle virtù, della verità, della santificazione, si è nella strada sbagliata che conduce alla porta larga e spaziosa della perdizione (Matteo 7:13-14).

Quando ti allontani da Dio, non sei nella strada giusta!
Stai andando nella direzione sbagliata, anche se questa società peccaminosa abbellisce questa strada tanto da renderla piacevole, ma alla fine conduce all’inferno! 

(b) La parola perdere implica perire.
Ci sono dei pericoli nel vagare lontano da Gesù Cristo.
Perdersi è pericoloso, può costare molto caro.

Lo scheletro di una donna è stato trovato sulle sabbie calde del deserto del Mojave, in California. Prima della morte, aveva scritto una nota che diceva: "Sono sfinita e devo avere acqua! Non credo di poter durare ancora a lungo!" Morì di sete ed esposizione al sole a circa tre chilometri da Surprise Springs, dove l'acqua scorreva in abbondanza.

I leoni hanno denti e gli orsi i loro artigli, ma le pecore sono indifese e quindi se si perdono sono in grave pericolo!
A questo si aggiunge il pericolo di cadere in un dirupo, o il pericolo di ladri.

Questa, allora, era una situazione potenzialmente pericolosa per la vita, dal momento che le pecore sono indifese contro i predatori e incapaci di prendersi cura di se stesse.
Ecco perché hanno bisogno del pastore! 
Ed ecco perché questa situazione seria richiedeva un'azione immediata di soccorso (1 Samuele 17:34-35).

Le persone che non seguono Gesù, il Pastore, sono in pericolo!
Non c'è nulla di più indifeso di una pecora smarrita!

Il pericolo non è solo nel presente, ma anche nel futuro e per l’eternità!
In Giovanni 3:16 leggiamo: “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”.

La vita eterna si riferisce al tempo della vita.
Per “vita” (zōé) “eterna” (aiónios) s’intende un’esistenza senza fine. 
Indica un’esistenza continua che non è toccata dalle limitazioni del tempo. 
Non esiste la fine, non esistono giorni, mesi ed anni! È un tempo illimitato! Anzi non esiste il tempo! 

La vita eterna comincia nel momento in cui una persona crede, nel momento della conversione (Giovanni 5:24). 

Anche se la morte segna una discontinuità tra questa vita e la prossima, in realtà la vita eterna ci garantisce una continuità; non finisce tutto con la morte. 

Il credente ha la certezza della vita eterna con Dio (2 Corinzi 5:1-10).  

Ma non indica solo la durata:
La vita eterna si riferisce al tipo di vita.
Alcune persone hanno una certa repulsione all'idea della vita eterna, perché la loro vita nel presente è misera, piena di dolore, di fame, di povertà, di delusione, o di problemi. 

La vita eterna non è un'estensione della vita terrena di una persona, la vita eterna non è solo è eterna in durata, ma indica anche qualcosa di diverso dalla vita dell’uomo come qualità, una vita completamente diversa da quella che stiamo vivendo adesso, infatti, non ci saranno più sofferenze, litigi; stress di vario genere e abiteremo per sempre con Dio! (Apocalisse 21:3-4).

La vita eterna è opposto al perire, alla morte eterna. La parola “perire” (apollumi) è sprecare la vita, andare in rovina, essere perduti per sempre. 

Non è un semplice spegnersi dell’esistenza fisica, ma un eterno sprofondare all’inferno, nell’eterna sofferenza, una via del non ritorno!

È peggio di un crack finanziario, di una malattia inguaribile o cose del genere, è una via del non ritorno non si avrà una seconda possibilità di salvezza, è un’eterna rovina (2 Tessalonicesi 1:6-10).

Così essere perduti, non significa che Dio non sa dove sei, piuttosto significa che sei in una condizione avversa molto seria, sei in grave pericolo!
Se non sarai salvato attraverso Gesù Cristo, sarai perduto per sempre!
Come una pecora potresti cadere in un dirupo, il dirupo delle fiamme dell’inferno! (per esempio Luca 16:19-31; Apocalisse 20:11-15).

Passiamo ora a considerare:
II LA SALVEZZA DELLA PECORA.
Nei vv.5-6 è scritto: “E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa”.
La pecora smarrita non è stata ignorata, ma è stata salvata dalla sua condizione persa.

Poiché ogni pecora era di grande valore, il pastore sapeva che era importante cercare diligentemente la pecora perduta.

Così vediamo:
A) Il soccorso.
I pastori erano esperti nel tracciare gli spostamenti e potevano seguire le orme di pecore vaganti per chilometri. 

Il pastore va in soccorso della pecora perduta per salvarla dai pericoli.

Il dovere di un pastore è prendersi cura delle sue pecore, perciò se una si allontana, il pastore è colui che la va a cercare. 

Questo è un rimprovero implicito ai capi religiosi d’Israele, ed è in contrasto con l’atteggiamento di Gesù.

"Lo scopo della parabola non è tanto quello di segnare la somiglianza tra un peccatore e una pecora smarrita, come tra il nostro Signore e un pastore fedele" (Simeon). 

Si racconta che Francesco d'Assisi vide una volta un pastore di montagna nelle Alpi rischiare la propria vita per salvare una pecora smarrita. Francesco fu così sopraffatto da ciò che vide che gridò a voce alta: "O Dio, se tale era la diligenza di questo pastore nella ricerca di un animale insignificante, che probabilmente sarebbe stato congelato sul ghiacciaio, com'è che sono così indifferente nel cercare le mie pecore? "

I farisei e gli scribi, erano considerati i pastori del popolo di Dio, ma non stavano cercando la pecora smarrita, cioè i pubblicani e i peccatori che si avvicinarono a Cristo per ascoltarlo (Luca 15:1-3).
E non solo non cercavano i perduti, ma quando Cristo li accoglie, questi capi religiosi mormoravano. 

Nell'Antico Testamento, Dio ha rimproverato i capi religiosi di Israele perché avevano fallito come pastori (Per esempio Geremia 23:1-3; Ezechiele 34:1-8; Zaccaria 11:15-17).

Ma, il Grande Pastore delle pecore, Gesù (Ebrei 13:20), in relazione al ravveduto Zaccheo il pubblicano disse in Luca 19:9-10: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d'Abraamo; perché il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto”.

Lo scopo principale dell'Incarnazione di Cristo è stata la salvezza dei peccatori (1 Timoteo 1:15).
Gesù Cristo è l’unico Salvatore (Giovanni 4:42; Atti 4:12).
Non c'era un pastore che nel suo lavoro quotidiano non rischiava la vita per le sue pecore.

Ciò che Gesù sta dicendo è questo: “Se anche un pastore umano lascerà le novantanove pecore per trovare l'unica pecora perduta, quanto ancora farà il Grande Pastore per cercare e trovare il peccatore perduto”!

Gesù per amore delle Sue pecore ha dato la Sua vita.
In Galati 2:20 leggiamo: “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato sé stesso per me”.

Noi vediamo che come un pastore che ama le sue pecore, non solo in senso di gregge, ma anche personalmente, Gesù è mosso dall’amore per le Sue singole pecore, per la loro salvezza (Giovanni 10:11-16; 15:13).
L’amore di Gesù è personale e non solo generale!

L’amore di Gesù Cristo è grande tanto da morire per le Sue pecore!
Amore che non avevano i capi religiosi!

È implicito in tutto questo il pensiero di Gesù: “Non dovreste voi farisei e scribi, imitare me, di cercare di trovare il peccatore perduto?”

In secondo luogo in questa parabola troviamo:
B) La sicurezza.
Al v.5 leggiamo: “E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle”.
Anche se la ricerca era dispendiosa in termini di tempo e fisicamente estenuante, una volta trovata la sua pecora, il pastore la porta, indipendentemente dal peso, sulle sue spalle.

Portare la pecora sulle spalle era normale nella vita del medio oriente.
L’animale spaventata, disorientata e stremata dal girovagare doveva essere portata dal pastore. 

Sempre Joachim Jeremias scrive: “Una pecora, che si è allontanata dal gregge e che ha girovagato qua e là, si stende spossata per terra e non la si può far muovere, rialzare e camminare. Non resta altro al pastore che portarla sulle sue spalle mettendosela attorno al collo; egli afferra perciò le zampe anteriori o quelle posteriori con tutte e due le mani, oppure, se vuol avere una mano libera per tenere il vincastro, stringe le quattro zampe con una mano davanti al petto”.

Il fatto che il pastore amorevolmente, prende la pecora e se la mette sulle spalle e la porta a casa, le ha dato sicurezza (Isaia 40:11; 49:22).

L'immagine allude chiaramente alla tenera e protettiva cura di Dio.

Così quando salva, Dio porta il peccatore pentito.
Le pecore del Signore sono senza forza per salvarsi a causa del peccato (Romani 5:8), una volta salvi, Dio continua ad aiutarci nel fare la Sua volontà (Romani 8:1-17; Filippesi 4:13).

Possiamo essere sicuri che porterà avanti la nostra salvezza, perché dipende da Lui! 
"Non possono mai morire coloro che porta sulle sue spalle" (Matthew Henry). 

Pensi che il Pastore Divino farà cadere la Sua pecora, o la perderà per l’eternità? 

Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano (Giovanni 10:27-28; cfr. Giovanni 6:37-40, Romani 8:28-39; Filippesi 1:6).

Infine nella salvezza vediamo:
C) Il sito.
Gesù continua dicendo: “E giunto a casa”.
Interessante, il pastore non porta la pecora all’ovile, ma a casa.
Lo studioso Godet diceva: "Bisogna notare che il pastore non riporta le pecore al pascolo, ma alla propria dimora: con questo tocco, indubbiamente Gesù ci fa capire che i peccatori, che è venuto per salvare, vengono trasportati da Lui in un ordine di cose superiore a quello della teocrazia a cui appartenevano in precedenza - nella comunione dei cieli rappresentata dalla casa del pastore ". 

Secondo questa interpretazione, “casa” è un luogo migliore rispetto a dove la pecora stava prima.

Quindi “casa” c’insegna che essere salvati ci dà più di quello che abbiamo perso (cfr. Matteo19:27-30).
La salvezza ci dà il paradiso.

Gesù poco prima della Sua morte, resurrezione e ascensione ai discepoli turbati disse: “Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi” (Giovanni 14:1-3).  

La persona che Gesù ha salvato sarà con Lui per l’eternità!
Ha un’abitazione in cielo e di questo può essere sicuro, altrimenti Gesù non lo avrebbe detto!

Che meravigliosa certezza! La cittadinanza dei veri cristiani è in cielo (Filippesi 3:20).

Il vero credente è seduto nei luoghi celesti (Efesini 2:6). 
Che grande conforto il sapere che questo non è per le opere, o per i nostri meriti perché se fosse per questo non andrebbe nessuno in cielo! (Efesini 2:5-10; Romani 4:4-5). 

Infine c’è:
III LA SODDISFAZIONE.

Questa parabola parla di gioia, consideriamo ora: 
A) Il periodo della gioia. 
Al v.5 leggiamo: “E trovatala, tutto allegro”.
Data la possibilità che le pecore potevano essere definitivamente perse, rubate, o sbranate da animali selvatici, il pastore si rallegra che sia stata trovata.

Il pastore non ha aspettato di arrivare a casa per gioire, ha iniziato a rallegrarsi non appena ha trovato quella pecora e sempre allegro se la mette sulle spalle e la porta casa sua.

Dio si compiace della salvezza di chi salva!

C’è anche:
B) La partecipazione della gioia. 
Nel v.6 è scritto: “E giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta’”.
L'immagine di un pastore che porta l'agnello smarrito sulle sue spalle è già un'immagine di pura gioia. 

Questa gioia non può essere contenuta, è condivisa con gli altri. 

Leon Morris scrive: “La gioia di aver ritrovato la perduta mette in ombra qualsiasi altra cosa. Per la felicità che lo invade chiama altri perché partecipino alla sua gioia”.

Il peccato porta dolore e tristezza, la salvezza porta gioia! 

Il ritrovamento della pecora perduta, porta festa, è implicito che all’invito a gioire con lui seguiranno i festeggiamenti come nella parabola del figliol prodigo (Luca 15:23-32).

Il pastore invita, senza distinzioni, amici e vicini di casa a festeggiare con lui.

“Chiama” (synkalei-presente attivo indicativo) è “chiamare insieme”, e può suggerire una celebrazione formale, quindi la grande festa che c’è in cielo di Dio con i Suoi angeli (Luca 15:10) per una persona che si ravvede.

Infatti “rallegratevi con me” (suncharēte moi) si riferisce a una gioia reciproca, nel greco è un imperativo, quindi è un invito pressante.

Qui c'è il cuore di Dio per i peccatori che opera attraverso Gesù. 

Quindi cercare il perduto dovrebbe essere al centro dell'attività del discepolo; coloro che dicono di servire Dio dovrebbero essere consapevoli che questo fa parte del loro mandato!!

La totale separazione dei farisei e il loro borbottio di associarsi con i peccatori sono in netto contrasto con l'approccio di Gesù.

Gesù ribadisce:
C) Il perché della gioia.
Nel v. 7 leggiamo: “Vi dico che così ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento”.

Il motivo della gioia è il ravvedimento di un peccatore, paragonato a una pecora perduta.

Sembra che in molte chiese, il ravvedimento sia una dottrina dimenticata!!

Pur di riempire le chiese non si parla di peccato e nemmeno di ravvedimento, perché comporta un cambiamento di atteggiamento.

Infatti “ravvedersi” (metanoeō) significa cambiare mentalità, idea sul proprio peccato, significa essere dispiaciuto per il proprio peccato, guardarlo con orrore, vergogna, invece oggi le persone considerano il loro peccato piuttosto benevolmente, o cercano di giustificarsi.

Ci sono persone che vogliono i privilegi del ravvedimento, ma non le responsabilità del ravvedimento!!

Il vero ravvedimento si manifesta nell’azione. Giovanni il Battista rimproverava le folle perché non avevano frutti degni di ravvedimento (Luca 3:8; Atti 26:20).

Il ravvedimento è avere una nuova prospettiva verso il peccato, la vita e quindi Dio!

Chi è veramente ravveduto lo si vedrà nelle Sue azioni! 

Infine vediamo:
D) Il punto della parabola.
Nel v. 7 è scritto: “Vi dico che così ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento”.

“Così” (ohutōs) indica nello stesso modo, similmente, è la conclusione del discorso, il punto della parabola, la sua applicazione.

La pecora perduta ritrovata è il peccatore che si ravvede.
Anche se l’attenzione è sul peccatore che si ravvede e non sull’iniziativa di Dio che va alla ricerca della pecora perduta, dobbiamo comunque sempre pensare che il ravvedimento è un dono di Dio (Atti 5:31; 11:18; 2 Timoteo 2:25).

Questo è il punto della parabola: la gioia in cielo per un peccatore che si ravvede, che è ricondotto a lui dal ministero di Gesù, o dai suoi discepoli, quindi l’accoglienza del peccatore che si ravvede!

“Cielo” è un modo per indicare Dio (Matteo 21:25), ma possono essere inclusi anche gli angeli (Luca 15:10).

Quando c’è il ravvedimento c’è il perdono di Dio, quindi la salvezza (Luca 24:47; Atti 2:38).

Per il ritrovamento di un peccatore perduto, Dio si rallegra di più per chi è già giusto, oppure ha una gioia speciale per il perduto, ora ritrovato.

Oppure c'è già una gioia costante per i giusti che sono pentiti da molto tempo, ma quando un peccatore si pente e si unisce alle fila dei giusti, c'è una grande ondata di gioia espressa. 

Oppure c'è più gioia, quando si trova qualcosa rispetto a quando non c'è cambiamento di stato.

A proposito Leon Morris scrive: “Per il ritorno di un penitente Dio prova una gioia maggiore di quella che ha per i molti i quali stanno al sicuro nell’ovile. Per questi si rallegra, sì, ma per il peccatore che si ravvede c’è più gioia”.

Ogni volta che un peccatore si pente, c'è gioia in cielo.

Questa verità è diversa da ciò che dicevano i rabbini.

Lo studioso Alfred Edersheim citando un detto ebraico diceva: “C’è gioia davanti a Dio quando coloro che lo provocano vengono eliminati”.

Ora le novantanove pecore, i giusti può riferirsi sia in modo sarcastico, ironico, per coloro che si credevano e apparivano giusti come i farisei e gli scribi, e quindi pensavano di non aver bisogno di ravvedersi (cfr. Luca 16:15; 18:9; Matteo 23:27-28), ma che in realtà avevano bisogno di ravvedersi (Luca 7:30; 11:39-44; 12:1; 16:14-15).

Oppure, “i giusti” si riferisce in senso generale per chi è veramente giusto (Luca 2:25).

Chi è veramente giusto non ha bisogno di ravvedersi, perché già vive secondo gli standard di Dio.
Gesù aveva detto che non sono i sani, i giusti, che hanno bisogno del medico, ma i malati, i peccatori (Luca 5:31-32). 

Così, l'enfasi sulla gioia condivisa che connota una celebrazione, è progettata principalmente per incoraggiare i credenti, quindi la chiesa a gioire quando un peccatore viene salvato, cosa che non facevano i farisei e gli scribi!

Con questa parabola Gesù vuole sottolineare il Suo ministero di andare a cercare i perduti, a differenza dei capi religiosi che borbottavano riguardo proprio questo Suo comportamento!

Com’è normale che un pastore va a cercare una pecora che si è persa, è naturale gioire quando la ritrova.

Le pecore recuperate diventano quindi un'occasione di gioia comunitaria, e i peccatori che sono ritrovati dovrebbero gioire e non brontolare.

Se Dio va a cercare chi è perduto nel suo peccato per salvarlo perché lo ama, così il discepolo di Gesù per e con amore, deve cercare il peccatore perduto e non respingerlo!

Come il cielo non si entusiasma delle vittorie politiche, o di chi vince il campionato mondiale di calcio, o dei successi aziendali, o degli Oscar di Hollywood, o di qualsiasi altra cosa, ma della salvezza di un’anima, così tutti coloro che si professano cristiani, devono gioire della salvezza di un peccatore. 

Questo rallegrarsi in cielo per la salvezza delle anime fu un rimprovero ai farisei e agli scribi che mormorarono perché Gesù Cristo stava con i peccatori per la loro salvezza. 
CONCLUSIONE. 
1) Dobbiamo pentirci e ritornare a Dio.
È proprio questa la prima considerazione che è importante fare, perché da questa dipende la nostra salvezza.

Carlo Magno diede istruzioni che quando sarebbe morto lo dovevano seppellire seduto nella posizione regale di un monarca su un trono. Allora doveva tenere i Vangeli sulle sue ginocchia, sulla sua spada al lato di lui, sulla sua testa e sul manto reale. E così il suo corpo rimase per 180 anni.
Nel 1.000 d.c. circa, la tomba fu aperta dall'imperatore Ottone e trovarono lo scheletro di Carlo Magno, sciolto e smembrato in varie posture orribili. Il teschio indossava ancora la corona. E il dito ossuto dello scheletro stava indicando il versetto della scrittura di Matteo 16:26: “Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua?”

Che ti gioverà anche se conquisti il mondo e avere l’anima persa per tutta l’eternità?

In secondo luogo:
2) Dobbiamo cercare i perduti.
Lo scopo della chiesa non è vivere nel suo ghetto!
Dio non vuole che i cristiani si isolino dal mondo a tal punto da non avere più relazioni con i perduti, ma di essere presenti fra la gente!

Come discepoli di Gesù dobbiamo andare alla ricerca delle pecore perdute, dei peccatori che sono in viaggio verso l’inferno e parlare loro del Vangelo, della salvezza che c’è in Gesù Cristo!

Infine non dobbiamo fare l’errore ed essere arroganti come lo erano i farisei e gli scribi, ma:
3) Dobbiamo accettare i perduti-ritrovati.
Il modello di amore, cura, gioia e accoglienza di Gesù Cristo, per i peccatori salvati deve essere anche della Sua chiesa, di tutti i cristiani.

Dio accoglie e si rallegra quando trova un peccatore perduto come un pastore che ritrova la pecora perduta, così anche noi dobbiamo esserlo!




Deuteronomio 2:7: Dio è fedele al Patto (2)

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