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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

La parabola del fariseo e del pubblicano (Luca 18:9-14)

 La parabola del fariseo e del pubblicano (Luca 18:9-14).
Dal modo di pregare possiamo vedere che tipo di rapporto abbiamo con Dio!

In questi versetti vediamo il tipo di rapporto di due uomini che hanno con Dio attraverso la loro preghiera! 

L’enfasi della preghiera è il modo di porsi davanti a Dio, quindi deve essere fatto con l’umiltà e Dio ci approverà!

Noi in questa parabola vediamo che Dio approva la preghiera fatta con umiltà e non quella fatta con orgoglio, vale a dire colui, che vuole essere ascoltato per i propri meriti, che confida nelle proprie opere!

Il brano quindi è polemico contro l’arroganza, l’orgoglio e incoraggia l’umiltà. 

Vediamo la motivazione e lo scopo della parabola per “certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri” (v.9).

“Persuasi” (pepoithotas- perfetto attivo participio), allude a uno stato di convinzione, una fiducia in se stessi, che risiede nella persona e questa non va via (cfr. Luca 11:22; 2 Corinzi 1:9; Ezechiele 33:13).

È la convinzione sbagliata, che per i meriti personali si è accettati da Dio.

“Giusti” (dikaioi), indica vivere in accordo con i requisiti di Dio. 


Questa parabola è indirizzata a tutti quelli che confidano che la loro propria giustizia guadagnerà il favore, la salvezza di Dio.

In particolare, la parabola era rivolta a certi farisei, che avevano strutturato un sistema legalistico di auto-giustizia che dominava e influenzava la vita in Israele.

Non solo queste persone, si credevano giusti, ma disprezzavano anche gli altri. 

“Disprezzavano” (exouthenountas- presente attivo participio) indica “innalzarsi su di loro”; “avere un'opinione bassa”, “considerare senza valore”, “ridicolizzare”, “trattare un’altra persona senza valore”, “rifiutare sprezzantemente” (Luca 23:11; Atti 4:11; Romani 14:3,10; 1 Corinzi 1:28; 6:4; 16:11; 2 Corinzi 10:10; Galati 4:14; 1 Tessalonicesi 5:20; Marco 9:12).

Noi, oggi, possiamo fare lo stesso errore quando ci paragoniamo con chi sta peggio di noi moralmente, ci possiamo sentire giusti davanti a Dio e disprezzare chi non cammina con Dio, dimenticandoci che anche noi una volta non eravamo parte del popolo di Dio! 

Quindi vediamo allora:
I LA PREGHIERA DI DUE UOMINI NEL TEMPIO. 
Il v.10 dice: “Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l'altro pubblicano”.

Le preghiere comunitarie erano offerte dalle 9:00 del mattino (Atti 2:15) e alle 15:00 di pomeriggio (Atti 3:1), le preghiere private erano in qualsiasi momento.          
    
A quei tempi, era abbastanza normale per coloro che desideravano essere fedeli a Dio andare al tempio a pregare (Isaia 56:7; Matteo 21:13).

Leggiamo che Gesù descrive due persone che sono in contrasto tra loro come il giorno e la notte: il fariseo e il pubblicano.

Il fariseo era considerato un santo, il pubblicano era un emarginato peccatore.

Ma non dobbiamo, comunque pensare che il fariseo rappresentasse tutti i farisei, e i pubblicani fossero tutti come questo pubblicano.

In primo luogo osserviamo:
A) La preghiera orgogliosa del fariseo (vv.11-12).
I vv.11-12 ci dicono: “Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: ‘O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo’”.

(1) Chi era il fariseo?
Il fariseo apparteneva al movimento più devoto dei Giudei.

La parola “fariseo” deriva da una parola ebraica (parus) che significa “separato”.

I farisei rispettavano rigidamente la legge di Mosè e le tradizioni, inclusa la purezza rituale e la pietà verso Dio. 

Secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio, i farisei erano i più osservanti tra i gruppi giudaici ed erano tenuti in grande considerazione dal popolo. 

Tuttavia alcuni farisei, come vediamo dai Vangeli, ma anche nella letteratura giudaica tradizionale, erano criticati da una parte della popolazione Giudaica per il loro orgoglio e per la loro pretesa di essere giusti.

Quest'uomo era un classico esempio di arroganza e di orgoglio!

Consideriamo: 
(2) Come pregava il fariseo? 
Nel v.11 è scritto: “Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé”.

Il fariseo pregava in piedi probabilmente a destra nel cortile interno del tempio separatamente. 

In piedi, era un modo abituale di pregare (Matteo 6:5; Marco 11:25). 

Pregava in silenzio, o a voce bassa (cfr. 1 Samuele 1:13).

In che cosa consiste la sua preghiera? Vediamo:
(3) Il contenuto della preghiera del fariseo.

a) Il fariseo mette in evidenza, ciò che non è, ringraziando Dio.
Nel v.11 leggiamo: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; neppure come questo pubblicano”.

Il “ringraziamento” non si concentra su Dio, ma orgogliosamente su se stesso! 
Mentre pregava, quest’uomo si auto-celebrava!

Notate che ringrazia Dio mettendo l’enfasi non sulla grazia di Dio, o sulla natura e le opere di Dio, ma è concentrato su se stesso compiacendosi su quello che era e faceva.       

Ha gettato uno sguardo su Dio, ma contemplava se stesso e ne era orgoglioso!

Philip Graham Ryken scrive: “Per il fariseo, la preghiera era un modo per ricordare a se stesso che grande persona fosse!”

La sua preghiera era pomposa e arrogante!

b) Il fariseo si vanta di ciò che non è, paragonandosi con gli altri.
Dice di non essere un ladro, ingiusto, adultero (cfr.1 Corinzi  5:10-11; 6:9-10), neppure come il pubblicano che era da quelle parti.

I farisei mantenevano le distanze dalle persone impure come il pubblicano, per timore che potessero essere contaminate.

I farisei si sentivano superiori e consideravano le persone comuni “maledette” (Giovanni 7:49; cfr. Giovanni 9:34; Atti 4:13). 

La sua preghiera, benché menzioni Dio, non è Diocentrica, ma egocentrica!

Come se stesse dicendo: “ringrazio Dio, che IO sono un grande uomo e non come gli altri peccatori!” 
Leon Morris a riguardo scrive: “Quanto il fariseo diceva di sé era assolutamente vero, ma lo spirito che animava la sua preghiera era completamente errato. Non vi scorgiamo alcun sentimento di peccato, nessuna manifestazione di un bisogno o di un’umile dipendenza da Dio. Poco mancava che il fariseo facesse i complimenti a Dio per l’eccellenza del suo servo. Il fariseo getta lo sguardo su Dio, ma contempla se stesso! Dopo le prime parole iniziali non si rivolge più a Dio, ma è lui stesso che rimane al centro della scena”.

Purtroppo questo spirito farisaico è molto diffuso ancora oggi: ignoriamo Dio ed esaltiamo noi stessi e i nostri pregi a spese di chi è diverso da noi. 

Possiamo avere questo senso di auto-compiacenza, di superbia confrontandoci e innalzandoci sugli altri e dimenticando che comunque ciò che siamo è per grazia di Dio! 

È facile che l’amore di Dio si trasformi in un amore idolatra di se stessi, scambiare quello che opera Dio in noi, come qualcosa di nostro, come un successo personale.

Paolo parlando del suo ministero, ma che possiamo applicare al nostro carattere afferma: “Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me” (1 Corinzi 15:10).  

Dunque, l'apostolo non si vantava in sé stesso, ma glorificava Dio, dicendo che tutto ciò che ha fatto è per grazia di Dio! 

L’apostolo scrive ancora: “Chi si vanti si vanti nel Signore” (1 Corinzi 1:31).

Perché mai ci si paragona con chi è peggio? 
Il fariseo per affermarsi, ha bisogno di coloro, che stanno peggio di lui, in questo modo può sentirsi giusto! 

Ma il paragone deve essere con Dio, come farà il pubblicano!

Questo modo di pregare superbo di paragone, non era sconosciuto, c’è uno scritto posteriore di un certo R. Nehumia: "Io ringrazio Te, o Signore Dio mio, perché tu mi hai stabilito fra coloro che siedono nella Beth ha-Midrash (Casa del sapere) e perché Tu non hai fissato il mio posto con coloro che siedono negli angoli (della strada), poiché io mi alzo presto ed essi si alzano presto, ma io mi alzo per tempo per le parole della Torah ed essi si alzano per tempo per conversazioni frivole; io mi affatico ed essi si affaticano e non ricevono un premio; io corro ed essi corrono, ma io corro la vita del mondo futuro ed essi corrono verso la fossa della distruzione".

Inoltre il Fariseo disprezza e giudica le mancanze del pubblicano! 
Facendo così, il fariseo si appropria, peccando, del ruolo di giudice su se stesso e sul pubblicano!      
      
c) Il fariseo si vanta per quello che fa!
Nel v.12 è scritto: “ Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo”.

Il Fariseo spiega la ragione perché è migliore degli altri: digiuna due volte la settimana e paga la decima su quello che possiede. 

Nella seconda parte della preghiera fa di più di quanto la legge prescriveva!

Anche se l’Antico Testamento parla di digiuni occasionali per chiedere l’aiuto di Dio, di pentimento, o umiliazione, o commemorativi per la caduta di Gerusalemme, digiunare due volte la settimana non era richiesto dalla legge  (Esdra 8:21; Neemia 9:1; 2 Samuele 12:16, Zaccaria 7:3,5; 8:19; cfr.2 Re 25:1-4; Geremia 39:1-4;ecc).

Il fariseo digiunando due volte la settimana stava facendo una cosa non richiesta dalla legge, infatti la legge richiedeva il digiuno una sola volta all’anno, il giorno dell’ espiazione.  (Levitico 16:29-34; 23:27-32; Numeri 29:7).

Nei Vangeli vediamo che i farisei osservavano giorni di digiuno (Marco 2:18; Matteo 9:14; Luca 5:33). 
C’era un digiuno volontario che di solito veniva praticato il lunedì e il giovedì, tradizionalmente si pensava che in questi giorni Mosè si avvicinò e scese dal monte Sinai. 

Per la decima il popolo era chiamato a dare una decima parte del raccolto o del gregge (Levitico 27:30-32; Numeri  18:21-24; Deuteronomio  14:22-27).

Quindi, la preghiera del fariseo dimostra il suo orgoglio, si vanta di se stesso!
      
Tutt’altra cosa è: 
B) La preghiera del pubblicano. 
Il v.13 dice: “Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me, peccatore!’”.

Il pubblicano apparteneva alla categoria più odiata dei Giudei. 
I pubblicani erano considerati traditori perché collaboravano con l’impero Romano,  erano preposti alla raccolta delle tasse, e spremevano il più possibile la popolazione,  vivevano approfittandosi del popolo. (Cfr. Luca 19:8).

Di solito rubavano ed erano corrotti, erano considerati impuri a causa del loro contatto con i Gentili, ed erano quindi stigmatizzati per questo.

Nessun ebreo rispettabile avrebbe mangiato, tanto meno voleva essere associato a un pubblicano: la feccia della società.

Il fatto che un pubblicano va al tempio per pregare sarebbe suonato strano e sconvolgente alle orecchie della gente che ascoltava la parabola, perché uno così difficilmente sarebbe andato al tempio a pregare!!

Infatti, di solito erano irreligiosi e sicuramente, nessun ascoltatore della parabola aveva mai sentito una cosa del genere!

Pertanto questo esempio serve a sconvolgere ancora di più coloro che si credevano giusti come i farisei (Luca 5:5; 7:34; 15:1).

Nel modo e nel contenuto della preghiera il pubblicano si differenzia dal fariseo.

Vediamo innanzitutto che:
(1) Il pubblicano stava in disparte dal fariseo e dagli altri oranti, quale segno d’ indegnità davanti a Dio e agli altri (1 Corinzi 15:9).

John MacArthur scrive: “Sopraffatto dal senso di colpa e dalla vergogna, aveva un senso opprimente della propria indegnità e alienazione da Dio. Il suo peccato, la sua disobbedienza e l'illegalità gli procurarono dolore, insieme alla paura e al terrore della punizione meritata”.

Questo senso d’indegnità deve caratterizzare la nostra fede e quindi anche la nostra preghiera.

(2) Il pubblicano non assume la postura abituale dell’orante, cioè in piedi e con gli occhi e le mani rivolte verso l’alto (Salmi 123:1; Giovanni 11:41; 1 Timoteo 2:8).
Ma tiene le mani entrambe abbassate, il che indica la vergogna per i suoi peccati e il senso di colpa (Esdra 9:6. Cfr. Romani 6:21).

(3) Il pubblicano si batte (etypten- imperfetto attivo indicativo) il petto continuamente, in successione rapida.
Questo è segno di estremo tormento, dolore, o contrizione (Luca 8:52; 23:27) come indica anche la preghiera (Cfr. Luca 23:48; Cfr. Matteo 5:4; Giacomo 4:7-10).

È anche probabile che il gesto indichi che il cuore è la fonte di tutto il male di una persona (cfr Genesi 6:5; 8:21; Geremia 7:24; 16:12; 17:9; Matteo 12:34; 15:19; Luca 6:45).

Il fariseo pensava agli altri come peccatori, invece il pubblicano pensava solo a se stesso come peccatore, quindi è implicito che si confrontava con Dio e non guardava agli altri. 
Questo è un segno di vera contrizione. 

Il pubblicano non cercava alcun conforto osservando gli altri, ma vede solo se stesso davanti a Dio, e si vede per quello che è: peccatore davanti a Dio bisognoso del Suo perdono.

Come Paolo, che si considerava il primo dei peccatori (1 Timoteo 1:15), l’atteggiamento e la confessione del pubblicano della sua estrema e profonda peccaminosità dimostra che si considerava il peggior peccatore di tutti.

Più cresciamo nella fede è più dovremmo avere la consapevolezza, il peso e l’orrore del peccato, perché il cristiano maturo nella sua crescita avrà una maggiore conoscenza di Dio e comunione con Lui.

(4) Il pubblicano invoca la pietà di Dio.
Nel v.13 leggiamo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!”.

Noi notiamo che a differenza del fariseo il pubblicano fa cordoglio per i suoi peccati!

La sua preghiera era per la misericordia e il perdono di Dio, come prega il salmista nel Salmo 51:1.

A differenza di colui che si esalta, che non riconosce la propria miseria spirituale, chi è relegato nel letame dell’umanità, riconosce il suo bisogno di liberazione e salvezza.

Il pubblicano sentiva il peso del suo peccato e della salvezza di Dio! 

È molto interessante che il verbo “abbi pietà” (hilasthēti - aoristo passivo imperativo) è  molto forte e indica  “sii misericordioso, propizio, favorevole verso di me”. 

In Ebrei 2:17 questa parola è associato a Gesù, al suo sacerdozio per l’espiazione dei peccati! “Perciò, egli doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa, per essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per compiere l'espiazione (hilaskesthai - presente medio indicativo) dei peccati del popolo”.

Mentre il sostantivo (hilastērion) è usato altrove nel Nuovo Testamento (Romani 3:25; 1 Giovanni 2:2; 4:10; Ebrei  9:5) per indicare che Gesù è il sacrificio propiziatorio. 

Il propiziatorio era il luogo in cui l’espiazione, o propiziazione avveniva tramite l’offerta di sacrifici di animali sotto l’Antico Patto che simboleggiavano quello di Cristo Gesù (Ebrei 9), secondo il piano salvifico di Dio, che divenne sacrificio propiziatorio per sempre con il Nuovo Patto. 

“Sacrificio propiziatorio”, indica che Gesù non solo copre i peccati di coloro che gli appartengono davanti a Dio, ma anche calma l’ira di Dio! (Cfr. Isaia 53:2-7; Giovanni 3:36; Romani 5:9-11).

Forse mentre guardava il fumo del sacrificio offerto che bruciava, il pubblicano bramava che i suoi peccati venissero perdonati e l’ira di Dio fosse rimossa da lui.

Quindi il pubblicano ha chiesto nella sua preghiera, la misericordia di Dio per i suoi peccati, che fossero coperti, perdonati e la collera divina rimossa da lui!  
Le Sacre Scritture ci dicono che senza sacrificio di Gesù non c’è remissione (Ebrei 9:22) 
         
Vediamo:
C) L’uomo che è stato giustificato è: il pubblicano.
Nel v.14 è scritto: “Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato”.

Nella cultura giudaica tra i farisei e i pubblicani, si pensava che i farisei avrebbero avuto la strada più aperta per il cielo.  

E quindi, senza dubbio, Gesù, ha scioccato il suo pubblico, perché erano sicuri che il fariseo fosse colui che avrebbe ottenuto l'approvazione di Dio, ma Gesù disse loro che invece, il pubblicano andò a casa giustificato!
Come credenti non siamo sorpresi! Perché sappiamo che Dio accetta gli umili e i bisognosi, non i superbi e coloro che disprezzano gli altri!

Sappiamo che Dio accetta, perdona e salva i peccatori per grazia attraverso la fede (Efesini 2:10). 

Sappiamo perché Dio ha accettato, perdonato e salvato il pubblicano, lo ha fatto per la Sua sola grazia. 

Possiamo ricordare una strofa del meraviglioso inno di John Newton del 1779: ”Stupenda grazia” che dice: “Stupenda grazia del Signor
che dolce questo don!
Un cieco ero io
ma Cristo mi sanò;
perduto, or salvo son”.

Dio conosce i cuori e comunque in Luca 16:15 leggiamo di Gesù: “Ed egli disse loro: ‘Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio’”.  

Non è stato giustificato il più religioso, il fariseo, ma il pubblicano! 

Il termine "giustificato" (Dedikaiōmenos - perfetto passivo participio) è “essere stato permanentemente giustificato”; ha il senso, come ne parla Paolo, forense, legale, vale a dire che Dio dichiara giusto il peccatore perdonandolo. 

Indica mettere il peccatore nella posizione appropriata, giusta davanti a Dio, in cui Dio è soddisfatto e il peccatore accettato! (Romani 4:23-25; 5:1-2).

La grazia rende possibile la salvezza, come dimostra anche il perdono di Gesù con Zaccheo, un altro  pubblicano che si è pentito dei suoi peccati (Luca 19:8-10).

Come mai il fariseo che in apparenza aveva fatto ciò che diceva la legge, non è stato giustificato? 

(1) Perché egli non si considerava un servo indegno avendo fatto solo il suo dovere (Luca 17:10).
In realtà egli riteneva di aver fatto di più di quello richiesto da Dio.

Il fariseo non è stato giustificato:
(2) Perché egli era orgoglioso si considerava giusto secondo la propria giustizia e guardava dall’alto in basso e giudicava il pubblicano disprezzandolo! (cfr. Romani 10:3-4; Filippesi 3:9).
In questa parabola non è condannato il modo di vivere del fariseo, perché Dio vuole che noi non rubiamo, che non siamo ingiusti, o adulteri, che diamo la decima e digiuniamo, ne vuole che imitiamo lo stile di vita peccaminoso del pubblicano!

In questa parabola si rimprovera al fariseo soltanto di aver un’elevata opinione di se stesso confrontandosi e mettendosi al di sopra degli altri. 

Il filosofo Epitteto (50-125 d.C.) era del parere che non è opportuno confrontare i risultati di uno con quelli degli altri. È una cosa vana e volgare da fare. 

Questo è stato uno dei peccati del fariseo.

La preghiera del fariseo dimostra il suo orgoglio, si vanta di se stesso pensando di essere l’unico giusto sulla terra!    

La preghiera del fariseo dimostra ancora l'orgoglio nel confidare in se stesso per essere approvato da Dio!

Il fariseo non è stato giustificato:
(3) Perché la giustizia umana, perfino come quella dei farisei, non può soddisfare pienamente la giustizia di Dio (Romani 9:30-33).

L’umanità si è sempre chiesta come poter essere riconciliati con Dio.

Religioni e filosofie provano a rispondere a questa domanda, e in generale si risponde praticamente enfatizzando le buone opere, gli sforzi umani, l'illusione che le loro buone azioni superano quelle cattive, quindi mette al centro l’uomo  e come dice la Bibbia la salvezza che è solo opera di Dio, per la Sua grazia, in Gesù Cristo.

Quindi in definitiva abbiamo due approcci diversi: la religione delle opere e la salvezza della grazia di Dio per fede.

Il fariseo, al contrario del pubblicano, pensava di non aver bisogno del perdono di Dio, pensava di essere senza peccato e quindi di non essere in debito con Dio!

In Matteo 5:48 Gesù ci dice: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”. (cfr. Levitico 11:45; 19: 2; 1 Pietro 1:16).

Lo standard che Dio richiede è la Sua perfezione assoluta manifestata attraverso la perfetta obbedienza alla Sua legge, non solo con le azioni, ma anche con i pensieri (Matteo 5:21-47; 2 Corinzi 7:1).

Questa obbedienza deve essere completa(Matteo 5:19; Giacomo 2:10).

Ovviamente, lo standard divino è impossibile da raggiungere! 

In questo siamo tutti mancanti; infatti il profeta ci dice che tutta la nostra giustizia è un abito sporco davanti a Dio (Isaia 64:6).  

Nessuno sarà trovato giusto davanti a Dio con le proprie opere (1 Re 8:46; Salmo 143:2; Proverbi 20:9; Ecclesiaste 7:20; Romani 3.23; 1 Giovanni 1:8-10).

È impossibile per i peccatori cambiare la loro natura e diventare santi e giusti (Giobbe 9:2; 25:4; Geremia 17:9; 13:23). 
Per l’uomo è impossibile salvarsi con le sue forze, con le sue opere (Romani 3:19-20).

Non importa quanto una persona possa essere zelante per Dio (Romani 10: 2), nessuno che mette fiducia nella propria giustizia sarà giustificato!

Alla domanda dei discepoli: “Chi dunque può essere salvato?”, Gesù rispose: “Agli uomini questo è impossibile; ma a Dio ogni cosa è possibile” (Matteo 19:25-26).

Noi siamo giustificati attraverso l’opera e l’intercessione di Gesù Cristo (Isaia 53:10-11; Matteo 20:28; Romani 5:1-11), per la sola grazia di Dio mediante la fede, e non per le nostre opere, o meriti! (Genesi 15:6; Abacuc 2:4; Romani 3:21-28; 4:4-5; 5:1; 2 Corinzi 5:21; Galati 2:16; Filippesi 3:4-9). 

Non c’è nessuno che abbia qualcosa per cui vantarsi davanti a Dio! 

Quindi voler essere giustificati per la propria giustizia, è una falsa sicurezza, perché tutto il meglio che possiamo fare non ci salva dall'ira di Dio!

Inoltre la salvezza per grazia significa che non ci possiamo mai sentire religiosamente superiori a un altro disprezzandoli, perché anche noi siamo peccatori. 

Consideriamo ora:
II IL PRINCIPIO TEOLOGICO (v.14).
Il v.14 dice: “Perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato”.(cfr. Matteo 23:12;Luca 14:11).

L’arroganza spirituale sarà umiliata! Questa esaltazione presuntuosa di sé, Dio la rovescia!

Gesù ci ha dato questa parabola perché il suo messaggio salvifico era quello di umiliare quelli che si esaltavano ed esaltare quelli che si umiliavano (v. 14).

“Sarà esaltato” (hupsōthēsetai - futuro passivo indicativo) in questo contesto è sinonimo di giustificazione, di salvezza.

Mentre “sarà abbassato” (tapeinōthēsetai - futuro passivo indicativo) è condannato, considerato colpevole.

In primo luogo:
A) Questa parabola c’insegna qual è la via della salvezza e la vera devozione: l’umiltà!          
Chiunque “si abbassa” (tapeinōn – presente attivo participio)  sono coloro che nel presente si umiliano e confessano di non poter fare nulla per salvarsi, questi saranno esaltati alla gloria eterna.

Com’è accaduto al ladrone in croce che ha confessato di aver sbagliato ed è stato salvato (Luca 23:40-42).

“Umiltà” significa riconoscere il nostro stato di mancanti davanti a Dio e dipendere totalmente da Dio e non da noi stessi!      
    
Il punto centrale, dunque, è l’atteggiamento di umiltà che dobbiamo avere nella vita e nelle preghiere davanti a Dio, così saremo esauditi! 

Il principio teologico, allora, fondamentale che troviamo qui è che Dio onora l’umiltà!

Noi troviamo questa verità in diverse parti nella Bibbia: 
Nel Salmo 34:18 è scritto: “Il SIGNORE è vicino a quelli che hanno il cuore afflitto, salva gli umili di spirito”.
                        
Nel Salmo 51:17 leggiamo: “Sacrificio gradito a Dio è uno spirito afflitto; tu, Dio, non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato”.    

Giacomo 4:6 dice: “... Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura dice: ‘Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili’”.    
    
L’umiltà è illustrata nei bambini. 
In Luca 18:15-17 leggiamo: “Portavano a Gesù anche i bambini, perché li toccasse; ma i discepoli, vedendo, li sgridavano. Allora Gesù li chiamò a sé e disse: ‘Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro. In verità vi dico: chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto’”.

Chi non riceve il regno di Dio come un bambino non sarà salvato.
Questo significa due cose:
•Che i bambini sono salvati.
•Che chi vuole essere salvato deve assomigliare ai bambini, deve ricevere il regno di Dio come i bambini.

Qual è la natura di un bambino e cosa fa?
(1) Il bambino non aveva valore secondo la mentalità giudaica.
Al bambino non era data molta importanza, i bambini erano visti senza valore perché non erano maturi nel senso di capacità spirituali (cfr. Matteo 18:10; 1 Corinzi 13:11; 14:20). 

Il bambino non aveva nulla da mostrare, nessuna opera da far valere.

Quindi per la salvezza non dobbiamo far valere i nostri meriti perché non li abbiamo (Romani 4:4-5; Filippesi 3:4-9).

Certo ammettere oggi le nostre debolezze e fallimenti è un tabù nella nostra cultura. 

Non è bello ammettere i nostri errori o che abbiamo bisogno di aiuto, tanto meno di Dio.
È andare contro corrente!

Ma grazie a quest’ammissione abbiamo  l'approvazione del Dio misericordioso ed è quello di cui abbiamo bisogno!!

(2) Il bambino è impotente e dipendente dall’adulto. 
Il bambino è incapace di fare certe cose e non ha niente da dare. 

Così noi dipendiamo interamente da Dio per la nostra salvezza come i bambini dipendono dagli adulti.   

Non possiamo dipendere dai nostri meriti!

(3) Il bambino è semplice e spontaneo (Matteo 11:25).
Il bambino crede a quello che gli si dice, quindi significa porre fiducia, accogliere il Vangelo così com'è. 

Vediamo perciò, che una persona salvata è umile e crede. 
Affidati semplicemente e umilmente a Gesù per la tua salvezza.

In secondo luogo:
B) Questa parabola c’insegna come nasce l’umiltà.

(1) Il pubblicano c’insegna che l’umiltà nasce dal confronto con la legge e la santità di Dio. 
Dio è al centro della sua preghiera, perché si vede giudicandosi alla luce del modello della legge e del carattere di Dio, perciò si considera un peccatore e invoca la misericordia di Dio.

Jonathan Edwards disse: “L'umiltà può essere definita come un abito della mente e del cuore corrispondente alla nostra indegnità comparativa e viltà davanti a Dio”.

L’umiltà non è altro che morire a noi stessi davanti la visione della maestà di Dio! 

Quando sei consapevole di quello che è Dio, allora il tuo io diventa niente! 

Quando ci confrontiamo con Dio allora diventiamo un nulla! 

Abramo mentre pregava Dio si considerava "polvere e cenere" (Genesi 18:27).

Isaia davanti la gloria di Dio si umiliò davanti a Dio (Isaia 6:1-6). 

O quando Pietro sperimentò la potenza di un miracolo di Gesù disse a Lui: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” (Luca 5:8). 

Quindi il pubblicano non si confronta con gli altri e nemmeno con quello che fa, come il fariseo, ma con la legge e la grandezza di Dio!

Se vuoi imparare l’umiltà e percorrere la via della salvezza, allora confrontati con Dio!

(2) Il pubblicano ha usato l’espressione “abbi pietà di me” per indicare l’espiazione dei peccati tramite sacrificio.
Come non c’è espiazione dei peccati senza sacrificio, così non c’è umiliazione senza il guardare al sacrificio di Cristo. 

La croce è la via della nostra umiltà perché ci parla di quanto Dio è santo  e di quanto noi siamo peccatori!

La croce indica che sei un peccatore!

In questo senso quando noi contempliamo e ci rispecchiamo alla croce, lo Spirito Santo opera in noi e quindi ci umiliamo davanti a Dio! (Cfr. Matteo 5:3).    
Il vescovo anglicano John Ryle (1816-1900) disse: “La persona che realmente conosce se stesso e il proprio cuore, che conosce Dio e la sua infinita maestà e la santità, che conosce Cristo e il prezzo con il quale egli è stato redento, questa persona non sarà mai una persona orgogliosa”.  

Come cristiani, come discepoli di Gesù, Colui che morì sulla croce, Colui che è stato umile (Filippesi 2:5-11; Matteo 11:29), siamo chiamati a seguire il Suo esempio di umiltà. 

Gesù umiliò se stesso, spogliandosi della Sua divinità, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini, facendosi ubbidiente al Padre fino alla morte in croce.  

Perciò se vuoi imparare l’umiltà, guarda all’esempio di Cristo! 

CONCLUSIONE. 
La parabola è un invito a ognuno di noi a guardarsi dentro di sé alla luce di ciò che è Dio, perché parla di qualcosa di radicato in ognuno di noi:l’orgoglio! 

In Proverbi 18:12 leggiamo: “Prima della rovina, il cuore dell'uomo s'innalza, ma l'umiltà precede la gloria”.

Se non sei umile riconoscendo di avere bisogno di Dio a causa dei tuoi peccati e se non ti affidi  completamente a Dio in Cristo per essere salvato, ti aspetta la rovina! Ti aspetta l’inferno!

Forse non c’è nulla di più chiaramente condannato nella Bibbia come l’orgoglio, o di una trappola dove l’uomo cade facilmente come l’orgoglio.

Noi abbiamo visto che l’umiltà davanti a Dio è collegata con gli uomini! 
Se non sei umile davanti a Dio non lo sarai con gli uomini.

L’umiltà caratterizzerà il nostro cammino di fede e il nostro servizio cristiano. 

Come Gesù è stato umile ubbidendo, facendo ciò che gli chiedeva il Padre e dipendendo completamente dal Padre (Giovanni 6:38; Filippesi 2:5-11; Ebrei 10:9), così farà anche il credente! 

In Matteo 11:28-30 leggiamo: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo.  Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”.

Il giogo era quel pezzo di legno che si metteva sui buoi per arare, e camminavano insieme e si sostenevano insieme.

Prendere il giogo di Gesù significa camminare in sottomissione a Gesù! (Geremia 2:20, Lamentazioni 3:27).
Sarà un carico pesante?..... No!! 
Il giogo è dolce e il carico leggero!

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