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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Matt. 9:36-38. Il raccolto e gli operai.

Matteo 9:36-38. Il raccolto e gli operai.  
Matteo 9:35-38 funziona come base teologica al discorso missionario. 
Matteo inizia dicendo ai suoi discepoli che la missione è parte del suo ministero (Matteo 9:35) ed è un risultato della sua compassione per le persone (Matteo 9:36). 

Questo è un punto di svolta nel ministero di Gesù, vuole preparare e coinvolgere i Suoi discepoli per l’opera missionaria, infatti c’è molto lavoro da fare, e fino a quel momento aveva fatto tutto Gesù: predicazione, insegnamento, guarigione; i Suoi discepoli erano stati semplicemente osservatori e ascoltatori.

Noi in questo testo vediamo la compassione, il comando e la commissione.


Cominciamo con:
I LA COMPASSIONE (v.36).
Nel v.36 leggiamo: “ Vedendo le folle, ne ebbe compassione”.

Gesù attirava grandi folle sia perché volevano ascoltare il Suo insegnamento (cfr. Matteo 7:28-29; Giovanni 7:46), e sia perché guariva da ogni malattia e infermità (Matteo 14:34-36; Marco 6:55-56; cfr. Matteo 9:35).

Gesù vedendo le folle ne ebbe compassione.

Che cos’è la compassione? Meditiamo riguardo:
A) La caratteristica della compassione.
“Ne ebbe compassione” (esplanchnisthē – aoristo passivo indicativo) indica avere pietà, avere affetto, simpatia per qualcuno.
Gesù ha simpatizzato e simpatizza per i bisogni delle persone! (Ebrei 4:14-16).

Gesù sente e prende i dolori del popolo, li sente in profondità ed è ansioso di aiutarli.

La compassione è identificarsi con la situazione che vive una persona e l’azione per soddisfare il loro bisogno, l’azione per il loro beneficio.

La compassione è una reazione viscerale, è qualcosa che viene dal profondo del proprio intimo, infatti la parola “compassione” (splagchnízomai) è formato da una parola (splagchna), che significa intestino. 

Le "parti interne" del corpo erano considerate dagli antichi greci come il luogo delle emozioni, come fonte delle emozioni, fonte di rabbia e ansia, ma anche di pietà e misericordia.

La compassione di Gesù è unica tra le religioni e non comune tra gli uomini.
Tra le varie religioni e tra i capi delle grandi religioni non si trova nulla del genere, non si trova una compassione di questo genere!

Nei Vangeli vediamo che:
(1) Gesù aveva compassione per la sofferenza fisica delle persone. 
Gesù aveva compassione per gli ammalati (Matteo 14:14), per i ciechi (Matteo 20:34) e per coloro che erano posseduti dai demoni (Marco 9:22). 

(2) Gesù aveva compassione per la tristezza delle persone.
Quando vide quella vedova a Nain che piangendo stava andando a seppellire il suo unico figlio, Gesù ebbe pietà di lei e risuscitò il figlio morto (Luca 7:13). 

(3) Gesù aveva compassione per gli affamati. 
Lo vediamo quando fece la moltiplicazione dei pani e dei pesci per più di quattromila persone (Matteo 15:32). 

(4) Gesù aveva compassione per gli emarginati.
I lebbrosi vivevano nella solitudine e nell’abbandono, nessuno voleva stare con loro per paura di prendere la loro malattia.
Un lebbroso invocò Gesù per essere guarito e Gesù impietositosi lo guarì (Marco 1:41).

Infine, come in quest’occasione:
(5) Gesù aveva compassione del disorientamento delle persone. La gente comune desiderava disperatamente Dio, e i capi religiosi della religione ortodossa del Suo tempo (scribi e farisei, sacerdoti e sadducei) non gli offrivano né guida, né conforto, né forza.

Esaminiamo ora:      
B) La causa della compassione.
Gesù aveva compassione delle persone che soffrivano di malattie, che erano indemoniate, ma soprattutto aveva compassione per i loro bisogni spirituali e per questo che è venuto sulla terra: per caricarsi dei nostri peccati! (per esempio Isaia 53; Matteo 1:21). 
Gesù quando vedeva le persone, vedeva la profondità e la devastazione del loro peccato e la disperata condizione della loro cecità e perdizione spirituale. 
Di conseguenza, aveva compassione per loro come solo Dio poteva avere. 
Egli sentiva i loro dolori, sapeva quali fossero i loro bisogni e si prendeva cura di loro perché era Dio incarnato ed è la natura di Dio amare e curare, perché "Dio è amore" (1 Giovanni 4:8).

La compassione è usata per descrivere l'atteggiamento di Gesù e caratterizza la natura divina dei suoi atti è una caratteristica messianica di Gesù piuttosto che la semplice rappresentazione di un'emozione. 
Ciò che dobbiamo vedere qui non è la compassione puramente umana, ma la compassione divina per le persone in difficoltà.

Infatti troviamo:
(1) La folla stanca.
Nel v.36 è scritto: “Perché erano stanche” .
“Erano stanche” (eklelumenoi – perfetto medio participio), l’immagine è di un cadavere che è maciullato, lacerato e scorticato.

Oppure qualcuno che è stato derubato per estorsione, o pestato da quelli senza pietà, o trattato con arroganza insopportabile.

O qualcuno che è completamente stanco da un viaggio che sembra non conoscerne la fine. 

Ci troviamo davanti a delle persone turbate, sconcertate o sconvolte, confuse, stanche, esauste, esaurite.

Matteo descrive ancora:
(2) La folla sfinita.
Sempre nel v.26 leggiamo: “E sfinite”.
“Sfinite” (errhimmenoi – perfetto medio participio) indica prostrato; come qualcuno prostrato a bere, o qualcuno gettato a terra con ferite mortali, quindi abbattuto (cfr. Giudici 4:22 della Settanta).

Stiamo parlando di persone inermi, incapaci di salvarsi o di sfuggire ai loro tormentatori.

Quindi il loro stato di sofferenza e d’impotenza era simile a quello delle pecore senza un pastore, di pecore impotenti, ferite e lacerate da animali ostili, a terra mezze morte.

Il senso potrebbe essere che queste persone si trovano passive sul terreno, senza avere il senso di cosa fare nel loro bisogno: mancano del ruolo protettivo e guida di un pastore.

I leader non hanno adempiuto la loro responsabilità per guidare e proteggere la gente, e perciò la gente è stanca e sfinita, o sono stati loro stessi, senza scrupoli a sfinirli, usandoli per i loro interessi! (cfr. Ezechiele 34:2-4; Zaccaria 11:16).
I capi religiosi di Israele non sono pastori fedeli, ma predatori viziosi.

Quindi: 
(3) La folla è smarrita. 
Nel v. 36 Gesù fa una similitudine con le folle, sono: “Come pecore che non hanno pastore”.

Le pecore sono animali indifesi, senza un pastore sono vulnerabili a ogni attacco. 
Anche senza predatori, sono in difficoltà non sono in grado di foraggiarsi da soli, a differenza delle capre, hanno bisogno di un pastore per essere condotti in pascoli verdi e in acque calme (Salmo 23: 2). 

Le pecore senza pastore è un’immagine biblica che descrive la disperata situazione di una popolazione senza una cura e una guida spirituale adeguata.

Il profeta Ezechiele aveva paragonato Israele alle pecore disperse senza un pastore che sono diventate un pasto per le bestie dei campi, e questo a causa dei capi, dei pastori d’Israele che pensavano ai loro interessi piuttosto che pascere il gregge, che hanno dominato su di loro con violenza e asprezza piuttosto che prendersi cura delle pecore deboli, di guarire le malate, di cercare e ricondurre le smarrite (Ezechiele 34:5-6; vedi anche Numeri 27:16-17; 1 Re 22:17; 2 Cronache 18:16; Geremia 50:6; Zaccaria 11:15-16).

Come nei giorni dei profeti, anche ai tempi di Gesù, i capi religiosi d’Israele erano irresponsabili, falsi ed egoisti, quindi la popolazione era trascurata perché i pastori, non si prendevano cura del gregge del Signore e questa si perde (Matteo 10:6; 15:24).

I capi religiosi, ai tempi di Gesù, non hanno dato alle persone pascoli spirituali, né li hanno nutriti, né hanno curato le loro ferite,  
non hanno soddisfatto i loro bisogni spirituali. 
Di conseguenza, la gente era stata lasciata stanca e sfinita!

I capi religiosi avrebbero dovuto dare agli uomini e alle donne la guida spirituale, il conforto, la forza di vivere, invece li scombussolavano confondevano con sottili argomentazioni sulla legge e tradizioni umane che non davano loro alcun aiuto e conforto  (Matteo 15:1-9).

I capi religiosi avevano una visione superficiale e ipocrita della vera legge di Dio, e stavano offrendo una religione che era un handicap invece di un sostegno. 

Ecco perché Gesù in Matteo 11:28 dirà: “ Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo”.
Gesù si riferisce a tutti coloro che erano oppressi dal carico pesante di norme e regolamenti, tradizioni umane, per piacere a Dio, messi sulle loro spalle dagli scribi e dai farisei.

In Matteo 23:4 parlando degli scribi e dei farisei Gesù dice: “Infatti, legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito”. (cfr. Matteo 15:3-9; Atti 15:5-10).

Le pecore lasciate a se stesse, non protette sono esposte al pericolo e quindi anche esposte a “pastori” che cercano i propri interessi a danno delle pecore.

Le persone, come le pecore, avevano bisogno di vere guide e di pastori che si prendono sinceramente cura di loro e non le abbandonano (cfr. Giovanni 10:12).

Ora l'immagine delle pecore che non hanno pastore, mette in evidenza la colpa dei pastori che non hanno dato al popolo la cura spirituale, così questo passo può essere visto anche come un rimprovero per le guide spirituali d’Israele.

Gesù, quindi in questo contesto è compassionevole non solo per le malattie, ma anche per il grande bisogno spirituale del popolo che non ha nessun punto di riferimento, la cui vita sembra inutile.

Gesù è la risposta a loro!
Dio manda così il pastore messianico compassionevole: Gesù.
Come il Signore ha nominato Giosuè a succedere a Mosè, affinché a Israele non sarebbe mancato un pastore (cfr. Numeri 27:17), il Padre ha stabilito suo Figlio, Gesù come per pascere il suo popolo (Ezechiele 34:23; Michea 5:1-4; Matteo 2:4-6; Ebrei 13:20; 1 Pietro 2:25; 5:4).

Gesù è il buon pastore, è venuto a dare la sua vita per le “pecore”, i credenti, per salvarli dal peccato, è venuto affinché le “pecore” abbiano vita e l’abbiano in abbondanza (Matteo 1:21; Giovanni 10:10-11).

Gesù è venuto a cercare le pecore perdute (Luca 15:3-7; Giovanni 10:14-17; cfr. Ebrei 13:20; 1 Pietro 2:25).

Anche oggi viviamo in una società smarrita, dove le persone sono confuse, perdute a causa del peccato, a queste dobbiamo dire che Gesù è il buon pastore che si vuole prendere cura di loro!

Attenzione che anche oggi ci sono pastori che non sono mandati da Dio, lupi rapaci che guardano solo i loro interessi di questi dobbiamo stare attenti (Atti 20:28-29; Giuda).

II IL COMANDO (vv.37-38).
Il comando che troviamo è quello di pregare che i messaggeri del Vangelo siano mandati in mezzo la gente visto che c’è il bisogno spirituale di persone stanche e sfinite, senza vere guide spirituali che vengono da Dio.

Nei vv.37-38 leggiamo: “Allora disse ai suoi discepoli: ‘La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai.  Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse’”.

I versetti 37-38 hanno giustamente condotto i cristiani in tutte le età e generazioni a pregare, a chiamare e a inviare uomini e donne per la missione con varie responsabilità. 

La necessità rimane urgente come sempre, con milioni e milioni di persone che non hanno ascoltato il Vangelo.

Prima di tutto vediamo allora:
A) Il problema che stimola la preghiera.
Nel v.37 Gesù dice: “La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai”.

Il problema che stimola la preghiera è dunque la carenza di operai nella mèsse (therismos) del Signore.

A che cosa si riferisce mèsse?
“Mèsse” (therismos) si riferisce al raccolto, è l’operazione di falciare e raccogliere i cereali, in modo particolare il grano.

“Grande” (polus) indica numeroso, abbondante.

Spostando la metafora dalla pastorizia all’agricoltura, Gesù parla di una grande raccolta che necessita di molti raccoglitori. 

Se l'immagine senza pastore esprime la disperazione della situazione d’Israele, l'immagine della raccolta esprime l'urgenza di questa disperazione. 

Non importa quanto grande possa essere lo sforzo di chi è già impegnato nell’opera di Dio, lo sforzo personale, non sarà in grado di raccogliere tutto il raccolto! 

Questo grande raccolta è interpretato in due modi.
La prima interpretazione è come metafora del giudizio di Dio (Isaia 17:4-6; 24:12-13; 27:12; Geremia 51:33; Osea 6:11; Gioele 3:13; cfr. Matteo 3:12; 13:24-30, 36-43; Apocalisse 14:14-20).
Molti commentatori vedono questo versetto come un avvertimento a Israele, e quindi a tutte le persone oggi, che il tempo di giudizio è vicino.

Altri, consapevoli di questa interpretazione dicono che Gesù, non fa riferimento al giudizio, piuttosto, come con la metafora della pesca di Matteo 4:19, l'attenzione è ora sul raccogliere le persone a Gesù Cristo, o a Dio.

La metafora del raccolto come giudizio verrà sviluppata in Matteo 13:24-30,36-43 (cfr. Matteo 24:31), dove sarà chiaro che nel raccolto poi ci sarà anche la necessità di separare il grano, cioè i credenti dalle zizzanie, vale a dire i non credenti e questo avverrà con l’aiuto degli angeli e non degli uomini (Matteo 13:24-30,36-43; 24:31).

Qui, come anche in Giovanni 4:35-38, non si parla di giudizio, la mèsse, è il raccolto maturo, è il raccolto di nuovi credenti per il regno di Dio, quindi si parla di missione per la salvezza degli eletti di Dio.

Il raccolto rappresenta le persone che sono pronte a rispondere al messaggio della salvezza e Gesù invita i suoi discepoli a pregare Dio per chiamare e inviare i messaggeri che proclameranno a loro la buona notizia.

Secondo la prima interpretazione è importante pregare il Signore che mandi più operai così da salvare più persone possibili dal giudizio di Dio. 

Secondo la seconda interpretazione la salvezza di molti è certa, e sono tanti.
Gesù prevede ora una vasta raccolta di grano maturo che necessita di raccoglitori, occorrono molti operai, il segno attuale è la venuta di folle impazienti che andavano a Gesù.

Un raccolto di grano ha bisogno di lavoratori per portare il grano nel fienile; senza i lavoratori il raccolto non può essere raccolto, e Gesù dice che nel gran raccolto di cui parla, i lavoratori sono pochi.

Comunque, anche se gli studiosi non sono concordi sull’interpretazione, è certo che Gesù non fa appello ai lavoratori per aiutarlo a eseguire il giudizio finale. 

La parabola rende chiaro che i discepoli non hanno alcuna attività di cercare di separare i credenti dai non credenti (Matteo 13:24-30). 
L'invio degli operai per il raccolto deve dunque avere l'obiettivo positivo di annunciare alla popolazione la buona notizia, l’arrivo del regno di Cieli (Matteo 10:7). 
Avvertiranno anche che il rifiuto del loro annuncio comporterà il giudizio (Matteo 10:15; 11:20-24). 

La missione riceverà, o una risposta positiva, o una risposta negativa, e alla fine sarà separato il grano dalle zizzanie (Matteo 13: 41-43) e pesci buoni dai cattivi (Matteo 13:47-48), i credenti dai non credenti

È dunque, necessario un gran numero di operai nel presente per la missione salvifica delle persone dal peccato e dall’ira di Dio, e alla fine della storia, il Figlio dell'uomo invierà i suoi angeli per raccogliere un raccolto di persone destinate all’inferno (Matteo 1:21; 13:39-42; 47-48; Giovanni 3:16-36; Romani 5:1-11).

Quindi ecco:
B) Il posto della preghiera.
La preghiera è importante!

Al v.38 leggiamo: “Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse”.

“Pregate” (deēthēte – aoristo passivo imperativo) il significato originario si riferiva a una mancanza, a una necessità, da cui ha sviluppato il significato di chiedere, supplicare; in questo caso supplicare Dio per un bisogno urgentemente, per qualcosa che manca.

Il verbo è all’imperativo, quindi è qualcosa che va fatto “punto e basta”!

Noi vediamo che Gesù dà molta importanza alla preghiera, e non solo in questo passo (Matteo 6:5-7; 7:7-11; Luca 18:1-8; Giovanni 14:13); anzi Lui stesso era un uomo di preghiera (Marco 1:35; 6:46; Luca 6:12).

Tanti altri passi del Nuovo Testamento ci esortano a pregare sempre (Per esempio Romani 12:12; Efesini 6:18; Colossesi 4:2; 1 Tessalonicesi 517).

In un'epoca come la nostra, ci aspetteremmo una chiamata a un'azione più vigorosa ed efficace, il che non è sbagliato, ma Gesù ci dice che è anche molto importante pregare!
Eppure è una cosa che trascuriamo molto, nonostante sia un’attività che possiamo fare tutti!

Infine vediamo:
III LA COMMISSIONE (v.38).
Il v.38 dice: “Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse”.

Al v. 35 leggiamo che Gesù era un predicatore itinerante, e andava in tutte le città e i villaggi, ammaestrando e proclamando nelle sinagoghe il Vangelo del regno di Dio e guarendo le persone da ogni malattia e infermità.

Gesù, nella sua umanità, quando era sulla terra, poteva incontrare personalmente le persone un po' alla volta e circostanziate, quindi commissionerà i suoi discepoli per cominciare a raggiungere molte altre persone in altri luoghi, e allora saranno necessari molti altri operai (cfr. Matteo 10; Luca 10:1-12; Matteo 28:18-20). 

Dopo la Sua resurrezione e ascensione i Suoi discepoli dovevano raggiungere tutto il mondo, per un tale compito, quindi gli operai, i discepoli sarebbero stati sempre pochi, per questo è importante pregare perché il Signore mandi più operai.

Questo è un comando anche per noi! 

Gesù mette l'attenzione dei discepoli sul forte contrasto tra il gran numero di persone che costituiscono il raccolto e la scarsità dei lavoratori. 

Nella commissione vediamo:
A) Il proprietario.
Chi pregare e chi sarà il mandante degli operai?
Gesù dice: “Il Signore della mèsse”.

“Signore della mèsse” (Kuriou tou therismou) indica il proprietario del terreno agricolo e si riferisce a Dio, il Sovrano Supremo del raccolto, solo Lui può inviare lavoratori nel suo raccolto.

“Signore della mèsse” è colui che chiamerà per il lavoro e governerà le azioni dei mietitori riguardo il raccolto che è Suo.

La missione del “raccolto”, la missione per la salvezza dei peccatori, è sotto il controllo di Dio (per esempio Atti 2:47; 13:48).
  
Tendiamo a concentraci sui numeri, ma non sono solo numeri che contano.
Se guardiamo bene questo versetto, vedremo che è anche importante che i lavoratori siano il giusto tipo: devono essere persone inviate da Dio, non persone che si sono auto-nominate, perché il raccolto è il raccolto di Dio! 
Dio è il Signore della mèsse e non possiamo fare come ci pare a noi!

Chi non è inviato da Dio non avrà la Sua benedizione, la Sua autorità e abbandoneranno le pecore in caso di pericolo (cfr. Matteo 10:1; Atti 19:13-17; Geremia 14:15-16; Giovanni 10:11-13).

È importante che questi missionari facciano gli interessi del Signore della mèsse e non come i pastori a cui si riferiva Ezechiele che erano egoisti e negligenti!

“Mandi” (ekballē) è un termine forte, che significa "spingere avanti", è un forte impulso (per esempio Marco 1:12; 16:9) e implica l'urgenza della missione. 

Può fare riferimento sia alla chiamata di un nuovo operaio, o di incoraggiamento a operare per chi già lo è (Cfr. Atti 17:10,14), e in questo senso implica anche una volontà di andare avanti a causa della propria debolezza e della malvagità e dell'opposizione degli uomini.

Nella commissione vediamo:
B) Il lavoratore.
Gesù ci esorta a pregare, ma vediamo anche che dobbiamo agire! Questo è anche il significato implicito dei vv.37-38.

Buttrick ci ricorda: "La preghiera non deve essere un sostituto del lavoro: i discepoli dovevano essere raccoglitori e uomini preghiera. Ma il lavoro non sarà fatto senza preghiera”.

Nei vv.37-38 vediamo due aspetti importanti: (1) Gesù sta dicendo ai suoi discepoli che egli non completa la missione di Dio da solo; (2) per la prima volta chiama il suo discepolo ad adottare azioni specifiche e cruciali per quanto riguarda il suo ministero; c’è un grande cambiamento in cui sono ora parte essenziale della missione di Gesù.

Oggi l’opera di Dio non è stata completata, c’è bisogno di più operai per completarla.

Non si parla nello specifico delle caratteristiche dell’operaio se non solo che deve essere chiamato da Dio.

A volte può essere anche chi ha pregato l’operaio!
Chi prega così può essere chiamato da Dio come missionario.

Il supplicatore è spesso il migliore da inviare, perché la sua supplica mostra un grande desiderio per le anime - una qualifica molto importante per essere un operaio nel raccolto delle anime.

Ora, anche se Dio chiama alcuni in particolare per la missione, tutti i cristiani, tutti coloro che Dio ha salvato, sono chiamati senza riserve nella mèsse, ognuno secondo i doni spirituali e materiali che Dio gli ha dato! (Romani 12:11; 1 Tessalonicesi 1:9-11).

Chi può e deve raggiungere il mondo perduto e infernale delle persone peccaminose e ferite che hanno bisogno del Vangelo?
Sono coloro che conoscono Gesù Cristo, coloro che hanno sperimentato la potenza salvifica e trasformatrice del Vangelo! 

Infine nella commissione c’è:
C) La promessa.
Nel v.37 Gesù afferma che “la mèsse è grande”.
Se questo passaggio è un parallelo di Giovanni 4:35-38, allora qui troviamo una promessa che ci sarà un raccolto, ci saranno dei salvati. 

In Giovanni 4:35-38 è scritto: “ Non dite voi che ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ebbene, vi dico: alzate gli occhi e guardate le campagne come già biancheggiano per la mietitura. Il mietitore riceve una ricompensa e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme. Poiché in questo è vero il detto: ‘L'uno semina e l'altro miete".  Io vi ho mandati a mietere là dove voi non avete lavorato; altri hanno faticato, e voi siete subentrati nella loro fatica’”.

In questi versetti di Giovanni Gesù sta parlando di promesse.
(1) In primo luogo vediamo la promessa dei risultati.
Dal tempo della semina autunnale all’inizio della mietitura del grano passavano circa sei mesi, anche se fra l’ultima semina e l’inizio della mietitura potevano passare anche quattro mesi (forse era un proverbio o un modo di dire). 
Comunque Gesù stava parlando metaforicamente, e voleva attirare l’attenzione dei discepoli sull’imminente mietitura fra i Samaritani che nel frattempo stavano venendo da Lui dopo aver sentito la testimonianza della donna. 
Gesù stava sollecitando i discepoli ad aprire gli occhi per comprendere il significato di quando stava accadendo, era arrivato il tempo della raccolta. 

Ci sono quattro mesi restanti fino alla raccolta, ma sul piano storico-salvezza il raccolto è già iniziato. 
Egli si è impegnato in tale raccolto che è parte integrante del lavoro del Padre che gli ha dato da fare (v. 34).  

(2) In secondo luogo la promessa delle ricompense.
Il mietitore riceve una ricompensa e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme. 

La ricompensa e il raccolto si riferisce alle persone che diventano seguaci di Gesù, i Samaritani, che venivano dalla città, erano pronti per essere raccolte. (Frutto-karpós è un termine missionario Romani 1:13; 1 Corinzi 9:7; Filippesi 1:22).
Gesù stava per vedere questo raccolto.
Così il seminatore e il mietitore si rallegrano insieme. 

Gesù voleva incoraggiare i discepoli riguardo la certezza del raccolto, e nel loro mandato hanno sperimentato questo, basta leggere il libro degli Atti. 

La promessa dei risultati è un grande incoraggiamento al servizio, anche se non saranno sempre in grande abbondanza, ma saranno presenti.

(3) In terzo luogo la promessa del rallegramento.
“Affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme".
(Deuteronomio 16:13-14; Salmo 126:5-6; Isaia 9:3). 
C’è gioia in quando un peccatore si ravvede dice Gesù (Luca 15:7,10).

Gesù è il mietitore, ma non si capisce bene se ha in mente un seminatore in particolare, comunque sia il detto potrebbe essere come una dichiarazione complessiva con il significato che alcuni raccolgono il frutto di un’opera evangelistica, o missionaria in un secondo momento senza aver faticato, seminato prima, perché lo hanno fatto altri, ma entrambi si rallegrano per il raccolto (cfr. 1 Corinzi 3:6-8). 

CONCLUSIONE.
Quali aspetti importanti teologici e applicativi possiamo imparare da questo testo?

1. Siamo chiamati a servire il Signore nella Chiesa.
Non basta solo frequentare la chiesa, siamo chiamati a servire il Signore nella chiesa e con la chiesa.

In una società egocentrica e individualista, molti cristiani, sono soddisfatti di sedersi e ascoltare, ed essere serviti. 

Il Signore non vuole spettatori, ma cristiani attivi, dinamici che lo servano per la crescita della chiesa e per questo che ha dato loro dei doni spirituali (cfr. Romani 12:3-8; 1 Corinzi 12:12-27; Efesini 4:15-16). 

Ognuno ha doni spirituali e chiamate differenti, ma nella misura in cui c’identifichiamo con i valori e l’opera di Gesù Cristo, dedicheremo il nostro tempo, l'energia, le risorse alla missione di raggiungere questo mondo con il messaggio del Vangelo e dimostrazioni pratiche del suo potere.

Ma per troppi "cristiani", Gesù è poco più della propria assicurazione sulla vita e sulla vita eterna, o un amico da avere sempre pronto nel bisogno e poi da mettere di nuovo da parte quando tutto va bene!

Un vero cristiano è un discepolo di Gesù che è chiamato alla missione di fare altri discepoli, di salvare le anime (Matteo 28:18-20).

2. La missione è motivata dal cuore compassionevole di Cristo.
Certamente la missione va fatta per amore (Matteo 22:37), e per obbedienza a Gesù (Giovanni 14:21; 1 Giovanni 5:3) che ci ha ordinato di servirlo per la salvezza delle persone (Matteo 28:18-20; Marco 16:15; Luca 24:44-49; Giovanni 20:21-22; Atti 1:8), e quindi per la Sua gloria (cfr. Salmo 96:2-8; 1 Corinzi 10:31).

Ma è chiaro in questo testo che la missione è anche motivata dalla compassione per la gente come l’aveva Gesù, la compassione per i perduti, per le persone depresse, oppresse dai loro peccati, tradizioni e religioni, e anche da capi religiosi che non si prendono cura di loro (Marco 12:31; Luca 10:27-29; Galati 6:9-10).

Lo stesso amore e compassione di Gesù devono motivare oggi il nostro ministero.

Una persona che non sente nessuna compassione per chi non è convertito, non può certamente avere la mente di Cristo!!!

Poiché il Signore è compassionevole, i credenti che portano il Suo nome devono anche essere compassionevoli. 

3. Il lavoro del raccolto di Dio richiede lavoratori.
Dio potrebbe fare tutto da solo, non ha bisogno degli uomini per salvare gli altri uomini, ma ha deciso di salvare le persone con la pazzia della predicazione (Romani 10:10-14; 1 Corinzi 1:21).

La predicazione va fatta secondo il metodo di Gesù e cioè andava in tutte le città e i villaggi (Matteo 9:35), andava a cercare le persone e non li aspettava che le persone andassero da Lui.

Ogni cristiano è chiamato a testimoniare di Cristo! (Atti 1:8), ogni cristiano è un sacerdote chiamato a proclamare le virtù di Dio ( 1 Pietro 2:8-9).

Infine vediamo:
4. La relazione di missione e preghiera.
Il successo della missione dipende da Dio, e il nostro compito primario è la preghiera.

 John C. Ryle vescovo anglicano di Liverpool (1816-1900) diceva: “La preghiera è uno dei mezzi migliori e più potenti per aiutare la causa di Cristo nel mondo. È un mezzo a portata di tutti ... Non tutti i credenti hanno soldi da dare alle missioni, pochissimi hanno grandi doni intellettuali o un'intensa influenza tra gli uomini, ma tutti i credenti possono pregare per il successo del vangelo e dovrebbero pregare quotidianamente ".

Gesù invita i suoi discepoli, che sono già operai a pregare per più operai, ma questo si può applicare a tutti i cristiani!

La preghiera è per Lui la base dell'esistenza missionaria dei discepoli.
Non tutti i cristiani saranno chiamati ad attraversare grandi confini culturali, o a diventare missionari a tempo pieno, ma tutti dobbiamo pregare per la missione, che Dio mandi più missionari!

T. J. Bach diceva : “ Molti di noi non possono raggiungere i campi di missione sui nostri piedi, ma possiamo raggiungerli in ginocchio”.

Una risorsa eccellente sulla preghiera riguardo la missione e i bisogni è il libro “Operation World” che elenca ogni nazione del mondo, e descrive con precisione lo stato della chiesa e fornisce importanti soggetti di preghiera.


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